È da poco uscito "Weekend", il nuovo singolo dei Club Dogo. Noi abbiamo intervistato Don Joe per fare invece un punto della situazione sul beatmaking italiano: i giovani su cui ha scommesso con la sua Dogozilla Empire, gli errori più comuni che sente in giro, la trap, la dance, i cachet, tutto (mercato americano compreso). Una lunga intervista.
Il beatmaking in Italia. Forse non è un argomento così trattato ma è interessante, soprattutto per l'età dei produttori coinvolti.
Certamente.
Perchè far nascere una struttura come Dogozilla Empire?
L'idea iniziale era di raccogliere una crew di produttori nel mio studio. Poi la cosa è cresciuta ed è diventata un'etichetta che, ovviamente, non vuole mettere sotto contratto rapper ma produttori. In Italia non è mai stato fatto e volevo provarci.
Perché mancava una struttura che facesse da ponte tra l'etichetta e il producer, una sorta di management specializzato in beatmaking?
Bravissimo, esatto. Se una major, o anche un'etichetta indipendente, ha bisogno di contattare un producer ha una struttura con cui dialogare.
La cosa interessante è che un ragazzo di vent'anni può farlo, anche a livello professionale, pur rimanendo nella sua cameretta.
Esatto. Calcola che tutti i ragazzi che sono con me ora hanno già basi in dischi major importanti. Sono ancora ragazzi ma hanno già fatto cose grosse, non ha più senso considerarli principianti.
Di che età stiamo parlando?
Dai 17 ai 24 anni. Dj Andry, al primo contratto è stato nel disco di Gué Pequeno con un remix e ai tempi era minorenne, già ai tempi dei primi lavori in cameretta si capiva che aveva talento. Ovviamente poi quando uno arriva in studio alcune cose cambiano, soprattutto al livello di suono, ma alla fine è l'idea iniziale che conta, è sempre il produttore a fare la differenza.
Quanto si può guadagnare al mese?
In Italia i cachet sono ridottissimi. Già se fai il confronto con altri paesi europei senti la differenza, in America non te lo dico neanche, ci sono contratti da milioni di dollari. In Italia siamo nell'ordine delle migliaia di euro. Diciamo che un produttore che piazza cose in dischi ufficiali va dalle 500 euro alle 2000.
E un Don Joe a quanto me lo metti?
(ride, NdA) Sei nella fascia più alta ovviamente. Dipende dal progetto, ci sono stati anche dei casi in cui ho lavorato pro-bono. Se ci sono possibilità di crescita anche per me, si può ragionare insieme. Mi è anche capitato di fare beat a 5000 euro.
Qual è la cosa più importante di un beat?
Devi ispirarti alle cose che ti piacciono. Ovunque, non solo in Italia, trovi dei suoni che assomigliano ad altri, è naturale ispirarti a chi ti ha preceduto. È come se tu portassi avanti l'evoluzione di idee nate magari dieci anni prima, ovviamente con un suono migliore, più potente. E poi devi avere un minimo di originalità sulla scelta dei suoni, le batterie, piuttosto che i synth. Non servono necessariamente macchine analogiche, anche con i VST puoi creare suoni che siano tuoi.
Qual è l'errore più ricorrente quando si è agli inizi?
Quello di copiare troppo o di utilizzare solo i construction kit che si trovano su internet. Adesso va molto di moda comprare i pacchetti e lasciare la batterie così come sono. Lo si fa per comodità, per essere più veloci e creare più basi e prima di tutti.
E oggi quali sono i suoni che ti propongono più frequentemente?
Tra i giovanissimi l'approccio è quello di emulare il loro produttore preferito, in questo periodo va di moda la trap e allora, bene o male, tutti i nuovi produttori si assomigliano e fanno trap. Ce ne sono veramente pochi che provano altre strade, di massima trovi la solita batteria Roland, strautilizzata. Altri hanno idee più originali e magari campionano batterie vere, ma sono pochi.
Spesso il lavoro del beatmaker è sottovalutato. Anche le parole sono importanti, ovvio, ma immagino che il tuo lavoro incida parecchio sulla riuscita di un singolo.
Dipende, c'è il produttore che fa la base e basta, non si occupa delle melodie del ritornello o di altro. Io con i Dogo lavoro molto sui ritornelli, in quei casi il plus lo dai proprio da produttore. Ovviamente ci sono anche casi dove il pezzo funziona perché il rapper riesce a creare l'alchimia perfetta con la base che gli proponi. Diciamo che di due ipotetiche figure, una più invasiva e una che si limita a dare la base e basta, io preferisco essere il tipo di produttore che viene coinvolto in tutte le fasi di sviluppo del pezzo.
E lavorare su un singolo è diverso rispetto ad un brano normale?
Non capita quasi mai che il singolo nasca apposta per essere un singolo. Almeno, noi non lavoriamo così. Se troviamo una cosa che ci gasa, vediamo le liriche e solo dopo valutiamo se potrebbe essere un singolo o meno. Non è che la base fa tutto, lo capisci da solo, dipende da cosa ci canti su. Se sulla base di "Pes" canti qualcos'altro non è detto che trovi il match perfetto tra strofa e musica.
Te lo chiedo perchè mi ricordo di Fibra in un'intervista - raccontava di “Pronti Partenza e Via” - e spiegava che per un singolo il produttore doveva essere subito più aggressivo/ritmato, cose di questo tipo.
