Il dilemma del musicista, che dovrebbe essere anche imprenditore di se stesso, rimane una contraddizione per molti e una propensione di pochi. Oggi, alle diverse opportunità che gli strumenti e le piattaforme digitali offrono ai giovani musicisti e producer motivati a intraprendere un percorso in ambito discografico, fanno da contrappeso le necessarie competenze, che esulano dall’ambito artistico, ma che non possono essere trascurate quando si decide di dare vita a una propria creazione.
Sottoscrivere un contratto per una prestazione artistica o per la produzione di un EP e di un album, negoziare un accordo con una major o con una label indipendente, regolamentare la proprietà di un titolo o del testo di un brano, decidere a chi affidare la gestione dei diritti e la collecting: sono soltanto alcuni degli aspetti che un artista deve considerare oggi, se soltanto vuole avvicinarsi a questo mondo con idee chiare e obiettivi definiti.
Grazie allo streaming e all’effetto propagazione indotto dai social, l’immedesimazione e il progressivo crollo della barriera della competenza tra coloro che producono musica e i fruitori ha acuito ulteriormente la percezione che la facilità tecnica nel realizzare un prodotto a partire da una propria idea sia di per sé sufficiente per bussare alla porta di una label e scalare il successo.
Quest’approccio, affetto dalla superficialità tipica del contesto informale, talvolta amatoriale, non tiene conto di quelle minime implicazioni, specie di carattere legale, che devono essere considerate proprio ai fini della maggiore tutela della propria idea e opportunamente messe su bianco prima che la stessa prenda vita.
Per evitare di trovarsi a risolvere controversie che poco hanno a che fare con gli aspetti artistici, nodi da dirimere quando una band o un sodalizio musicale si scioglie o, peggio ancora, contratti viziati all’origine da clausole “capestro”, dove l’artista è l’anello debole della catena, è consigliabile rivolgersi a chi ha certe informazioni e conosce certe prassi. Avvocati che, a una competenza legale, uniscono, nel migliore dei casi, anche una conoscenza del settore musicale in cui si muovono.
Considerato che in questo “anomalo” mercato l’incontro tra domanda e offerta non sempre si concretizza nell’interesse dell’artista, Rockit vuole inaugurare una nuova rubrica chiamata LA STRANA COPPIA (GLI AVVOCATI RISPONDONO). Con l'obiettivo di rendere il più possibile comprensibile la materia.
Un servizio di cui i lettori potranno disporre, tramite cui interagiranno direttamente con due professionisti del settore e potranno risolvere grazie a loro i propri dubbi in un ambito vastissimo e che sa essere scivoloso. A curare l'appuntamento sono gli avvocati Tommaso Calamita e Federico Mastrolilli, esperti di diritto d'autore e diritti degli autori. A loro sarà possibile rivolgere le vostre domande alla mail avvocati@rockit.it oppure in DM su Instagram. Le risposte saranno settimanalmente pubblicate nelle stories di Rockit, e successivamente raccolte qui sul portale.
Per conoscere megio Tommaso e Federico e capire quali sono gli argomenti di cui si occuperanno e su cui potete "interrogarli", abbiamo fatto una chiacchierata con loro.
Tommaso, come sei diventato un avvocato esperto di musica ed editoria?
T: Oltre a diverse esperienze in qualità di musicista, possiamo dire che ho cercato di unire l’utile… al disdicevole: a un certo punto della mia carriera di avvocato ho deciso di concentrarmi sulla mia passione più grande che è la musica. Lavoro con diverse realtà discografiche, distributori, artisti, etichette e mi occupo di editoria musicale, diritti, contratti e tutto ciò che ne deriva. Il mondo della musica, come noto, non è regolamentato da nessun tipo di codice fatta, eccezione per la legge specifica in materia di diritto d’autore; tuttavia non ci sono tipizzazioni di contratto. Sono quindi le parti, quando discutono un contratto “musicale” (sia esso discografico, editoriale, di distribuzione, di management, di booking, etc), a poterne liberamente determinare i contenuti; è questo il motivo per cui l’assistenza di un legale specializzato è importante.
F: Per parafrasare Sartre, ho sempre pensato che Tommaso “fa” l’avvocato, ma “è” un musicista, e questo lo rende unico nel suo genere, perché è accessibile a tutti. Lui conosce ogni dettaglio del mercato musicale; io mi limito a colmare le sue lacune sul diritto d’autore (ridono entrambi), che è il mondo da cui provengo.
Quella del legale è una professione essenziale per il mercato discografico, ma di cui si parla poco. Come mai secondo voi?
