Budapest, 8 - 15 Agosto, isola di Obuda. Giusto il tempo di tornare alla vita di tutti i giorni e togliere la terra da sotto le scarpe, e cominciamo tirare i fili di quello che è stata l'ultima edizione dello Sziget Festival. 26 edizioni alle spalle e 565.000 biglietti staccati, nel cuore della capitale ungherese, ne fanno uno dei più importanti appuntamenti musicali europei. Solo per questo? No, non solo per questo. Lo Sziget non è un festival perfetto, e principalmente per quella storia per cui spesso perfetto è il contrario di bello, buono, vero o interessante. Lo Sziget è invece proprio tutte queste cose insieme, forte di un'anima pura e inconsapevole che non ho mai visto in nessun altro posto. Ma andiamo per gradi. Lo Sziget, spesso, non è considerato come il più colto o raffinato dei festival. Come sappiamo che il Primavera è il cugino cool, o che il Coachella ormai è quello famoso (sul Coachella ci torneremo, è importante). Volando sull’utopia di un lungo e continuo carnevale, lo Sziget Festival è intanto un festival generalista. Cercando quindi di accontentare un po’ tutti, tutti è esattamente il pubblico che ti troverai davanti. Dagli armadi in canotta che si stringono in grandi virili pacche sulle spalle allo stoner coi capelli lunghi e i calzini alti, in mezzo ai due c'è tutto lo spettro delle categorie umane. Questo non è però un difetto, quando è fatto su una scala così grande. Accontentare tutti è quasi sempre non accontentare nessuno, perché se cerchi di essere tante cose contemporaneamente disperdi energie e probabilmente non riuscirai a farne bene nessuna. Allo Sziget questo non accade, e questo perché è fatto su una scala diversa, ed è tutto talmente grande che qualsiasi cosa tu possa trovare dentro il festival è, come minimo, fatta abbastanza bene da essere gloriosa. Ti piace la techno bella lisciata? Hai Ben Ufo, Damian Lazarus e Art Department dentro un enorme colosseo di pallet e casse. Vuoi bere vino dal cartone alle 4 di pomeriggio? Gogol Bordello per due ore e mezza nel Main Stage, tra il sole alto e mille bandiere colorate. Vuoi sentire un po’ di rap fatto bene? Kendrick Lamar e Stormzy. Poi Arctic Monkeys e Dua Lipa, Liam Gallagher e Goo Goo Dolls. Lana Del Rey, Gorillaz, Shawn Mendes, Chet Faker, The War On Drugs, La Femme, Aurora, Bonobo e altri mille artisti.
Se abbiamo parlato prima delle dimensioni e del pubblico, e solo dopo della line up, un motivo c'è. Un Festival non è mai infatti (solo) la sua line up. I nomi che vengono portati dentro, sotto e sopra i palchi sono parte integrante e fondamentale della costruzione dell’esperienza, certo, e hanno il 90% del peso sull’esperienza complessiva prima dell'inizio del Festival. Ma non durante, dove valgono almeno la metà. Perché intanto in un festival solitamente le esibizioni durano meno rispetto ai tour individuali, e a volume solitamente più basso, e poi perché in una line up così ricca e versata su più palchi nessuno riuscirà mai a vedere tutti i concerti che vuole. Come regola generale, quindi, tanto vale segnarsi i propri imperdibili due o tre acts e godersi tutto il resto. Quel resto, quindi, diventa la cifra segnante dell’esperienza Sziget più della maggior parte delle esibizioni in sé. E il resto allo Sziget è costruito con la stessa cura messa nell'allestimento del main stage, fosse anche per l'ultima area relax in fondo all'isola. Una volta varcato il ponte infatti la prima impressione è quella di essere davanti ad un enorme distesa di tende, luci, installazioni, chioschi, tendoni da circo e colori, tantissimi. Solo dopo ti accorgi dei palchi. Certo è che si tratta comunque di un festival musicale, e nessuno qui vuole minimizzare quella che è comunque la componente fondamentale. Ma raccontare il festival solo nell'elenco delle sue esibizioni sarebbe tradirne l'esperienza. E, tutto sommato, una serie di live report in pillole di un festival del genere non sarebbe certo una lettura così interessante.
