Anche a questo giro, Napoli è al centro dei suoni, delle parole e delle immagini della nuova musica di Liberato che, puntuale ma imprevedibile, proprio come il miracolo di San Gennaro, lo scorso 9 maggio è arrivata a santificare la quinta ricorrenza (ebbene sì, già mezzo decennio) dell’ormai iconica data. Ma la Napoli di Liberato II, il secondo album del cantante incappucciato, è proprio la stessa di quella di 9 maggio e Tu t’e scurdat’ ‘e me?
Basta andare un attimo oltre una superficie di estrema coerenza, se vogliamo anche di ripetitività, per rendersi conto che negli anni Liberato e compagnia hanno saputo reinventarsi, o almeno guardare ai propri elementi più caratterizzanti da una prospettiva diversa. Succede per la musica e le produzioni, che sono passate da un urban pop con radici neomelodiche ad un ibrido che filtra con musica dance anni ‘90 e tammurriata, con il rap ed elettronica, e succede anche per lo sguardo su Napoli, che negli anni è cambiato o si è rivolto a incarnazioni diverse della città.
La Napoli dipinta da Lettieri nelle prime uscite del musicista incappucciato, diciamo dal 2017 al 2019, è completamente immersa in un immaginario urbano/scugnizzo, attraversata da ragazzi e ragazze con sneakers stilose ai piedi che sfrecciano a bordo di mezzi. Strizza tantissimo l’occhio alla cultura ultras e leggermente all’immaginario Gomorra, allora in espansione. È una metropoli moderna, per quanto possa essere moderna una città con radici così antiche e forti, turistica. O perlomeno simile a come se la immaginano i turisti, una teoria di luoghi conici e immagini da cartolina: il lungomare, il Castel dell’Ovo, lo stadio, la Gaiola.
Uno scenario che, almeno per i napoletani, non mostrava nulla di nuovo o troppo nascosto, ma quello che mostrava lo metteva in scena come poche volte prima d’ora. Un po’ come se il loop di Intostreet e Je te voglio bene assaje avesse aperto un varco spazio-temporale, già con Capri Rendez-Vous (2019) arrivano i primi slittamenti verso il passato: i cinque video ripercorrono una storia d’amore lunga quattro decenni, partendo da una romantica e idealizzata Capri della Dolce Vita fino ad una fotografia naturalistica dell’isola turistica contemporanea.
Lasciando un attimo da parte We come from Napoli, estratto dalla colonna sonora di Ultras di Francesco Lettieri e quindi per forza di cose legato a doppio filo con quell’estetica, e Te veng a piglià, unico videoclip non girato da Lettieri ed ambientato in una sorta di scenario futuristico post-rave, Liberato II sembra continuare questa discesa al ritroso verso una Napoli più antica, tra le radici ancestrali e i fasti del Settecento napoletano, di cui ritroviamo le tracce nel comparto visuale, nelle parole e nella musica. Proviamo a seguire qualcuna delle più interessanti, per la precisione sette, come la carta oro più preziosa della scopa, o le tracce di Liberato II.
I palazzi storici
Le sontuose scene della corte settecentesca di Partenope e Anna sono girate tra il Palazzo Doria D’Angri e il Palazzo Reale, due luoghi iconici della Napoli sette/ottocentesca. Il primo è la nobile dimora vanvitelliana tra la centralissima Via Toledo e piazza Sette Settembre, data in cui, dal balcone di quel palazzo, Garibaldi annunciò l’annessione del Regno delle Due Sicilie; il secondo è la monumentale residenza dei regnanti di Napoli a partire dal 1600. Partenope prende da lì la sala da ballo e lo scalone che compare anche in Nun ce penzà, a fare da sfondo ad una sorta di tableau vivant che sembra ispirato a Il bacio di Hayez. È anche lo scalone che viene identificato solitamente (ma le date potrebbero non coincidere) con quello dove Cenerentola perde la scarpetta dell'omonima fiaba tratta da Lu cunto de li cunti di Giambattista Basile, la più antica versione occidentale scritta della celebre storia.