T: È un ambito quello della consulenza legale poco considerato dai musicisti, dagli artisti e dagli operatori di mercato in genere, anche se le questioni che affrontiamo sono molto rilevanti per loro. Di recente mi è capitato il caso di un gruppo indipendente che ha fatto un disco di grande successo, firmando dei pezzi di carta al buio senza pensarci troppo, senza farsi assistere da un professionista. A distanza di 15 anni questo disco è ancora una pietra miliare per la musica indipendente italiana, molto vendibile, ma rimane ancora da chiarire di chi sono i diritti su titoli, brani, autori ed è tutto lasciato agli accordi verbali, condizioni che comportano la necessità di un intervento di un legale per trovare una quadra; si tratta di operazioni complesse e che richiedono tempi lunghi proprio perché a monte manca una cultura del diritto in materia e, di conseguenza, dell’importanza del contratto.
F: Con le dovute eccezioni, a volte si ha la sensazione che il settore musicale da questo punto di vista non ha raggiunto la maturità “legale” di quello dell’industria cinematografica, dove nessuno si sognerebbe di fare un film senza contratti. Nella musica, invece, come purtroppo in tanti altri settori artistici, può succedere che l’avvio di una nuova realtà come ad esempio un artista, una società di management o un’etichetta discografica sia caratterizzata da un contesto di carattere informale, una sorta di estensione della “cameretta” in cui magari queste realtà sono nate e ancora operano, dove qualsiasi investimento in consulenti è visto sostanzialmente soltanto come un costo. Perciò si va avanti un po’ alla cieca, vivendo di prassi e di fiducia, finché non arriva il grande problema da dirimere. E solo in quel momento entra in gioco l’avvocato, che è ancora visto soltanto come uno da chiamare per risolverti i problemi, e non come uno che ti aiuta a evitarli.
T: Secondo me, da quando la musica indipendente è diventata anch’essa un’industria, si inizia a comprendere l’importanza di avere un contratto fatto bene, di avvalersi della professionalità dell’avvocato prima di formalizzare gli accordi. Mi è capitato il caso di un piccolo management che mi chiama prima per farmi predisporre una serie di contratti con un artista della scena indie e, qualche mese dopo la firma su questi contratti, mi richiama per formalizzare un accordo transattivo che sancisca, ancor prima che la prestazione artistica sia realizzata, la fine dei medesimi rapporti contrattuali, a causa delle troppe incomprensioni insorte con l’artista. Sebbene sia un paradosso, questo è l’indice a mio avviso che qualcosa sta cambiando.
C'entra anche il profilo delle persone coinvolte?
T: Quello anagrafico parecchio. Ul sistema musica di oggi, soprattutto in ambito indipendente, è fatto essenzialmente di giovanissimi, soprattutto ventenni, abituati a lavorare online e che già sono in grado di autoprodursi e autodistribuire la propria musica, comprendere che esistono delle revenue e che per guadagnare è fondamentale contrattualizzare. La generazione degli artisti quarantenni, invece, anche qualora provengano da esperienze di successo dagli anni 90/2000 in poi, scontano invece ancora poca sensibilità su questi temi. L’avvicinamento tra il creatore e il fruitore attraverso lo streaming e la distribuzione online ha contribuito a migliorare il dibattito sulla regolamentazione, sulla spinta dalle maggiori opportunità di guadagno.
Cosa dovrebbe fare un manager musicale?
T: Il manager musicale, a mio avviso, dovrebbe essere un facilitatore, un indirizzatore, una persona terza che riesce a persuadere gli artisti verso le scelte più giuste; anche in questo mi sto avvicinando a diversi management che più di prima hanno voglia di quadrare con l’avvocato tutto il framework contrattuale, anche se i professionisti sensibili rimangono ancora in pochi. I manager più importanti in Italia gestiscono le grandi star; l’artista indie per una major quindi rischia di diventare un signor nessuno in un roster di nomi di successo, ed è per questo che ha bisogno di un manager capace di tutelarlo ancor meglio – anche legalmente – di quanto si tuteli una star.
Gli artisti più giovani, nativi digitali, che si affacciano per la prima volta al mercato musicale da un lato già dimostrano attenzione al business, dall’altro si trovano a dover affrontare anche diversi aspetti legali da non sottovalutare. Quali sono i primi accorgimenti che ti senti di consigliare?
T: Innanzitutto, un musicista deve capire cosa sta creando. Alla creazione musicale corrisponde spesso una sua registrazione. A questo punto, è necessario che l’artista acquisisca consapevolezza di cosa ha in mano e cioè, un master ed una canzone. Si tratta di due concetti vicini ma che costituiscono “beni” molto diversi fra loro. La canzone – che ha un compositore della musica e spesso un autore del testo – è quel bene “immateriale” che si materializza con la sua fissazione su di una registrazione fonografica; è proprio seguendo questo processo che occorre far chiara distinzione tra discografia ed editoria musicale. Questo sarebbe già un presupposto che tutti coloro che si avvicinano a questo mondo dovrebbero conoscere.