Lo Sziget è un’impressionante macchina da guerra, dove tutto è organizzato con una precisione incredibile. Non un problema tecnico, un inciampo, un errore, fila tutto liscio. File per le casse? Nessuna, si paga con il braccialetto d’ingresso, così non perdi tempo ad abituarti alla valuta estera. Bicchieri in plastica buttati in giro? No, i bicchieri si riciclano. Quando hai finito lo riporti e lo cambi o lo riempi. Se no te ne devi comprare un’altro (Che costa quasi quanto la birra, anche perché la birra costa veramente poco.). Sta per piovere? Te lo dicono su tutti gli schermi e in filo diffusione pure in mezzo ai boschetti. C’è troppa fila per il bagno? Niente, fai la fila e aspetti il tuo turno per un bagno chimico intasato. Questo c’è. Con mezzo milione di persone in mezzo ai boschi per una settimana, non vedo come avrebbero potuto fare diversamente. Lo Sziget insomma è sporco, rumoroso, caotico. Questo è un bene e questo è un male. Perché e bello rinunciare alle convenzioni in questo grande circo a metà tra un primo maggio che dura una settimana e un parco giochi per maggiorenni. Però è anche bello lavarsi, o dormire. Ma va bene così, abbiamo scelto di stare dentro il festival e non stiamo qui a fare le principesse. Stai andando una settimana in tenda allo Sziget, se volevi le fettine di cetriolo sugli occhi te ne andavi a Saturnia. In realtà la tenda, il fango, l’alternarsi di puzza di merda/fritto/piscio/alcol, la casse sempre e ovunque tirate al massimo e i chioschi di cibo strano comunque e a qualsiasi ora riescono a diventare un’assurda routine, in una realtà alternativa dove tutti giocano a costruirsi un personale e stravagante orologio biologico. Così mentre tu ti vai a lavare c'è sempre qualcuno accanto che ha già in mano un secchiello di Long Island. Quello che veramente riesce a romperti i coglioni è la terra. Chili di terra che ti finiscono nel sacco a pelo, nella maglia, in gola, nella birra che ti si sta scaldando in mano e nel panino marcio che mangerai alle 4 del mattino, marcio pure tu. Nella mia personale, empirica, poco scientifica conclusione, il vero nemico è la terra. E continuo ad essere convinto che sia la terra, in fondo, a dare la spinta finale verso quella che viene chiamata "festival flu". Perché comunque tra il dormire in una tenda, mangiare unto e a orari sbagliati, bere e fumare almeno un giorno e mezzo di febbre misto mal di gola e sintomi vari se lo fanno tutti. Per tutti intendiamo dire che verso metà festival diventa una frase da dire agli sconosciuti per attaccare bottone in tutto il festival “Hey! Where are you from?” “Excited for Kendrick Lamar / Arctic Monkeys / Chet Faker?” “Have you already got festival flu?”.
