"Un piccolo eden in questo anno di merda" è il titolo di questo racconto di Giovanni Facelli, voce e chitarra della band piemontese Lo Straniero. Formata nel 2014 insieme a Federica Addari (voce, synth, piano), Valentina Francini (basso) e agli astigiani Luca Francia (synth, piano, programmazioni e drum machine) e Francesco Seitone (chitarra).
Lo Straniero esordisce nel 2016 per La Tempesta Dischi con un album omonimo. Undici tracce elettro-funk per un tour di quaranta date in totale, quattro concerti a Londra e la partecipazione a vari festival. A fine 2018 esce "Quartiere italiano", secondo album sempre per La Tempesta e con la produzione artistica di Alessandro Bavo (Subsonica, Levante, Virginiana Miller ecc.).
Nel disco, il singolo "Psicosogno" insieme ai Sick Tamburo, che compaiono anche nel videoclip realizzato durante i concerti all'Hiroshima Mon Amour di Torino e al Csoa Zapata di Genova. Realizzato in collaborazione con sei diversi producer, l'ep "Quartiere italiano (Remixes)" è il loro ultimo lavoro, uscito alla fine del 2019. Qui sotto vi proponiamo il racconto completo.
Il look dei miei ultimi concerti è stato il seguente: camice, copri-camice, mascherina e a volte visiera. Un pomeriggio di fine dicembre ho suonato per tre ore di fila bardato così e ho fatto l’errore di tenere sotto un maglione. Stavo per svenire.
Non ho mai smesso di fare musica per gli ospiti di alcune strutture assistenziali e terapeutiche, neanche nel momento in cui ho dedicato più tempo alla mia musica. Mi occupo di arteterapia e laboratori di musica per persone svantaggiate da alcuni anni, ma forse l’ultimo vale doppio per tutti, ospiti e operatori.
Il 2020 rappresenta uno switch potente. Nel mio caso, in pochi giorni sono passato da girare con Lo Straniero all’improvviso lockdown, senza passare dal via. Il tour dell’ultimo disco Quartiere italiano, dopo una settantina di concerti, si è chiuso un anno fa ai Magazzini sul Po a Torino. Poche settimane prima che iniziasse il casino anche in Italia, ed era parecchio che giravamo.
Per fortuna la nostra risposta alla pandemia è stata scrivere e produrre a razzo, a distanza e poi di persona, collaborando anche con altri musicisti. È tuttora un periodo molto creativo e iniziamo ad avere parecchio materiale. Continuiamo, però, a ripeterci che l’approdo non può essere solo la pubblicazione, anche se mai come in questi giorni il futuro dei live sembra incerto.
Ho ripensato ogni giorno ai concerti che abbiamo fatto e a quanto mi mancano anche quelli da spettatore. Un anno durante il quale, al di là di qualche streaming, le uniche performance sono state le prove con il gruppo. Poi, un pomeriggio di un mese fa è successo qualcosa di significativo a lavoro. Mentre suonavo all’interno della comunità, ho avuto l’ennesima conferma di quanto la musica "in presenza" sia importante.
Mantenendo le distanze, davanti a un pubblico ridotto in base alla metratura delle stanze, ho suonato canzoni mie e alcune cover. Al di là della solita presa bene generale degli utenti e degli operatori, mi è rimasta impressa l’immagine di un uomo sulla sedia a rotelle che con il sorriso stampato in faccia e gli occhi chiusi in una goduria assurda si abbandonava totalmente all’ascolto.
Appena ho finito si è avvicinato: "Con le cuffie sento musica ogni giorno, ma così è diverso. Oggi mentre suonavi mi è sembrato di trovare un piccolo eden in quest’anno di merda". Lavorare qui dentro offre una posizione interessante per osservare l’andazzo generale. Queste strutture sono, infatti, microcosmi dove (detto malamente) confluiscono i resti, le storie difficili e tormentate.
