Soundlabs Festival - Roseto degli Abruzzi



Sabato 30 luglio

Si soffoca. Alle 14, la cittadina è comprensibilmente deserta. Con Nicola, il mio compare, troviamo ristoro da Luciana-cucina marinara dal ’69. Oretta davvero ben spesa al riparo di un pergolato ridente. Sara dello staff ci onora poco dopo. L’area camping, di terreno erboso, cinge il pattinodromo comunale. Come vi mettiamo piede, un primo segnale: dieci tende sì e no a due ore dal via. Montiamo. Sulla destra, cinque ragazzi napoletani tra i più miti da noi incontrati. A sinistra, tre sirenette in pareo che dettano subito, senza spiccicare parola, le norme per un quieto vivere: “Stiamo per conto nostro, aria”. Il cuore di tutto è a cento metri, all’interno dello stadio Fonte dell’Olmo. Il palco, montato ai margini del rettangolo di gioco, curva sud. Alle 19 devono attaccare gli Standard da Bilbao. Non sarà così. Scarso pubblico o disguidi tecnici, decolleranno solo alle 21. Piacevoli. Funamboli di generi. Propongono un electro-pop-funky-disco vagamente Phoenix con piglio Doors, specie nel cantato del frontman che di Morrison è quasi un sosia occhialuto. Quattro pezzi e alzano i tacchi.

Nessuna folla, ancora. Giusto un pugno di curiosi sotto e macchie umane sparse.

Ecco i Franklin Delano, musicalmente a noi sconosciuti. Che dire: essenziali e micidiali. Se fanno rock, è da ultima frontiera. Quella che aggiorna una matrice folk-blues spogliandola di qualsiasi refrain easy.

Satura. Pregna di polvere e sudore. Aspra e vigorosa. Vittoria Burattini tiene il tempo, Paolo Iocca ha certe inflessioni alla Lou Reed e Marcella Riccardi è una suadente Giunone dal tagliente sorriso. Più che accordi, si scambiano rasoiate. Quando in chiusura ingaggiano un duello al fulmicotone, il consenso è unanime. La miccia che accende la serata, per quanto ci riguarda.

I tempi sono stretti, si smonta di corsa e in breve compaiono gli Offlaga Disco Pax, maggiore sorpresa della giornata senza dubbio. Vestono di nero. Soffusa e insinuante: elettronica con influenze disco e sperimentazioni jazz. Roba colta, di gran classe, cerebrale. Eppure mai pesante, anzi. Estremamente coinvolgente. Perché il valore aggiunto è Max Collini alla voce, che dinanzi a un leggìo non canta ma declama. Maschera severa e granitica, diciamo morettiana. (Fuori dal set). Se risulta simpatico, è per via di un’ironia appena accennata sul volto. Testi amari, sarcastici, sferzanti, finalizzati a scuotere coscienze. Spesso mirati al cuore delle tante manifestazioni di potere nella società odierna. Tra i pezzi eseguiti, “Kappler”, “Cinnamon”, “Robespierre”, “Tono metallico standard” (una canzonatura di Mark Lanegan, se abbiamo capito bene). Su “Tatranki”, invece, riportiamo un aneddoto. Trattasi di un wafer prodotto a Praga. Collini racconta di averne acquistati un po’. Alcuni giorni dopo, sulla bustina scopre inorridito il marchio Danone. Come dire: prima o poi le multinazionali-piovra fagocitano tutto. Il bello è che durante il pezzo si mette a distribuirli al pubblico, e al sottoscritto ne arriva uno in testa. Piaciuta la storiella? Vabbè, noi lo conserviamo. Morale: applausi divertiti ai tre pasionari.

