Massimo Zamboni chiama a raccolta Giorgio Canali, Fatur, Nada, Cisco e Angela Baraldi per celebrare i trent'anni di Ortodossia. Quest'estate hanno suonato nella terra dei CCCP e Teo Remitti era lì per ascoltare e valutare.
La sera alla Festa dell'Unità che si chiama Festa Democratica Nazionale sembra giù di tono, un sacco di ristoranti chiusi, nessun ospite politico di alto livello, poca gente in giro. Sembra, perché poi di gente ne arriva parecchia, i ristoranti si riempiono, e al momento del concerto, anche nell'arena enorme che contiene un palco enorme, c'è molto più pubblico - alcune migliaja, dicono, ed è sensato - di quello che sarebbe stato lecito aspettarsi.
Zamboni chiarisce subito: "Qualcuno ha detto che questa sera suonano i CCCP, fortunatamente non è vero. Siamo qui per divertirci". E' la seconda data per 'celebrare' il trentennale dell'uscita di "Ortodossia", prima pubblicazione dei CCCP Fedeli alla linea. La line up è la stessa di quella della prima serata, a Roma, con Zamboni, Giorgio Canali, Fatur, Angela Baraldi, Nada, Cisco.
Nessuno si aspetta di vedere comparire Ferretti a sorpresa, a metà serata. Non appare, infatti. E non appare nemmeno Annarella.
Il progetto lascia molte perplessità, e se ne può discutere a lungo, in generale e nello specifico, ma il concerto è onesto, il pubblico, strana accozzaglia piena di vecchi, anche molto più di chi scrive, complessivamente gradisce, e si evita il tragico effetto patetico che è un cronico, grande rischio nelle reunion, anche quando tecnicamente reunion non sono. I concerti duemilaundici con scaletta ibrida tra CCCP, CSI e produzione solista di Zamboni, con la Baraldi, erano stati già una buona sottolineatura di come, nonostante qualche rischio (l'età, il nuovo millennio, il cambio di interprete, la band non da urlo) i pezzi dei bei tempi andati reggessero bene. O abbastanza bene, o meglio che bene, in alcuni casi.
La produzione di Zamboni negli ultimi cinque anni, ascoltata ripetutamente, su disco e dal vivo, partendo con tutto il pregiudizio positivo possibile, è impresentabile. Il riproporne brani, pur selezionati, all'interno di questo concerto che era molto meno 'generico' e molto più schierato (festeggiamo quello specifico disco di trent'anni fa) dei precedenti (suono la roba che ho fatto in trent'anni di musica), è stato almeno presuntuoso nei modi (folle aprire il bis, in quel contesto e con il pubblico contento di avere appena cantato in coro "Fuochi nella notte", con un pezzo 'di Zamboni', più che folle chiuderlo con un altro pezzo 'di Zamboni', poi il secondo bis è "Islam punk", liberatoria, a ristabilire che le cose così devono andare, a parte che la Baraldi o chi per lei decide - ed è una scelta piuttosto infelice - di censurare Gheddafi) e, per usare un eufemismo, inefficace.
I pezzi dai recenti dischi solisti di Zamboni, protagonista silenzioso e fondamentale della storia della musica italiana, personaggio ampiamente stimato, autore di (bei) libri e (meno belle) colonne sonore negli ultimi tempi, sono un disastro, e metterli a fianco ai monumenti che ha contribuito a costruire in passato lo mostra in modo impietoso. Con le cose vecchie un po' di pubblico - che fa in modo di sopportare le nuove - lo fa, e un po' di soldi evidentemente glieli danno, anche giustamente, visto che pubblico ne arriva. Però le date per "Ortodossia" dovevano essere due, Roma e Reggio Emilia, eventi unici, eccezionali, specifici. E due erano già troppe. Ne sono spuntate altre quattro, autunnali, due delle quali programmate a distanza di pochi chilometri dalle sedi di quelle estive, come nelle peggiori previsioni. Può non piacere, e possono non piacere le autocover. Va ricordato che Ferretti negli ultimi anni ha fatto altrettanto, con maggiore frequenza e presumibilmente cachet migliori, ma Ferretti è Ferretti anni zerozero, e non ci aspetta niente di diverso, mentre qualcuno che sa cosa dire dice "Qualche anno fa Zamboni non l'avrebbe mai fatta, una cosa così...", ed è facile che abbia ragione.