Da fuori le chiamano "comunità", ma si chiamano Residenze Assistenziali Flessibili. Nelle R.A.F. c'è chiunque: donne e uomini di età, estrazione e provenienza diversa. Corpi e volti che spesso portano segni visibili o da cui non traspare nulla, perché il problema è nel profondo. Persone con gravi disturbi della psiche, disabili, malati, emarginati, persone che all’apparenza sembrerebbero solo enigmatiche o un po' freak. Un pezzo della mia vita è insieme a coloro che cercano una cura, un riparo dal dolore, dal delirio, dalla strada o dalle dipendenze che portano all’annientamento individuale.
La musica se non può salvarci può fare tanto. E proprio qui, in questa zona di confine, arriva la conferma. In un contesto problematico, la musica condivisa in presenza è una terapia, che senza aver la pretesa di esser risolutiva è sempre stata un successo.
Negli ultimi anni abbiamo cantato, suonato, ballato, preparato playlist seguendo i percorsi più disparati. Dopo decine di prove abbiamo messo in scena quattro spettacoli di teatro-canzone, accingendo da diversi repertori. Su proposta degli ospiti, poi, abbiamo scritto uno spettacolo inedito sulla musica italiana dal juke-box a Spotify, che abbiamo presentato in un piccolo teatro qui vicino. Con le canzoni siamo andati avanti e indietro nel tempo, ci siamo fatti ispirare, ci siamo confrontati su temi e atmosfere raccontando noi stessi. Quest’anno, grazie alla musica condivisa in presenza abbiamo tenuto accesa la luce di una candela nel buio profondo.
Quante persone ho conosciuto in questo percorso. C’è chi si racconta attraverso i testi delle canzoni, chi vuole sfogarsi fisicamente cantando sottovoce o a squarciagola, chi rinsalda il legame con gli altri o con le proprie radici culturali, chi cerca solo il divertimento.
I riferimenti musicali degli ospiti più giovani rimandano sempre a qualcosa di vivo e attuale. Rap, pop, a volte qualcosa di più alternativo. I reduci della strada fanno richieste mirate e spesso grazie a loro riscopro canzoni evocative che giacevano impolverate nella memoria. Qui ci sono pochi pregiudizi e tante sorprese: solo il repertorio italiano può includere Vivaldi come Ghali, Modugno o Lo Stato Sociale. La curiosità non manca e le novità arrivano. Chi vuole approfondire si appoggia anche agli educatori e agli operatori socio-sanitari, che sono giovani.
Nei nostri incontri la musica si mischia agilmente alla letteratura, al cinema e ai fumetti. Un utente ha voluto sonorizzare alcune poesie di Trilussa, scelte e recitate da lui "per sdrammatizzare". Una ragazza per combattere il periodo impegnativo ha fatto la stessa cosa con Le nuvole di De André, che "vanno, vengono, a volte si fermano".
Abbiamo dedicato tempo anche alla danzaterapia e al ballo come forma di rilassamento. Per preservare le funzioni motorie abbiamo ballato sull’Istituto Nazionale di Cumbia e ci siamo distesi dolcemente su Gli uccelli di Battiato.
Come tutti, anche chi vive in comunità soffre lo stato attuale delle cose. In questi mesi non hanno visto parenti e amici e non sono usciti dalle strutture. L’appuntamento con la "musica condivisa in presenza", con le sue diverse funzioni e possibilità, è un momento sempre atteso perchè è visto come un’opportunità, un generatore di energie individuali e di gruppo.
Fuori dal microcosmo della comunità le canzoni vengono pubblicate ogni settimana e i musicisti e gli autori scrivono e continuano a produrre album insieme o lavorando a distanza. Ai musicisti e al pubblico mancano i concerti, ma qualcuno inizia a chiedersi se la pandemia cambierà abitudini e modalità di fruizione. Di certo, non basta dire che la musica sia indispensabile, ma che l’esperienza musicale condivisa in presenza insieme agli altri lo è. Vale la pena ribadirlo oggi, perché purtroppo non sembra più un concetto così ovvio.
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L'articolo La musica, un piccolo eden in questo anno di merda di Lo Straniero è apparso su Rockit.it il 2021-03-09 09:30:00
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