Avete presente la bouganville, no? È un coloratissimo fiore rampicante a grappolo, che può ricoprire intere pareti, se coltivato con la necessaria cura, e che ricorda un po' la capigliatura di Telespalla Bob dei Simpson versione magenta/arancio/giallo/eccetera. Una pianta bella psichedelica e rigogliosa, che da un paio d'anni ha dato il nome a una giovanissima band nata a Roma qualche anno fa, formata da quattro ragazzi (due romani, due napoletani) folgorati tra le visioni lisergiche degli anni '60, che replicano mescolandole a un indie pop-rock da nuovo millennio. Loro sono Luciano Zirilli, Luca Grillo, Gian Luca Fraddosio e Luca Taurmino. I Bouganville, per l'appunto, che lo scorso aprile hanno debuttato con il loro primo album La grande evasione, pubblicato dall'etichetta Dischi Belli, casa discografica di cui fa parte anche Ditonellapiaga.
Questa grande evasione che troneggia nel titolo è quell'effetto straniante del tornare a casa dopo un periodo all'estero, il sentirsi costretti dentro una città – anche quando la città in questione è enorme come Roma – di fronte alla vastità del mondo che c'è ancora da esplorare là fuori. Non per niente il disco si apre con La mia città, che ci getta subito in mezzo al contesto di quotidianità stravolta in cui si muovono i Bouganville: "Non mi sento a casa a casa mia", cantato su un groove serrato che si apre in un dinamico rock ondeggiante, e tanto basta per mettere un primo passo nel mondo della band.
A questo va aggiunto lo spettro del senso di oppressione che il lockdown ci ha lasciato addosso. Si torna sempre lì, ma è anche un po' inevitabile farlo: lo rievoca bene Non è cosa, seconda traccia e terzo singolo estratto dal disco, che in realtà parla di un isolamento autoimposto, dettato da un disagio interiore nel non riuscire a trovare il proprio posto in mezzo agli altri. Qui a guidare il brano c'è una nervosa ritmica di batteria, che finisce poi per sciogliersi in mezzo a un intreccio di synth e chitarre tra l'onirico e l'inquieto.
La direzione sembra seguire il tracciato dei Post Nebbia, come una sorta di risposta più solare e diretta, un flusso sonoro più legato alla tradizione rock 'n' roll – soprattutto nei momenti in cui viene dato maggiore spazio alla chitarra rispetto al lavoro di pura introspezione della band padovana. D'altronde anche un titolo come Investigazioni private, quarto brano della tracklist, è una strizzata d'occhio ai Dire Straits – salvo poi prendere una strada molto più rumorosa rispetto alla pulizia della band di Mark Knopfler – come a dichiarare in maniera esplicita che sono i giganti del classic rock ad aver acceso la miccia del quartetto.
È tutto frutto di un caleidoscopio sonoro vivido, iridescente, proprio come salta all'occhio il fiore della bouganville. Anche nella copertina del disco c'è una sorta di arcobaleno che ne richiama le tinte. Si tratta di Realtà sognata dell'astrattista Eugenio Carmi, scomparso nel 2016, come manifesto figurativo di quello che è la dimensione musicale del gruppo. Le strisce cromatiche dell'arcobaleno, stravolte in questa rappresentazione, non formano una dolce curva sfumata, ma si incrociano nella punta di una V leggermente storta, che si staglia su uno scuro fondale bluastro.
Ne La grande evasione si susseguono anche momenti romantici e sognanti, come Ogni volta che ti vedo coi suoi coretti beatlesiani o la delicatezza V.G., così come trascinanti inni alla giovinezza, vedi Noi non moriremo mai, episodio in cui si sente quanto ancora sia influente per le rock band di domani la mano di Sua Santità del nuovo millennio Kevin Parker dei Tame Impala. Fa tutto parte del grande gioco di uscire dalla realtà verso un mondo ideale, in cui comunque farsi spezzare il cuore e da cui scappare nuovamente, verso un'altra meta idilliaca. A mettere radici sono più bravi i fiori, a correre verso il futuro i Bouganville.
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L'articolo Tutte le strade portano via da Roma di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2022-08-19 12:21:00
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