Mezz’ora alla mezza. Sembra proprio che il pubblico aumenti proporzionalmente al richiamo dei gruppi. E’ il turno dei Perturbazione. Scatenati, spassosi, affiatatissimi. In pratica ribaltano le attese di quanti, come noi, conoscendo solo un paio di pezzi immaginavano una band seriosa, fin troppo accademica. Macchè. Qua il conservatorio (se mai c’è stato), è alle spalle, e lo show una festa mobile. Elena Diana, per dirne una: figura leggiadra che alterna violoncello a tastiere dispensando sorrisi. Certamente decisiva, insieme ai testi, nel vestire una formula leggera con abito da sera. Folk-pop intimista, obliquo, perché la melodia, da quanto ci è parso, affiora strada facendo, e specie su disco non dubitiamo sìano necessari più ascolti. Poi … Tommaso Cerasuolo. Un pazzo. Di quelli buoni, però. Che regalano allegria. Capisce ci vuole una marcia diversa, per elettrizzare una volta per tutte la platea. Cazzeggia, saltella, indugia in siparietti, saluta e ringrazia fonici e parenti. Durante “Canzone allo specchio” sale addirittura sull’impalcatura. Nella conclusiva “Il senso della vita” scende tra il pubblico e poga. I momenti più belli, però, a nostro avviso sono altri due. “Agosto”, interpretata fingendo quasi tutto il tempo di rabbrividire, e la cover di “Occhi bassi” dei Tarm, che a chi scrive manda in brodo di giuggiole. Ecco: siccome il trio di Pordenone ci piace un casino, da oggi questa Perturbazione luccica nei nostri cuori.

L’una meno dieci. Entra Marlene Kuntz. Strepiti e calca sottostante dicono che la Regina è sempre lei. Da un verso una conferma, dall’altro una nota dolente: tanta gente che accorre solo all’ultimo perdendo la chance, al prezzo medesimo, di scoprire nuovi gruppi. Indolenza e menefreghismo tutti italioti. C’è Maroccolo, naturalmente. Defilato, discreto, guru sornione con ciuffettone e sigaretta pendente. Rob Ellis, altro pezzo da novanta che suona il synth come stesse in vacanza. Una Marlene prodigio immutato di umiltà e sobrietà, puttana efficace e ammaliante impermeabile al tempo: Tesio e Bergia compassati architetti di suoni, Godano che dà tutto, si trovi dinanzi un oceano o come nella presente occasione un laghetto.

Scaletta prevedibile, nel senso di vecchi e nuovi pezzi. Quelli che valgono il biglietto e odierne ballate sospese fra incanto e lacerazioni. Se è in vena, poi, la Signora si scatena col noise, e l’entusiasmo lievita. Alle 2, “Sonica” “sembra” la ciliegina ideale (anche perché è quella consueta). Godano dirà: “Ragazzi, dobbiamo interrompere. Se avremo la possibilità, torneremo”.

Gran professionista. Fischi, stupore, disappunto. Una piccola folla si stringe attorno a un cordone di vigili urbani, giusto in prossimità del cancello che porta ai camerini. Una ragazza fa: “Abbiamo speso 15 euro per un’ora soltanto!”. “Brava”, pensiamo noi. Niente da fare. Si chiude qui. Mr Sandman entra alle 3, senza portare sogni con sé.

Domenica 31 luglio

Alle 7,30 la tenda ribolle. Schizziamo fuori. Occhi pesti e bocca impastata. Panico da primo risveglio: “E oggi che si fa?” Mettiamo a fuoco. “Meno male c’è il mare, va’”. “Pranzo al sacco?” “Ok”. “Misto frutta?” “Sì, dai, stiamo leggeri”. E quando mai. Primo alimentari sulla strada, pizza e mortazza. Passiamo la giornata a Pineto, nemmeno 5 km., tra bagnetti e completo relax. L’Adriatico è quello che è, ma con questo caldo persino un brodino malsano diviene sorgente fatata. Di ritorno al camping in zona cesarini, comprendiamo di essere i soli che tengono a rispettare l’orario. Chi amoreggia, chi riposa, chi spizzica qualcosa. Un paio di tende in più, nessuna grande sorpresa.