Per quanto riguarda il concerto, a parte le infinite discussioni del giorno dopo sui pezzi inseriti e omessi dalla scaletta, la band (voto: 5), quella che accompagna abitualmente Zamboni, è niente di speciale, un po' prevedibile. Parecchio.
La Baraldi (voto: 7) ci mette grinta, dinamismo, energia e voce, e lo fa bene, in modo funzionale alle cover, come già sperimentato nei concerti degli ultimi due anni. Brava.
Nada (voto: 3) diventa fastidiosa: dopo una rilettura urlata di "Trafitto" in cui viene da pensare che sia perfetta per fare da voce di alcuni dei classicissimi in scaletta, mette in fila senza vergogna tre pezzi suoi o frutto della collaborazione con Zamboni. Analogamente a quanto visto a Carpi qualche tempo fa, brava sei brava, ma se sei chiamata alla 'festa' di Ortodossia per fare l'interprete davvero dovresti fare l'interprete e non la tua personale solita roba, che non è modo e non è tempo. E "And the radio plays" nei bis non basta a concedere la riabilitazione.
Cisco (voto: 2) è un po' la caricatura di se stesso, al solito. Sinceramente, non si capisce bene cosa c'entri, anche perché, è piuttosto evidente, non c'entra. Canta il finale di "Guardali negli occhi", un pajo di pezzi da "Ko de mondo", che per il pubblico sono festa, e "Annarella" (...), gongola e fa qualche cambio alla linea vocale. Eh. Non so.
Per due pezzi (più uno 'di Zamboni'), in apertura di serata, la voce è invece quella di Canali (voto: 8): "Valium Tavor Serenase" è una sassata, due mani vicine con sigaretta e microfono, urla e volto paonazzo, omissione dell'"Emilia mia, Emilia in fiore...", e ci mancherebbe, che Canali è romagnolo, e la sensazione che si potrebbe finire lì, perché si sta bene e perché non molti scommetterebbero sulla sopravvivenza del valoroso Giorgio. Che invece sopravvive, e spara anche "Live in Pankow", sullo stesso registro, per poi ritirarsi in un angolo a fare il chitarrista concentrato e le splendide seconde voci di sempre. Bravo, davvero.
Chiuso in una gabbia per quasi tutto il concerto, c'è anche Fatur (voto: 9), silenzioso come sempre, nonostante l'uscita recente del suo quarto album. Enorme, sempre più un enorme buddha buono, maglietta nera bucata su seno e ombelico, gonna rossa, accessori vari (un tubo da compressore e un pajo di catene da neve per auto i più gettonati), solita capacità di mangiarsi con niente l'ottanta per cento degli sguardi rivolti al palco. Bellissimo quando si toglie tutti gli impicci dalla faccia, guarda avanti, fermo, e sorride. Poi i gestacci e il labiale di "vi faccio il culo" e simili su "Huligani dangereux", la fuga dalla gabbia per guadagnare la prima linea, tra l'entusiasmo del pubblico, la spaccata, i giochi con la Baraldi, e le autocitazioni su "Islam punk", in chiusura. Incantevole, ad aggiungere tantissimo a una sera che senza di lui forse avrebbe fatto fatica a sopravvivere.
Insomma, è andata.
Nemmeno male, con alcune cose gradevoli e non troppi motivi per lamentarsi.
A confronto con le legittime paure della vigilia, è andata bene.
Peccato, peccato davvero, che una sera 'rischiosa' e in fondo riuscita si evolva - nei fatti - in un piccolo tour raschiabarile di una neonata, ulteriore cover band.
E speriamo che, dall'anno prossimo, non si debbano festeggiare pubblicamente i trentennali di tutti i dischi dei CCCP, o, un po' più avanti, il quarantennale di "Ortodossia". Se fanno un concerto, e se sono ancora vivo, comunque, magari finisce che ci vado.
---
L'articolo Trent'anni di Ortodossia di teo è apparso su Rockit.it il 2012-08-29 00:00:00
COMMENTI (3)
bravo teo
gia'...
Acqua passata non macina più.