Uno Sziget sempre più grande e sempre più simbolo dei Festival europei, quest'anno con una nutrita presenza italiana anche sopra i palchi. I giorni sull'isola di Obuda raccontati da Letizia Bognanni.
Mai come quest'anno l'Italia è giunta in forze allo Sziget e lo ha fatto con un chiaro obiettivo: cancellare una volta per tutte l'immagine dell'italiano con mandolino – concetto che ci tiene a sottolineare ripetutamente Luca Romagnoli durante il live dei suoi Management del dolore post-operatorio, uno dei più affollati e divertenti visti sul palco allestito da Pugliasounds.
Puglia capitale, lo dico sempre io. Le nostre giornate sull'isola cominciano tutte sotto il tendone italofono, dove, fra un espresso e un piatto di pasta (dicevamo dei cliché?), ci chiediamo – cito una mia amica barese che me lo domanda su Facebook: “com'è la Puglia vista da Budapest?”, e ci rispondiamo: è bella e viva. O meglio, visto che le band non arrivano solo dal tacco, tutta l'Italia da qui sembra bella. Sarà l'atmosfera Peace&Love che si respira, ma ci lasciamo coinvolgere - senza tante pippe e distinguo - dal rock onesto e un po' tamarro degli One Way Ticket, dall'annottantismo estremo dei Serpenti, dal pop stiloso dei Fabryka, anche da Erica Mou, che ai tempi di Sanremo avevo sottovalutato, e invece non è lagnosa come mi era parso. Brava. Le star della situazione sono i Ministri (che suonano lo stesso giorno dei Ministry. L'avranno fatto apposta gli organizzatori? Che simpatici burloni), belli massicci incazzati come sempre, con pubblico degno che non si risparmia in cori e crowd surfing. I più fighi del lotto però sono i Bud Spencer Blues Explosion, non ce n'è per nessuno. Luca Serpenti dice di essere contento di aver suonato nel giorno dei “big”, e in effetti, senza nulla togliere alle altre line-up, quelle del 10 agosto sono state tre belle ore di meglio italianità, speriamo che fra il pubblico ci fosse anche qualche straniero ad apprezzare.
Ma non di sola Pugliasounds vive l'Italia allo Sziget: sul palco Arena (dall'acustica non eccelsa, a dire la verità) mercoledì ci sono i Cani, venerdì Il Teatro degli Orrori. La fiera dello snobismo, alto-intellettuale il live di un Teatro dal Capovilla di insolito buonumore, popular-radical-chic quello dei Cani, che mantengono dal vivo il tono supponente che tanto ci piace (cosa cantate “Velleità”, pubblico sciocco e inconsapevole, non vedete che ridono di voi? Io? Io non ho velleità, sono artista veramente, io. Ehm...). Colgo l'occasione per dirti una cosa. Sì, sto parlando con te, fricchettone di seconda mano, questa non è la Notte della Taranta, adatta il tuo modo di ballare al contesto oppure vai a vedere Bregovic. Qualcuno doveva dirtelo (e sarebbe stato stupendo se l'avesse fatto Capovilla, scendendo appositamente dal palco con fare minaccioso). Il fricchettone in libera uscita è una triste costante del festival, forse se eliminassero il World Music Stage... Sì sì, avete ragione, non si può avere tutto dalla vita, e poi lo Sziget è democratico e c'è posto per tutti, anzi è proprio questo il bello, come osserva giustamente Tiziana dei Fabryka: «Mi sento bene in queste situazioni, mi sembra che quello che facciamo sia adatto. E poi è bello, c'è tutto questo verde, e tutti questi palchi dove ognuno può trovare la musica che preferisce». Vero. Allora facciamocelo, un giretto per i palchi.
Il primo giorno è Metal-day, un solo palco aperto e tanti scappati da motoraduni. Facciamo un po' di headbanging a caso, vorremmo aspettare i Lacuna Coil giusto per amor patrio, poi cediamo e optiamo per un giro in città.
