Alcune esperienze della vita ti capitano quasi per caso ed è sempre una fortuna quando succede. Pochi giorni fa mi arriva un messaggio su WhatsApp da un ragazzo della redazione: “Ho una proposta un po’ pazza per te”. In allegato c’è un link di un concerto che si svolge nell’ambito del Salone del libro di Torino, in un posto a me molto caro: il Cinema Massimo, a due passi dalla Mole Antonelliana.
Apro il link e scopro che si tratta di uno spettacolo di Iosonouncane, artista che ho amato in DIE ed ho letteralmente venerato nel nuovo disco IRA. Purtroppo, un po’ per la vita, un po’ per la sfiga, non sono riuscito a vedere il live del disco in questi mesi, così, in una frenesia improvvisa leggo d’un fiato il contenuto della pagina, sperando di trovare le parole: “Jacopo incani eseguirà i brani di IRA”. Quello che invece scopro è, se possibile, ancora più stimolante: mentre si trovava a Roma per una residenza artistica, Incani ha fatto la conoscenza di Alessandro Gagliardo, autore insieme a Enrico Ghezzi del film Gli ultimi giorni dell’umanità. Da questo incontro nasce l’idea di musicare un film muto di Gagliardo, Sacramento, composto da un flusso incessante di immagini. L’occasione per Iosonouncane è di “sviluppare altrove una relazione col mio suono”, come da lui stesso dichiarato.
“Wow!”, penso, “Non sarà IRA, ma è un progetto ancora più speciale che non posso perdermi”. Così confermo subito la mia presenza. La risposta alla mia reazione entusiasta mi stranisce: “Certo, a quell’ora sarà un po' da zombie”. Scevro della frenesia iniziale, ritorno a leggere la pagina dell’evento e trovo un rigo che mi era sfuggito: “Un rito collettivo che si svolgerà alle 5.17 del mattino”. Ah. D’altronde l’idea di Sacramento è proprio questa, unire i vagabondi della notte che stanno finendo la serata e mattinieri super mattinieri già in piedi alle 5 di mattina. Un rito collettivo appunto, un evento, una performance “la cui centralità risiede nel suo accadimento”. Ma non facendo, ahimè, parte dei mattinieri super mattinieri l’unica possibilità che ho per vedere lo spettacolo è quella di uscire e stare in giro fino alle 5 e 17 del mattino.
La notte si fa più buia prima del mattino e a Torino fa luce alle 7. Così, mentre mi avvio verso il cinema, la città sembra un lugubre involucro vuoto, senza un pedone né una macchina, avvolta da una nebbia soffice e dall’oscurità imperante. Mi sembra il clima perfetto per Iosonouncane e sono felice come un pargolo, anche se un po’ stordito dalla nottata “dignitosamente brilla” passata in giro con Sara, la mia compagna. Entriamo nel cinema un po’ sbilenchi e notiamo che non siamo i soli in quello stato: i volti di chi ci circonda mostrano i segni del cuscino oppure la spumeggiante effervescenza dell’alcol, c’è chi fa fatica a stare in piedi e chi dorme sulle poltrone in attesa dell’inizio. Si respira un clima mite seppur allucinatorio, considerato l’orario, ed è come stare in dormiveglia. È tutto meraviglioso.
Finalmente si spengono le luci, parte la musica ed inizia un flusso d’immagini variopinte, estremizzate e a tratti incomprensibili. Il sonno e la sottile ubriachezza mi fanno stare in un stato d’abbandono che si concilia in maniera incredibile con questa situazione. Mi sembra di essere Mark Renton in Trainspotting: troppo a pezzi per dormire, troppo stanco per stare sveglio. Tutto diventa straniante e onirico. Sembra di vivere un sogno paradossale dove realtà e finzione si mescolano e dove la musica fa da collante. Sul palco troviamo la formazione che ha portato in tour IRA in questi mesi: Jacopo Incani, Bruno Germano, Amedeo Perri. In formissima.
Il roboante ritmo cresce e scende d’intensità, s’aggroviglia e frastuona la sala, la prende a schiaffi. Le immagini caleidoscopiche s’intristiscono e si fanno potenti in un progredire senza sosta. L’esperienza vive di chiari scuri ed in un momento arriva il silenzio. Una cupa cassa batte i quarti mentre le immagini di un vulcano che erutta in tutta la sua eleganza e potenza arrossisce i volti degli spettatori. È una sorta di Koyaanisqatsi ancora più frenetico e inestricabile. Qualcuno – molto pochi – non riesce a non cedere ai colpi del sonno, altri sono come sotto effetto di LSD e guardano lo schermo attoniti. Io e Sara siamo attratti da tutto, ci guardiamo ogni tanto ridacchiando e pensando a cosa stiamo assistendo.
L’atmosfera resta cupa e solenne in pieno stile di Iosonouncane, le immagini parlano grazie ai suoi suoni e restituiscono di tanto in tanto quella dolcezza fatta di leggere melodie e colori tenui. È a tutti gli effetti un viaggio che rapisce e tiene incollati fino al climax finale, in cui tutto s’accapiglia e si mescola. Un frastuono generale e una mitragliata d’immagini di uomini e donne e paesaggi e natura lasciano il posto al silenzio assordante. Alcuni secondi di niente. Poi tiepidamente mi raggiungono degli applausi, alcuni si alzano in piedi, altri continuano a dormire. Pian piano diventa tutto uno scrosciare di mani che battono mentre s’accendono le luci. L’applauso spella dita va avanti per dei minuti fin quando con un inchino il trio ringrazia il pubblico e tutti iniziano ad uscire.
Non ci siamo ancora ripresi e vaghiamo per la strada ritornando a casa. Le prime luci del mattino fanno breccia oltre l’oscurità della notte. Sono le 7 e 35 circa. Quando ci buttiamo nel letto non siamo perfettamente certi di essere svegli. Quello che sappiamo è che quell’evento, quel rito collettivo, ha tenuto davvero fede al suo obiettivo: sospeso tra sogno e realtà, è stato unico nel suo sviluppo e unico nel suo significato, ed è destinato a scuotere l'animo ancora per anni a venire.
---
L'articolo Il suono del silenzio secondo Iosonouncane di Pantaleo Romano è apparso su Rockit.it il 2021-10-19 14:00:00
COMMENTI