I concerti di pianoforte hanno un'aura di inavvicinabilità che risparmia solo sfegatati e addetti ai lavori. Errore madornale, perché in alcuni casi, come questo, l'esperienza può essere molto piacevole. A pochi giorni dall'uscita del nuovo album PianoPiano, Cesare Picco stupisce a Torino. Stefano Fanti racconta.
Andare al un concerto di un pianista, in teatro, dove vige il silenzio, dopo essersi cibati in 27 secondi netti, saltando a piè pari tutte le lezioni di scienze in merito alla digestione, ed avere brontolii immondi – ma diligentemente nascosti - per tutto il tempo, pare non essere una mossa granchè arguta, per l'apparato di cui sopra, e per il piacere tolto alla visione ed all'ascolto di un musicista con i controfiocchi. Ma tant'è, la saggezza verrà.
Cesare Picco, pianista e compositore vercellese, al momento non molto noto in Italia ma in decisa ascesa dopo i successi esteri – in Giappone è una sorta di divinità – mi coglie di sorpresa, aprendomi le porte di un mondo che apprezzavo ma non seguivo con particolare interesse (pur essendo laureato in musicologia, qualcosa non torna), e a giudicare dal pubblico non sono il solo, nella mia fascia d'età, data la presenza quasi totale – un buon 80% - di over 50. Non che ci sia nulla di male, ma è sintomatico e fa tornare d'attualità certi discorsi sull'interesse per la musica in Italia.
Dopo le collaborazioni con Manuel Agnelli, Ascanio Celestini e Samuele Bersani tra gli altri, Picco, porta in tour il suo nuovo album "PianoPiano", fresco di stampa ed interessante crocevia tra musica classica, contemporanea e jazz, una sorta di Keith Jarrett bianco – definizione da prendere con le pinze - appassionato di Bach, di cui puntualmente suona uno stralcio di "Sarabanda" durante il live. Ma c'è anche un lato più mainstream nel suo pianoforte, rintracciabile nella revisione di "King For A Day" di Jamiroquai, bel pezzo che in questa versione raggiunge un'intensità emotiva enorme.
Tra brani sognanti e romantici ("Non Voltarti", "My Room") ed accenti più sperimentali, accostati a fondali video d'impatto, chiaroscuro urbani nella maggior parte dei casi, psichedeliche spirali claustrofobiche quando si preme l'accelleratore. Il live scorre piacevole, evidenziando l'enorme talento e la poliedricità del Nostro.
Dopo il caso Allevi - su cui bisognerebbe discorrere per ore - può sembrare più semplice emergere come pianista, ma la mia opinione è che il sopracitato cocciantesco (o branduardesco come preferite) musicista abbia paradossalmente - con il suo considerevole botto, non per colpe personali è ovvio - annacquato e reso reso semplice fenomeno di folklore la musica pianista. Anche per questo ben vengano Picco ed il suo versatile pianoforte.
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L'articolo Live Report: Cesare Picco al Teatro Colosseo - Torino di Stefano Fanti è apparso su Rockit.it il 2009-11-27 00:00:00
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