Il giorno dopo inizia il divertimento, il popolo dello Sziget è arrivato. Incontriamo gente in veste da camera, in tenuta militare, in costume da orsacchiotto (lui vince tutto). Prima della full-immersion musicale esploriamo: area shopping, area relax, area creativa. Sono tentata dallo stand dove puoi disegnare il tuo fumetto, ma non troverò il tempo, peccato. Nella Civil Area (il regno dei new-agers e dei bevitori di tisane al karkadè) una tipa dai modi soporiferi mi invita a girare la ruota filosofica. Ci vogliono due minuti, quindi lo faccio. Una girata, una massima. La mia recita: «Quando ti svegli al mattino pensa a quale privilegio è essere vivo, pensare, divertirsi, amare». Beh, facile seguire il consiglio, quando ti svegli e sai che per cinque giorni non farai altro che vedere concerti, mangiare, bere e cazzeggiare.
Per cominciare, vediamo quali occasioni di felicità ci offre il Main Stage: tanta sana uggia british con Glasvegas, Hurts e Placebo. Per Maxïmo Park e The XX facciamo le vip, e ce li ascoltiamo comodamente sedute all'ombra, sorseggiando un aperitivo nella zona professional, proprio accanto al palco. Si sente benissimo, viene voglia di farsi tutto il festival così, ma (a parte che a sentire e non vedere ci si possono perdere cose serie come il look da coltivatore di granturco dell'Ohio dei Vaccines), lo spirito da fan proletarie ha la meglio: gli Stone Roses ce li guardiamo sottopalco. Devo dire, non senza rammarico, che concordo con Luca Serpenti: «Avevo grandi aspettative ma alla fine sono stati un po' mosci». D'altro canto trattasi pur sempre di reunion alla anche le rockstar hanno il mutuo da pagare, e Ian Brown che gioca coi pupazzetti e con gli aerei di carta è simpatico, e il finale volemose bene con i coriandoli e “Redemption Song” fa subito festa. Pare invece, sempre a detta di Luca, che abbiamo sbagliato a snobbare i Korn, i quali avrebbero offerto, anch'essi smentendo le aspettative, un ottimo show. Sarà per la prossima volta (forse).
Sabato cielo grigio, temperatura a picco e audio con fastidioso rimbombo. Per fortuna non piove, e comunque Noah And The Whale, The Horrors e Two Door Cinema Club ci piacciono lo stesso.
Altro giro altro palco, l'A38, quello che ci riserva maggiori soddisfazioni. Anna Calvi – scusate se mi ripeto, ma tu, fricchettone scalzo che fai roteare clavette a occhi chiusi, puoi portare il tuo inutile stato di beatitudine fuori di qui? Questo è il concerto di Anna Calvi, e lei è bellissima ed elegantissima, e ha classe, ed è rock, santi numi, un po' di rispetto! Scusate di nuovo.
Anna Calvi, dicevamo. Brava e bella.
I Roots – qui non si è grandi fan dell'hip-hop, ma ci si è divertiti. Yo. E i nostri vincitori assoluti, rullo di tamburi, ladies and gentlemen the Friendly Fires. Frizzanti, rivitalizzanti, e il movimento pelvico di Ed McFarlane dovrebbe essere proclamato disciplina olimpica. Non provate a farlo a casa.
Un'ultima passeggiata per palchi da cui provengono rap bulgaro e reggae francofono, il Blues Stage su cui suonano dei tizi che sembrano i nonni degli Offspring (no, non sono ubriaca, veramente. Cosa c'entrano col blues? Chiedetelo a chi li ha invitati, io che ne so), bar dove si ballano i Red Hot Chili Peppers sui tavoli, una tenda inquietante con fuori una croce e una bibbia al neon e dentro dei tavolini. Per confessarsi? Boh. L'ultima cena al banchetto vegan (attenti ai felafel, causano dipendenza) ed è ora di andare. Prendiamo il battello, così l'addio (l'arrivederci, dai. Anche lo Sziget crea dipendenza, una volta non basta e due nemmeno) è lento e dolce.
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L'articolo Sziget Festival 2012 di Letizia Bognanni è apparso su Rockit.it il 2012-08-05 00:00:00
COMMENTI (2)
i deluded by lesbians il gruppo che ti prende bene anche solo a sentire l'intervista!ah poi al ritorno vi ascoltai e vi aprezzai subito!il cd non l'ho ancora ordinato ma prometto farò!bassano vi stima e stima il mambo e chi si è sbattuto per renderlo possibile!respect!
grande tutto lo staff del Mambo Stage. una grande famiglia. qualcuno però si è dimenticato dei deluded by lesbians :PPP