La musica popolare
L’elemento napoletano caratteristico della urban pop/trap di Liberato è sempre stato legato perlopiù al gusto neomelodico o alla sensibilità della canzone classica, ma le produzioni hanno flirtato più volte anche con la tammurriata e le musiche tradizionali del meridione. Già Liberato I, il mash up caricato originariamente su SoundCloud e ignorato dai più per anni, si apriva proprio con l’incessante Tammurriata nera, mentre Nunn ‘a voglio ‘ncuntrà inserisce frammenti di tammorra, putipù e canto tradizionale in un beat dance.
Adesso il cerchio si chiude grazie a Cicerenella. Si tratta della prima vera e propria cover di Liberato, che prova a fondere autotune, campioni di strumenti a corda classici e cassa schizofrenica (il “cascione” menzionato anche nel testo) nella versione da dancefloor di un pezzo classico del repertorio napoletano: datata al 1700, Cicerenella (“piccolo cece”) è una tarantella dalla struttura a filastrocca, dove l’apprezzamento carnale (“Cicerenella mia, si’ bona e bella”) intervalla un elenco di oggetti posseduti dalla protagonista, ognuno legato al mondo contadino e a comportamenti bizzarri o magici.
Esistono infinite versioni del brano, dall’interpretazione delicata di Roberto Murolo al rap/folk femminista della Bandarotta Bagnoli. La più famosa è probabilmente quella della Nuova Compagnia di Canto Popolare, dal suono antico ma energico, con alcune aggiunte di testo riprese anche da Liberato, che gli ha affiancato a sua volta alcuni versi inediti. Può piacere o no, ma la tradizione continua così, ereticamente, storpiando, aggiungendo o sottraendo, riappropriandosi di un patrimonio che viene passato di generazione in generazione e non rimane mai uguale a sé stesso.
La musica "alta"
Oltre che alla cultura “bassa” Liberato II ammicca anche alla musica alta del XVII secolo, quella della Scuola musicale napoletana di epoca barocca: la strofa di Partenope riprende la classica scala musicale napoletana e ci trascina nel chiostro di Santa Chiara su un’aria dal sapore barocco, mentre Anna sperimenta per la prima volta l’uso di archi. Nascosti tra i versi, poi, ci sono una serie di riferimenti a canzoni dell’epoca d’oro della canzone classica napoletana, quella tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del secolo successivo, utilizzate come espressioni proverbiali o nei dialoghi: il micidiale ritornello di Partenope racchiude un tris con ’A cammesella, Scalinatella e ’O ritratto ‘e Nanninella, tre classici rispettivamente del 1875, 1904 e 1955, ma più in là (Guagliuncella napulitana) troviamo anche la Pusilleco addiruso di Ernesto Murolo (1904). E, forse, un sottile riferimento visivo all’uccello in gabbia protagonista di tante canzoni, da Lu Cardillo a Reginella, nel video di Na storia ‘e ‘na sera.
Il Settecento napoletano
Anche i consueti riferimenti toponomastici nei testi si fanno un po’ più connotati rispetto ai generici Forcella, Nisida o Gaiola. Parco della Rimembranza, noto luogo della camporella, addirittura New York e Hong Kong, ma soprattutto il famoso ossario delle Fontanelle al Rione Sanità, cuore del culto delle anime pezzentelle, il settecentesco chiostro maiolicato di Santa Chiara in Piazza del Gesù Nuovo, oppure la reggia borbonica di Capodimonte. Anche, al di là della geografia, la “luce dint'a ll'uocchie 'e nu Caravaggio” (Nunneover), pittore che a Napoli ha legato alcuni anni della sua turbolenta vita, tra le risse all’osteria del Cerriglio e i vicoli del porto, lasciando in città alcuni quadri che sono fiore all’occhiello dei musei locali. In generale, c’è un’estetica che avvolge l’intero album, dai video ad alcuni suoni, ed è quella del ‘700 napoletano.
