Il furto d'identità non è uno scherzo, come qualsiasi fan di The Office sa bene. Così come lo sa bene una band milanese che si è trovata in una situazione parecchio strana. Loro si chiamano Soft Boys Club, vengono da varie formazioni della città e lo scorso giugno è uscito Prendersi cura, il loro disco di debutto. Hanno un'identità molto riconoscibile: sound ispirato dall'emo e dal post punk, testi introspettivi dove giocano un ruolo fondamentale gli scritti di Mark Fisher e la contraddizione di foraggiare un sistema capitalista senza riuscire a fuggirne. In questa prospettiva, è ancora più surreale che questa storia sia successa proprio a loro.
Tutto comincia a giugno, un po' per caso. Con un disco di debutto uscito da poco è abbastanza improbabile che una band butti fuori un altro ep a stretto giro, eppure è proprio quello che i membri del gruppo si trovano cercando sulle piattaforme. Si intitola Pioggia e, mentre su Spotify è caricato su una pagina omonima a parte, su altri servizi di streaming rientra proprio nella discografia del SBC. La cosa è molto bizzarra, come raccontano loro stessi, a cominciare dal fatto che il nome è stato scelto con cautela: "Prima di battezzare definitivamente così il Soft Boys Club avevamo cercato bene in giro e non avevamo trovato nessun omonimo", raccontano. Al massimo ci sono The Soft Boys, meraviglioso gruppo fondato da Robyn Hitchcock a Cambridge nel 1976, ma non è qualcosa che possa generare chissà che confusione. Ancora più strano è che, a guardare i riconoscimenti dei brani, si trovano i nomi degli stessi membri del Soft Boys Club originale.
Basta un'occhiata alla copertina per rendersi conto che Pioggia si tratta di quella che in gergo tecnico viene definita pataccata con l'AI. Tanto l'immagine sulla cover quanto i brani sono evidentemente autogenerati, qualcosa che è semplicissimo da fare attraverso siti web dedicati dando appena pochi comandi nel prompt, con risultati che sono mediocri nel migliore dei casi (mentre con software più all'avanguardia si possono ottenere risultati spaventosi a livello di verosomiglianza). i suoni diventano plasticosi, le parole un'accozzaglia di banalità mal assortite, un ascolto distratto può non darci peso, ma basta avere un minimo di attenzione per capire che non si tratta di un prodotto "umano".
A rendersi conto della situazione è stata subito la band stessa: "Ce ne siamo più o meno accorti tutti nello stesso momento, chi cercando di mettere un nostro brano su una storia Instagram, chi dal profilo artist di Apple Music nel quale c’erano gli ascolti di brani non nostri nelle nostre statistiche. Sul momento l’abbiamo presa in gag, ci faceva ridere, ci sentivamo anche un po’ lusingati dal fatto che qualcuno magari avesse trovato il tempo per fare questa cosa per/contro di noi. Pensandoci un attimo meglio, però, come band che lavora molto ai propri testi ci ha fatto ragionare su come la musica generata dall’IA elimini per primissima cosa qualsiasi contenuto di rilievo".
Al netto del nome, le somiglianze tra la band reale e la sua versione AI non ci sono. Al massimo si può notare un punto di contatto tra le copertine dei due dischi nel font utilizzato, ma per il resto è chiaro lo stacco tra le due cose. "A livello musicale erano quasi tutte ballad soft-rock super generiche", racconta la band, che però si è dovuta subito scontrare con qualche episodio ambiguo. "Ci siamo resi conto che la cosa poteva diventare scomoda perché su Apple Music e Amazon Music i cataloghi dei due Soft Boys Club erano uniti, quindi chi ci ascoltava su quelle piattaforme finiva per sentire anche il “fake SBC” e non è che ci facesse tanto piacere. Ci siamo definitivamente preoccupati quando il nostro bassista Fede C. ha visto la story di un suo contatto con sotto uno dei brani taroccati. Abbiamo scritto alla persona in questione e ci ha detto che pensava fossero nostri brani parodistici nei quali ironizzavamo cantautorato indie per il meme". Quindi certo, è facile rendersi conto che qualcosa non torni, ma non è immediato che si capisca tutto il processo. Per certi versi assomiglia un po' alla storia del Ponte Molteni: per plasmare la realtà a volte basta una connessione a internet.
Ora, è facile capire che questo possa succedere magari per artisti famosi che vogliano truffare inconsapevoli fan, ma per un gruppo agli esordi e con un seguito ridotto è alquanto strano. E poi va tenuto in considerazione che per distribuire i brani sulle piattaforme si paga, quindi c'è anche un investimento economico dietro, e viene difficile che Robyn Hitchcock possa essersi risentito (però, sai mai...). La stessa band non sa darsi grosse spiegazioni: "Abbiamo anche pensato potesse essere un’attività fatta in automatico da bot, però parlando con altre band della scena non abbiamo saputo di nessuno a cui era successo qualcosa di simile. Dall’altra parte, però, perché noi? Sicuramente non generiamo stream a sufficienza da rendere redditizio lo scam. Abbiamo chiesto aiuto alla nostra etichetta Futura Dischi e al nostro distributore Believe Italia. Tramite loro siamo riusciti a scoprire che i brani erano stati caricati attraverso Awal, piattaforma che è stata acquisita da The Orchard qualche anno fa, ma che non ha uffici in Italia, e non c’è stato modo di avere più informazioni. Abbiamo fatto vari complaint attraverso la label e il distributore alle piattaforme e finalmente dopo 4 settimane i brani sono stati rimossi".
Quest'episodio non fa che mostrare quanto ancora sia problematico l'uso dell'intelligenza artificiale in questa prima fase di diffusione capillare che sta avendo. Certo, sulla carta è una figata, così come ci piacerebbe poter dire di aver scritto tutto questo articolo con ChatGPT: come qualsiasi tappa del progresso umano, non è la tecnologia di per sé a essere pericolosa, ma l'uso che se ne fa. La creazione di brani che ricalca (anche se in questo caso in maniera particolarmente raffazzonata) la musica di altri artisti è potenzialmente un problema enorme: oltre a intaccare l'integrità artistica di un musicista e a essere un tema gigantesco per quanto riguarda il diritto d'autore e il plagio, implica la clonazione di una voce che può essere usata per dire qualsiasi cosa.
Il sospetto è che questi brani siano stati creati come finto repertorio per il circuito della pirateria musicale, una situazione di cui si parla già da tempo dove finti brani degli artisti vengono spacciati per reali e venduti a chi li distribuisce illegalmente prima della data di uscita. Il meccanismo è semplice: i truffatori usano l'intelligenza artificiale per generare brani farlocchi, dopodiché li spacciano per degli inediti che hanno avuto in anteprima grazie ad agganci nel music business o tramite hacking e tentano di venderli a gruppi di smanettoni, che uniscono le loro risorse per acquistarle in gruppo con cifre che possono aggirarsi dai 5000 ai 30'000 dollari, stando a quanto riportato in questo articolo.
Trattandosi di un problema che va a colpire chi già agisce nell'illegalità, risolverlo non è qualcosa di così prioritario, ma le sue ripercussioni ci sono anche per chi nulla c'entra e anzi, è a sua volta vittima di questo processo. E, a occhio, ci troviamo di fronte a un primo episodio di qualcosa che potrebbe capitare a molti altri musicisti.
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L'articolo Clonati dall'intelligenza artificiale di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2024-08-13 15:23:00
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