F: Si parte da quello che si ha, poi si capisce come gestirlo. Per la parte discografica ho bisogno di qualcuno in grado di “lavorare” al meglio questo master; per la parte editoriale ho bisogno di qualcuno che sappia gestire tutti gli aspetti relativi ai diritti, che ormai possono essere sfruttati nei modi più vari.
T: C’è ancora molta confusione al riguardo. Quante volte mi sento dire da un artista: “sono l’autore di un brano musicale… e poi mi riconoscono le royalties discografiche”. Sono due cose diverse: le royalties discografiche si maturano se uno è proprietario della registrazione fonografica, mentre la remunerazione quale autore/compositore è legata al collecting dei diritti d’autore, appunto (sia esso fatto da SIAE, Soundreef, SABAM, SACEM, etc).
Nell’aspetto editoriale rientra il tema del diritto d’autore. Quanto rileva tale aspetto nelle strategie dei grandi player del settore?
T: Oggi è fondamentale essere proprietari dei master dei brani, cioè avere tante release da considerare come dei piatti per un ristorante, tanti piattini da veicolare con rapidità. Non è essenziale avere anche diritti editoriali sulle canzoni contenute nei master. C’è una velocità di consumo della musica incredibile; i grossi player hanno bisogno di tanti piattini da buttare sul tavolo perché la gente ascolta una traccia per trenta secondi o per un minuto e poi magari diventa una hit della settimana da milioni di visualizzazioni. Per avere tanti “piattini”, bisogna possedere tanti master, quindi la cosa importante oggi è avere il master in mano; le canzoni invece sono secondarie rispetto al master così come l’aspetto editoriale e di copyright è secondario perché la fruizione della musica sta diventando sempre più immediata. Pensa soltanto a quante uscite ci sono ogni venerdì sulle piattaforme di streaming.
F: In generale penso sia importante far capire agli artisti che si avvicinano a questa professione l’importanza dei contratti, che spesso vengono firmati con superficialità per appagare il desiderio di dire “ce l’ho fatta” oppure, come ricordavamo sopra, per ingenuità, inesperienza o fiducia mal riposta; ma una volta che un accordo è stato firmato, è difficile uscirne, può diventare un incubo e può addirittura compromette la carriera. Sono tante le richieste che ci capitano in questo senso, e ogni volta restiamo sorpresi di quanti rischi vengono sottostimati dagli artisti, e anche di quanto i contratti siano scritti male (ridono entrambi).
Davvero?
F: Sì. E questo è un problema perché le controparti che contrattualizzano gli artisti, e che quindi dovrebbero aumentare il focus sugli aspetti legali, in realtà spesso utilizzano dei modelli, dei copia/incolla, degli schemi che già ad una prima lettura sono inadatti o obsoleti e le cui clausole scritte in “legalese", a volte insensate, incidono negativamente sul rapporto tra i contraenti. Musica oggi significa anche saper stare su un mercato diversificato: non soltanto il disco o lo streaming ma anche il talent televisivo, la piattaforma video, i social, le colonne sonore. Anche il semplice postare un brano su YouTube sottende un accordo che l’artista fa con una piattaforma, che ti genera dei ricavi, e quindi è da tenere in considerazione nella strategia di distribuzione. Tutti questi aspetti devono rispecchiarsi nei contratti, che altrimenti sono lacunosi e, in definitiva, dannosi.
Qualche caso interessante che vi è capitato finora?
T: Permettimi di farti un esempio senza fare nomi. Ho lavorato ad un disco seminale dell’indipendenza italiana di qualche tempo fa. Tutto era partito con un guazzabuglio incredibile da un punto di vista contrattuale ed al centro c’era il problema del titolo del disco stesso, dal momento che questo titolo è poi diventato anche il nome di un libro. Ti posso dire che, solo dopo un lungo e difficoltoso percorso legale, siamo riusciti a capire di chi fosse il diritto su quel titolo, così da sciogliere i nodi di questo intricato groviglio.
Citazioni o titoli che non nascono come tali ma che poi diventano iconici e rappresentativi di quest’artista. Pensiamo a Roberto Freak Antoni degli Skiantos e alla sua famosa “Questa è avanguardia, pubblico di merda!”. Anche a distanza di anni quindi non curare gli aspetti contrattuali può rivelarsi dannoso, se non controproducente?
T: Non bisogna sottovalutare il fatto che un artista acquisisce, solo per il fatto di averlo creato, un diritto su di un titolo.
F: Le tante vicende di questi anni che hanno interessato cantanti e gruppi ci dimostrano che come in queste relazioni, non diversamente da quelle coniugali, bisogna organizzarsi prima; finché le cose vanno bene, c’è spazio per tutti. Il problema è quando iniziano i dissidi. Fondamentali sono i rapporti tra band ed etichetta discografica, ma altrettanto rilevanti sono i legami tra diversi membri della band che incidono, come spesso capita, sulla libertà dei singoli componenti del gruppo e sulla possibilità di pubblicare dischi solisti.