In contrasto con la narrazione ultra contemporanea dei testi, la storia per immagini di Liberato II si svolge tra parrucche, cipria e arazzi che arrivano da quello che è stato uno dei secoli d’oro della metropoli partenopea: nel ‘700, all’alba del Regno borbonico, Napoli è una delle città più popolose d’Europa, una delle capitali della cultura barocca, la sede di una corte sfarzosa come quella che vediamo nel video intorno al Re interpretato dal veterano Giacomo Rizzo. Non è la Napoli popolare dei vicoli del centro antico, forse più affascinante e per questo egemone nella rappresentazione mediatica, quella che Lettieri e Liberato ci mostrano questa volta è una città forse meno conosciuta e vibrante, ma altrettanto ricca di suggestioni.
La lingua
Non troppe novità sul fronte della lingua, il solito, magnetico, misto di napoletano e inglese. Alcune espressioni segnalano che chi scrive i testi presta orecchio anche alle nuove espressioni dello slang in voga tra chi è probabilmente più giovane di lui, mentre altre parole e frasi idiomatiche sono prese dal napoletano meno parlato se non addirittura arcaico, e potrebbero incuriosire anche qualche autoctono. Una in particolare ci ha colpito, ma per collegarla a Napoli dobbiamo risalire a prima del napoletano: Partenope dice “s’agapò cu na sola ‘ncanna”, cioè dice “ti amo con la lingua in bocca”. Due espressioni, una che arriva direttamente dal parlato colloquiale, soprattutto dei più giovani, e una che in realtà non è altro se non greco. Naturalmente, la lingua parlata dalla sirena e, per molti secoli, dalla città che ne ha portato il nome.
Il Teatro delle Guarrattelle
Durante la scena della sala da ballo e nel visual di Cicerenella, chiunque avrà riconosciuto il teatro delle marionette, in napoletano ‘guarrattelle’. Un riferimento che ritroviamo anche nella scena finale del ballo, quando Partenope, la parte inferiore del corpo (che ancora non abbiamo scoperto essere squamata) sepolta tra i corpi dei cortigiani, si agita solo con il busto proprio come una marionetta. Soprattutto davanti a questa scena, viene facile andare oltre la dimensione comica che ancora adesso diverte i bambini e percepire l’eco delle radici misteriche e simboliche del teatro delle guarrattelle, una farsa dove Pulcinella, personaggio ancestrale che nasce e a sua volta genera da un uovo cosmico, affronta guardie, demoni o la Morte stessa, mettendo in scena il ciclo eterno di morte e rinascita.
La sirena Partenope
La figura della sirena è centrale nell’iconografia napoletana e non è la prima volta che entra nel vocabolario di Liberato, ma questa volta il discorso si fa più letterale e legato ad una dimensione ancestrale: la ragazza di Partenope è effettivamente una sirena, in cui il love interest del testo, sirena metaforica, si sovrappone alla protagonista del video (interpretata da Tonia Laterza), che è letteralmente la figura mitologica da cui prende nome l’antica colonia greca alle origini di Napoli. La vediamo emergere dal mare, magari nei pressi dell’isolotto di Megaride, dove la leggenda della fondazione la vorrebbe sepolta e che da secoli ospita il Castel dell’Ovo, e dirigersi verso il Palazzo Reale. Lì scopriamo che non si tratta di una sirenetta disneyzzata, quanto piuttosto di un essere terribile e letale, legato alla morte come le sirene dei miti greci. Quando colpisce il Re, il suo urlo da banshee è quello dell’altra sirena, quella prestata dal reggae/dub che è tra le signature di Liberato. Chapeau.
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L'articolo Tutti i riferimenti alla Napoli antica nel nuovo disco di Liberato di Sergio Sciambra è apparso su Rockit.it il 2022-05-12 10:00:00
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