Ok, son d'accordo, ma mi parli di una base che viaggiava già per conto suo, può essere tranquillamente uno strumentale per un club e Fibra gli dà il valore aggiunto.
Il rap a cassa dritta, alla Fedez per intenderci, sembra già svanito.
Sì, è completamente svanita quella roba lì. E intendo proprio nel mondo, c'era già stato un momento con la deep house nei '90 dove il rap andava su basi elettroniche con la cassa dritta, però è durato una stagione.
Anche la dubstep sembra aver esaurito la spinta, c'è ancora qualcosa in zona Machete ma non molto di più.
Esatto, diciamo che le cose più d'effetto sono state le loro.
Ho vissuto un po' di mesi in America. Lì ho visto il live di Schoolboy Q, che è decisamente old school, se prendi Earl Sweatshirt pure. Sta tornando?
Tra l'altro il disco di Schoolboy Q mi fa impazzire. Anche Kendrick Lamar è decisamente old school. Diciamo che, tra mille virgolette, un po' spero che torni. C'era più creatività tra le strumentali: io arrivo da un periodo dove c'era da una parte la old-old-school e dall'altra i primi esperimenti con i synth. Il nostro suono deriva dal provare a mischiare le due cose, capisci che era già un crossover, era una cosa nuova. Adesso il suono che senti in giro è tutto elettronico, quindi è plausibile che tra un po' si ritorni a cose più originali. Non dico tornare all'uso del campione, ma magari tornare a suonare con strumenti veri...
...tipo Beastie Boys?
Si (sorride, NdA)
Invece sui suoni, diciamo, più sottili: tipo Drake, Frank Ocean, il soul arriverà anche in Italia prima o poi?
Stiamo parlando di artisti che hanno qualità canore potentissime, in Italia una persona a quel livello non c'è, almeno io non l'ho ancora sentita. Ci sono stati episodi che potevano ricordare quel tipo di suono, parlo di Parix, Nardinocchi, ma siamo ancora lontani. E non parlo solo della voce, è un impatto diverso, penso sia proprio un tipo di preparazione diversa. Frank Ocean è uno che canta, Weeknd uno che canta, Drake è uno che canta, capisci come tutto l'approccio produttivo cambi. Tra l'altro è un genere che non mi fa impazzire, ma posso capirlo, diciamo.
Delle robe italiane più oblique, tipo HLMNSRA, Digi G'Alessio, ti piace qualcosa?
Sono interessanti, non è il mio genere, ma la loro impostazione nella produzione è ancora quella di campionare molto, di sperimentare, chissà se ci sarà anche un momento per questo tipo di roba. Oggi nei club non saprei dove andarla a sentire, non c'è, è di nicchia-nicchissima.
Ultimamente mi sto appassionando molto alle cose di Katy B, ovvero un cantato pop, anche abbastanza tradizionale, ma su basi più nuove; prendi anche Kelela, una tipa che canta su basi fatte da Jam City, Girl Unit, quel tipo di acid techno.
Io credo che la soluzione migliore sia sempre quella di sperimentare, in America si assomiglia tutto, ormai senti solo trap e dirty south, arriverà un momento in cui ci sarà bisogno di cambiare il modo di produrre. Come quando uscirono Neptunes e Timbaland: erano totalmente diversi da ciò che si stava ascoltando in quel momento e furono importanti, colpirono tutti.
Quando ero in America mi capitava ancora di sentire, tipo nei bar per studenti, i pezzi dance con dentro i nostri anni '90. E non ti parlo di Pitbull che campiona gli Eiffel 65, intendo brani nuovi.
Si è vero, ci sono stati altri casi dopo Pitbull. Sai cos'è, sono molto attenti a quel periodo, tutta la nostra house, gli Eiffel, Gigi Dag, per loro è una cosa completamente diversa e nuova. Non ce l'hanno avuta, nella loro storia musicale intendo, quindi per loro è una cosa nuova.
Tornando al rap. Siamo competitivi con l'estero a livello di beat?
Sì, molto competitivi. Sia tra i ragazzini nuovi, sia tra quello che sento nei dischi degli altri, c'è roba che regge il confronto con l'estero. Non mi piace mai fare nomi ma ci sono cose molto interessanti, anche a livello di suono. Ci stiamo interessando a quel mercato, io in passato l'ho già fatto con Styles P, ho dato un paio di basi a Cassidy, ho lavorato con rapper che hanno fatto gli anni '90. Ce la si può fare, certo, non è facile, è un mondo molto competitivo, non è facile per loro, figurati per noi.
Avete ipotizzato con Dogozilla di mettere un uomo su Los Angeles?
Ce l'ho già su New York, molte cose le mando direttamente là. Non è facile, perche anche quando ti scelgono dopo ci sono ancora 4-5 step da fare, però, sai, devi buttarti. Io faccio molto affidamento sulla nuova generazione, funzioneranno, le cose le stiamo piazzando un po' alla volta.
Va bene che non vuoi fare nomi, ma chiudiamo con il giovane su cui scommetti tutto.
Dj Andry, è il più giovane, sta facendo già delle cose, fa cose trap, fa cose anche soul, è molto bravo. Tra l'altro con pochissimi mezzi, sono orgoglioso di averlo in scuderia.
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L'articolo Il lavoro del produttore. L'intervista a Don Joe di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2014-06-20 00:00:00
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