T: Vero. Finora non mi è mai capitato di lavorare a un contratto interband. Questo servirebbe a disciplinare cosa succede, ad esempio, quando una band si scioglie. Chi potrà utilizzare il nome del gruppo? Mi è capitato un contratto di management che disciplinava alcuni aspetti dello scioglimento di un gruppo, ma non chi avrebbe ereditato il nome.
Tra le tante decisioni che un giovane artista deve prendere, oggi c’è anche quella della collecting. Quale sono i criteri per scegliere?
T: Il consiglio che posso dare è: scegliete quella che vi dà riscontri immediati. Se sono un piccolo ho necessità di interloquire con un soggetto a cui affidare la collecting dei miei diritti, ho la necessità di parlarci direttamente, di poter capire. Più è chiaro il modo in cui “collettano”, più è analitico il dato che ti forniscono per capire come generano i tuoi pezzi, meglio è per l’artista. A prescindere da questo, è già abbastanza sapere che a una mail si riceverà una risposta in tempi brevi. E questo aspetto riguarda anche label, management e distributori.
Per quanto riguarda il talent scouting, quali sono le differenze nell’approccio tra le etichette indipendenti e major?
T: Per quello che mi è capitato di vedere, nel mondo dell’indipendenza c’è più elasticità e partecipazione nei confronti del progetto rispetto al mondo delle major. Questo presupposto nella pratica si traduce nella capacità di disegnare un progetto su di un prodotto discografico. Se non si riesce a pensare un progetto adeguato intorno ad un disco, c’è il rischio concreto che, fallendo il progetto, fallisca anche il disco.
Quali sono gli indicatori che utilizza una major per capire quando un artista che arriva dall’indipendenza faccia il salto di qualità? E in che modo questo condiziona il vostro lavoro?
T: Sempre più spesso le major si “fidano” dei talenti che presentano loro le etichette indipendenti. Sono le indipendenti per prime a sondare il mercato e poi a “presentare” un loro artista ad una major. Tutti questi rapporti vanno regolamentati e contrattualizzati al meglio.
F: Avere fiuto significa scoprire in un contesto locale un’artista che può in un futuro – anche breve – riempire gli stadi. È una transizione che abbiamo visto ripetersi molto spesso ultimamente. Si tratta ovviamente di operazioni che prescindono da un algoritmo e dal numero di visualizzazioni e che le etichette indipendenti sanno fare benissimo. Al riguardo, la figura del legale può essere utile ad esempio quando un’etichetta indipendente, dopo aver coccolato per anni un artista, si trova a siglare un accordo con una major: lì occorre non farsi trovare impreparati, in particolare – come alcune volte è successo – con i contratti con gli artisti, per evitare di perdere il proprio investimento sul talent.
Per spiegare i vantaggi di questa opportunità per giovane artista che si affaccia al mercato discografico, avete quindi immaginato questa specie di sportello virtuale attraverso i canali social di Rockit.
T: L’idea è di fare delle pillole, che non sono raccomandazioni e consigli, bensì vogliono rappresentare unicamente degli spunti, una sorta di nostro bloc notes da condividere con i lettori e in particolare con gli artisti, in particolare i più giovani, per sensibilizzare sull’importanza di questi temi apparentemente noiosi e pedanti, che spesso per questo motivo vengono ingiustamente sottovalutati nella carriera di un'artista. Il format sarà interattivo e per i lettori ci sarà la possibilità di fare domande agli avvocati.
F: Sullo sfondo c’è la consapevolezza che anche il diritto ha la sua voce nel dialogo con l’evoluzione di un settore culturale come in questo caso la musica. Perché quando devi valutare se una pratica è consentita o meno stai anche incidendo sull’aspetto dei contenuti: pensiamo ad esempio alla riutilizzazione, ai sample ed al remix, ambiti nei quali il diritto può incidere e deviare il proprio film creativo. Quindi in questo senso noi riteniamo che da giuristi, da osservatori del diritto, possiamo avere anche voce nel dialogo con la musica, non necessariamente con un ruolo da consulenti, ma soprattutto con la disponibilità a un confronto diretto con chi ogni giorno crea e diffonde musica.
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Per superare il timore verso il “legalese” e la diffidenza nei confronti di quegli argomenti che sembrano incomprensibili, ma che riservano anche opportunità, oltre che nascondere insidie, non resta che scrivere le vostre domande all’indirizzo avvocati@rockit.it o in DM sul profilo Instagram di Rockit. La strana coppia di avvocati risponderà.
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L'articolo Una strana coppia di avvocati al servizio di chi fa musica (e di Rockit) di FabMonTro è apparso su Rockit.it il 2020-11-06 15:21:00
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