Alle 20 spaccate si presentano i Les Fauves. Giovanissimi contro ogni previsione, gagliardi secondo le aspettative, fichi in tutti i sensi per la gioia di chi scrive. Dalle rudi scarne sonorità rock venate di dolcezza a un vocalist chitarrista con ugola non comune, che inchioda e accarezza. Una bassista sexy, un batterista da rivista. Il pregio di colpire duro per poi smuoverti qualcosa dentro, come clava che sa farsi arpa d’incanto. Fortissimo appeal, insomma, e sorprendente autorevolezza. Proprio al batterista, dopo mezz’ora scarsa, diciamo: “Peccato, non c’era nessuno”. “Guarda, noi siamo già contenti di essere qui”. Grandi Selvaggi, tifiamo per voi. Tuttavia non scorderemo l’atmosfera surreale, da sound check, durante la loro esibizione.

Un quarto alle nove, here comes Jennifer Gentle. Il desiderio di avvicinare questa signorina elegante, un po’ stramba e amante delle lunghe distanze, era grande.

Alessio Gastaldello siede alla batteria. Buon per lui che dinanzi a un pubblico ancora modesto, sempre svogliatello, sia in preda a una certa euforia. Tre comprimari di fiducia (basso-pianola-chitarra), mentre Marco Fasolo si prende la scena in sordina ma con immediata efficacia.

Almeno per noi, beninteso, che ascoltando la prima volta “Universal Daughter”, con quei kazoo così ottusi eppur magnifici nel loro gracchiare, ci siamo invaghiti subito. Il set offre brani onirico-bucolici in stile Lucy sotto un cielo di diamanti a coglier sempre fragole per campi, e altri ove spicca l’attitudine a una torrenzialità prog-rock chiaramente seventies. E qui ci allontaniamo per un po’, mentre nel primo caso, fra gingilli tamburelli giocosi straniati jingles, non vorremmo smettere di farci cullare. Fasolo ha un cantato virtuoso: ora tenero, altrove stridulo o in falsetto. Secondo noi, può piacere come risultare indigesto. Ciao Jennie, e non perdere la grazia.

E vai, Yuppie Flu. Siamo nel vivo della serata, ormai. I quattro naturalizzati inglesi suonano più di tutti, quasi un’ora e mezza. Il privilegio di precedere i Calexico, piatto forte del festival, assicura loro un pubblico anche maggiore di quello dei Marlene.

Non che si esaltino, eh, sebbene Agostinelli arrischi persino un “grazie”, mentre gli altri è come si trovassero, sempre e comunque, dinanzi a una platea deserta, senza levare mai gli occhi da terra (bassista), o dal proprio strumento (tastierista). Vabbè, alla fine conta la musica, e di lodi ulteriori gli yuppies non hanno bisogno. Sono in gamba. Punto. Possono deliziare o annoiare, ma che producano pop-rock di livello è innegabile.

Dunque dunque … we’re close to the end. I Calexico ci mettono un’ora buona prima di aprire.

Ben sette elementi, sound check interminabile. Solo il vocalist, dispone di quattro diverse chitarre. Immaginate un minestrone bollente, vorticoso, con un pizzico di Morricone alla Leone, di musica country, gitana, mariachi. Fiati che s’impennano, corde che marciano spedite e poi languono, laddove scenari di ardenti tramonti vanno a tingersi di crepuscolar noir.

L’esito, pur amando noi le atmosfere tex-mex, è deludente. Bravissimi, per carità. Tutto molto bello ma, davvero, tutto già sentito. Detto questo, non vogliamo scoraggiarvi: se la band di Tucson si è fatta un nome, un motivo ci sarà. Probabile siam dei puristi, e ci fa storcere il naso certa musica interpretata da yankees. Gran parte dei presenti assiste rapita. Stanchi e appagati, guadagniamo l’uscita quando la manfrina è ormai trita. Stasera fa fresco, strano. Si è alzato pure un bel vento. Fossi stata con me ti avrei tenuto la mano.



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L'articolo Soundlabs Festival - Roseto degli Abruzzi di Blonde è apparso su Rockit.it il 2005-07-30 00:00:00

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