Breve diario di bordo per sei giorni su un'isola e fuori dal mondo. Un festival dove la musica è più un pretesto per fare altro, tipo divertirsi. Di Alessandra De Ascentis.
Per tirare veramente le somme di cos'è stato il Sziget Festival bisogna partire da quello che non siamo riusciti a fare. Dopo il Primavera Sound, ero convinta che non si potesse sopravvivere ad eventi del genere oltre i tre giorni. Qui i giorni sono sette, più del doppio. Viene da fregarsi le mani e avere paura contemporaneamente.
Se salti solo la serata di apertura (una formalità), più o meno va così: il primo giorno sei in forma ed è facile. Alla fine del secondo inizi a farti delle domande sulla tua effettiva capacità di sopravvivenza. Il terzo ti ubriachi oltre il limite massimo consentito. Dopo il quarto ti convinci di non poter vivere in nessun altro posto. Il quinto giorno ti viene la febbre e il sesto ci sono gli Editors, quindi ti tieni la febbre e decidi testare su te stesso gli effetti dell'interazione tra paracetamolo e birra, assunti ripetutamente.
Cosa ci siamo persi, dunque? Un sacco di roba. Ci siamo addormentati sfiniti sulla collinetta dell'OTP Stage durante il live dei Calexico e ce li siamo persi. Per il sonno ci siamo persi metà del live di Woodkid e ci siamo mangiati i gomiti per i tre giorni successivi. Ci siamo persi Kusturica, perché suonava contemporaneamente ai Blur (il total denim di Damon Albarn e commuoversi durante Tender sono sempre una priorità). I Bat for Lashes, persi, perché le gambe non reggevano e siamo andati sederci sul prato. Non è mai bello scoprire cosa sei disposto a sacrificare quando c'è così tanta carne al fuoco.
Ed era veramente tanta. Chase&Status, virtuosissimi, da ballare "cocktail in una mano e l'altra in aria". Nick Cave, che se sapesse che coltellata è stato il suo concerto probabilmente si sentirebbe in colpa. Gli SKA-P (sì, sei ancora capace di buttarti nella ressa polverosa cantando "A la Mierda" come a 18 anni). Gli Empire of the Sun che quando li vedi dal vivo è come guardare La Sirenetta fatto di MDMA e mezz'ora dopo i Tame Impala, che ti convincono definitivamente che l'Australia sia l'unico posto al mondo in cui si può essere veramente felici. I !!!, i Bad Religion, Nero, Noisia, Biffy Clyro, la Parov Stelar Band, gli altri mille che non sto qui ad elencare. E l'Italia. I Mellow Mood, sempre zen e solari e Iori's Eyes, dolcissimi. I Figli di Madre Ignota, che sbandierano la veracità del Bel Paese durante un live mediterraneo e folkloristico, apprezzatissimo soprattutto dai più biondi. Gli LNRipley, che ti fanno sentire patriottica come non credevi possibile. Victor che sale sul Mambo Stage e offre shottini a tutti, poi si arrampica sull'impalcatura e inizia a cantare come un primate in preda a un delirio drum'n'bass. Tutti che muovono il culo nonostante i diecimila gradi, tutti che si sentono a casa, perché davanti a un palco dedicato solo all'Italia non puoi che essere a tuo agio.
Poi. Poi quello che non avresti mai visto di tua iniziativa. Mika, vestito come Willy Wonka, in un'overdose pop. Quella panterona di Skin che intona acuti da convulsioni. David Guetta, che chiude il festival con tanto di fuochi d'artificio sopra, cannoni che sparano fuoco, coriandoli dappertutto e un livello di tamarraggine che non credevi si potesse raggiungere.
Ma la cosa più strana è che, una volta finito, ti rimane la sensazione che il Sziget non sia un festival di musica. Come se i concerti non fossero che il pezzetto di formaggio sulla trappola per topi, la pastura gettata in mare prima della pesca. Non il *premio definitivo*. Piuttosto, il Sziget è l'Erasmus che non hai mai fatto. Il festino in casa quando i tuoi sono in vacanza, ma con 400 mila invitati. Svegliarsi, raggiungere l'isola ancora mezzi addormentati e ricominciare a far baldoria prima ancora di aver ripreso conoscenza, entrando da subito in un loop in cui non capisci mai se sei sveglio o stai sognando. Finire belli ubriachi in uno spettacolo di acrobati e rimanere a guardarlo a bocca aperta. Andare in giro in reggiseno su un'isola de-hipsterizzata, dove puoi bere tutta la birra che ti pare, fottertene del caldo e limonare con sconosciuti sul dancefloor. Dove la gente si mette in maschera perché è più divertente che mettersi in posa, sono tutti presi bene e vanno in giro tra un palco e l'altro in motorino (sì, in motorino). Un circo a cielo aperto grande quanto tutta l'isola. Budapest che si dissocia dalla sua eredità sovietica per scoppiare di vita in un modo "tanto bello e violento che si dovrebbe vergognare".
(Iori's Eyes e Mellow Mood)
"The World is your playground, not your prison", diceva qualcuno. Se per caso vi fosse passato di mente, questo è il posto per voi. La musica non è che il pretesto.
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L'articolo Sziget 2013 di Alessandra De Ascentiis è apparso su Rockit.it il 2013-08-05 00:00:00
COMMENTI (2)
Io c'ero!!!! Alle persone che mi hanno chiesto com'è stato ho risposto che era come da piccola mi immaginavo il Paese dei Balocchi di Pinocchio. Ecco. Lo Sziget e' stata un'esperienza unica ed emozionante!! E come organizzazione e' il miglior Festival Europeo.
"Se salti solo la serata di apertura (una formalità), più o meno va così: il primo giorno sei in forma ed è facile. Alla fine del secondo inizi a farti delle domande sulla tua effettiva capacità di sopravvivenza. Il terzo ti ubriachi oltre il limite massimo consentito. Dopo il quarto ti convinci di non poter vivere in nessun altro posto. Il quinto giorno ti viene la febbre e il sesto ci sono gli Editors, quindi ti tieni la febbre e decidi testare su te stesso gli effetti dell'interazione tra paracetamolo e birra, assunti ripetutamente."
direi che questa descrizione rispecchia in maniera quasi inquietante la mia esperienza del 2006, l'unica vera differenza sta nell'interazione tra sostanze: io mi buttai su zerinol e whiskey al bar del padiglione metal. DON'T TRY THIS AT HOME!