Arrivati a questo punto, tra terra, casino, febbre, tenda e privazione del sonno, più che il report dell'esperienza di un festival sembrano le memorie di un veterano del Vietnam. Va bene tutto, belli gli show, ma chi vorrebbe andarci in un posto del genere? Ecco, dopo aver indicato la grossa crepa sul muro vorremmo parlare di quella che è la cosa più importante dello Sziget. L'atmosfera che si respira. E non è retorica, ma è forse ciò che più di tutti vale la pena portarsi a casa da quella settimana lì. Dal momento in cui arrivi a quando te ne vai ti sbattono continuamente in faccia che quella è l'Isola della libertà. L'isola della libertà, capito? Puoi essere chi davvero vuoi essere dentro la tua giacca di una qualche catena americana. Puoi essere unico con i tuoi capelli colorati, unico come tutti gli altri! Lo Sziget Festival non è immune, anzi, alla coachelizzazione. Quel fenomeno che vede ormai i festival come grandi showroom, dove più che gli artisti a rapire i cuori sono le mode e le tendenze. Con un proprio codice di immagine, in quella settimana è un continuo fiorire di glitter, fluo, t shirt irriverenti e occhiali specchiati, per diventare finalmente una di quelle instagram story viste durante la primavera. Non siamo ingenui, né vogliamo improvvisarci dei Michael Moore del costume. Sappiamo che eventi come questo si reggono sulla base degli sponsor. Per distinguersi ed essere efficace in quel contesto lo sponsor necessariamente creare una propria narrazione, che, in quello che ormai è un vero e proprio mercato dei festival, in questi casi aderisce al modello Coachella. Di nuovo, è una constatazione, nessuno sta urlando al brutto mostro dell'occidente. Ma è impossibile non notare che dietro l'isola della libertà c'è un grosso elefante nella stanza. Nella ricerca di una propria identità colorata e spavalda, alternativa alla vita di tutti i giorni, spesso non si ha davanti altro che un ennesimo processo di omologazione, e sarebbe ingenuo parlare di tutti quei colori senza quantomeno lanciare uno sguardo dietro le impalcature. Che poi l'omologazione è un processo tipico dei giovani, anche di chi scrive, e c'è sempre stato e ci sarà sempre. Rientra nel voler appartenere a qualcosa, e poco importa se passa attraverso migliaia di glitter regalati dentro il festival a migliaia e migliaia di ragazzi. Ma in tutto questo, c'è qualcosa di vero e tangibile. E di importante.
Se, come abbiamo detto, la ricerca della propria isola della libertà passa attraverso sponsor, brand e un diffuso e omologato codice estetico, tutto tende verso un'urgenza del pubblico. Di nuovo, di tutto il pubblico. Appena varcata la soglia dello Sziget infatti la più grande frenesia generale non è per un'artista o un palco, ma per la voglia stessa, matta e disperata, di essere lì in quel momento. Ed è questa la vera atmosfera dello Sziget, quella voglia di evadere dal mondo reale per una settimana, dentro un'isola che non c'è fatta di musica, gente, cibo, birra e colori. Il paese dei balocchi esiste, ed è per bambini nemmeno troppo cresciuti. Un gigantesco luna park in cui scordarsi la propria routine e crearsene una nuova, fatta di decine di concerti e migliaia e migliaia di sguardi mai visti e simili al tuo, ma che vengono da ogni angolo del mondo. L'esperienza del festival è quella della ricerca di una summer of love anche per la nostra generazione, dentro uno spirito new age 2.0. Quello spirito coincide spesso con il godersi il qui ed ora, in una filosofia di vita tanto diffusa quanto probabilmente semplicistica. Allo stesso tempo però quello stesso banale modo di viversi il festival ha un magnetismo incredibile. Per compiere una ricerca anche su se stessi e su cosa veramente ci piace o vogliamo fare. È chiaro che non sarà un live da 80.000 persone o l'alba dietro un dj set a dirti chi sei, quello devi dirtelo tu da solo, stai solo vivendo un'illusione. Ma se quell'illusione di essere davvero al posto giusto e nel momento giusto, e che quelli siano il posto e il momento migliori della tua vita, sono così diffusi, anche se solo sulla pelle, sono davvero un'illusione? Dietro quei colori, quelle luci, quel rumore ci sono migliaia di corpi che si colorano, si toccano, si spingono, si rovinano e si rimettono in piedi come non contassero nulla il prima e il dopo. Non è giusto e non è sbagliato, è un sentimento di autentica ricerca di un'evasione, fosse anche di cartone. E se questo è da buttare, non so cosa possa avere importanza. Lo Sziget Festival quindi non è l'isola della libertà per i suoi concerti, per i suoi colori o per le luci sopra gli alberi, lo è davvero e nel significato più intimo nello spirito di ognuna delle 565.000 persone che hanno preso un aereo, una macchina, un treno, dormendo in una tenda e scordandosi la salute, per vivere anche solo un momento che possa essere il momento della loro vita. E poco importa se dura solo una settimana, o se è solo un'illusione, ne vale comunque la pena. E in fondo puoi tornarci l'anno prossimo. Noi saremo lì, ancora una volta.
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L'articolo Quanto costa il momento migliore della tua vita? Il racconto dello Sziget Festival 2018 di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2018-08-24 14:04:00
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