Tutto quello che è cambiato negli studi di registrazione negli ultimi anni, e cosa invece non cambierà mai

Qualche tempo fa i Coldplay erano al Casoretto, quartiere popolare di Milano, per registrare parte del loro ultimo disco nel Real Sound Recording Studio, che mantiene l'approccio analogico (e anche le strumentazioni) dell'esordio nell'82. Ci siamo fatti raccontare com'è cambiato il loro lavoro

Chris Martin dei Coldplay con Gramegna e Gilardoni di Real Sound
Chris Martin dei Coldplay con Gramegna e Gilardoni di Real Sound

Qualche tempo fa i Coldplay erano al Casoretto. No, non avevano sbagliato strada mentre cercavano quella famosa NoLo di cui parlano tutti e tanto meno volevano andare a visitare la sede storica del Leoncavallo. La band britannica, durante le tappe milanesi del Music of Spheres Tour (quattro San Siri strapieni a giugno 2023), è venuta qui per lavorare ad alcune sessioni dei brani di Moon Music al Real Sound Recording Studio. Il disco è uscito un mese fa circa. 

La band cercava un posto tranquillo e adatto alle loro sonorità e alle aspettative del loro futuro lavoro, e lo ha trovato (almeno per una parte del lavoro) in questo studio nel cuore Est di Milano, attivo da oltre 40 anni e che ha ospitato altri grandi artisti italiani e internazionali, tra cui Mark Ronson, Marky Ramone, Mel Gaynor (Simple Minds), Giorgio Gaber, Scott Hunter (Jethro Tull),The Primadonna, Jamie Saft, Eugenio Finardi, Vince Tempera, Bugo. 

Real Sound è famoso per le proprie strumentazioni (vintage), che sono state utilizzate in linea da Chris Martin e dal loro Max Martin. Abbiamo fatto una chiacchiera con Roberto Gramegna (fondatore di Real Sound) ed Ettore ‘Ette’ Gilardoni per capire come i Coldplay siano finiti al loro bancone, e come sia cambiato il loro lavoro in tutti questi anni.

Lo studio
Lo studio
 

Come e quando nasce lo studio?

L’anno di apertura ufficiale dello studio è il 1982 e allora aveva un altro nome: Hammill Studio. La prima sede era in via Monfalcone, sempre in zona, nelle vicinanze del parco Lambro, ma poi nel 1990, con la sopravvenuta esigenza di allargarsi, ci siamo trasferiti in via Casoretto cambiando anche il nome dello studio in Real Sound. Nel 1981 il 20enne Roby (l’attuale proprietario) suonava e cantava in una band new wave e frequentava lo studio da cliente; poi uno dei soci decise di andarsene e gli fu proposto di rilevare la sua quota. Questa opportunità fortunatamente capitò in un periodo della vita di Roby in cui era veramente indeciso sul proprio futuro, come capita anche oggi a molti ragazzi che sono affascinati e innamorati del mondo musicale e desiderano costruirsi una carriera vivendo di musica. Roby decise quindi fare debiti e di provare a seguire quella che era la sua passione. A fine anni 90 è poi arrivato anche Ette come tea boy e poi fonico e produttore freelancer, e in un soffio eccoci arrivati 42 anni dopo a raccontarlo.

Com'era la situazione degli studi in quel periodo?

In quel periodo la situazione degli studi di registrazione  indipendenti a Milano era per così dire agli albori! Esistevano alcuni studi di registrazione di altissimo livello, che  però erano ad uso e consumo esclusivamente delle grandi etichette discografiche o  di artisti che potevano permettersi dei budget  considerevoli. Il costo degli studi era in generale elevato ed era rapportato ai grandissimi investimenti che bisognava effettuare per poter allestire uno studio professionale: per acquistare ad esempio un mixer  di livello  in quel periodo ci voleva l’equivalente di un bell’appartamento in centro! Senza parlare dei registratori multi-traccia e dell’effettistica… ecco spiegato perchè l’affitto di una sala di registrazione di quel tipo poteva costare  fino a un milione di lire al giorno. Nascevano però proprio allora anche pochissimi studi indipendenti più “underground”, come il nostro, che approfittando del boom dei generi meno commerciali come il punk, la new wave ecc. decisero di aprirsi al mercato con grande successo rivolgendosi ad un nuovo e giovane pubblico di musicisti. Al tempo si può affermare che noi fossimo l’unico studio a offrire lo stesso servizio dei big a prezzi ragionevoli.

Con Giorgio Gaber
Con Giorgio Gaber

Che caratteristiche aveva in quel momento rispetto a quello che era il mercato?

L’Hammill studio, ora Realsound, in quegli anni era sicuramente all'avanguardia in quanto fu il primo studio di registrazione a Milano in cui si poteva, oltre che registrare in multitraccia, provare  in cuffia e registrare direttamente su cassetta, ovvero la soluzione ottimale per farsi un’idea iniziale dei propri brani prima di affrontare la registrazione vera e propria di un disco: una grande innovazione per quel periodo, soprattutto per i ragazzi abituati a suonare nelle cantine, i quali  per ascoltare la propria musica anche a livello embrionale,  non avevano prima altra possibilità che appoggiarsi a studi nettamente più costosi. Agli inizi, prima di passare successivamente a Studer e console americana MCI, registravamo su un vecchio otto piste della  Teac e usavamo un banco artigianale costruito apposta per lo studio da un tecnico, ma nonostante ciò le registrazioni che conserviamo di quel periodo suonano ancora davvero niente male! Il nostro studio si collocava nella terra di mezzo tra il nulla e le grandi realtà delle Major ed è per questo che eravamo sempre pieni, soprattutto di artisti emergenti, alcune dei quali sono poi diventati conosciutissimi nel panorama italiano.

Com'è cambiata la funzione dello studio in questi anni?

Per ragioni meramente anagrafiche possiamo dire che abbiamo vissuto in diretta il cambiamento radicale che si è verificato negli ultimi 40 anni per quanto riguarda sia il mercato che l'approccio agli studi di registrazione e al lavoro in studio in sé. Partiamo dalla visione dello studio di registrazione  tipica degli anni 80: in quel periodo lo studio rappresentava l'apice di un processo creativo e compositivo, un luogo dove veniva creato l’elemento base, anche economico, della vita di un musicista. Si entrava in studio con la curiosità e l’entusiasmo di chi finalmente poteva avere la possibilità di realizzare ed ascoltare per la prima volta ciò che immaginava. Una volta terminata la sessione di registrazione finalmente si poteva riascoltare, commentare e discutere di quello che andava bene e quello che c’era da correggere. Entrare in studio era quindi una esperienza unica e magica, un po' come aspettare in trepida attesa lo sviluppo un rullino di fotografie alla fine di una bellissima estate. Lo studio era un mondo analogico a 360 gradi e le sonorità, soprattutto delle band, scaturivano realmente dall’originalità del sound e dal modo di suonare insieme fisicamente nella stessa stanza. Il mix stesso era una performance a volte irripetibile.

E il vostro lavoro? Anche quello immagino ne sia uscito stravolto.

Il “sound engineer”, che ai tempi era “fonico” o semplicemente il “tecnico”, era oggettivamente l'elemento in più della band o il più fidato consigliere dell’artista e le sue scelte spesso condizionavano il sound di un disco. Chi era ad un livello diverso aveva anche un “produttore” che lavorava insieme al tecnico in sinergia. Anche l’Elettronica negli anni ottanta era pioneristica e purtroppo l'accesso a sonorità particolari richiedeva investimenti notevoli. Ogni volta che usciva una nuova tastiera il mercato era pesantemente condizionato da quel tipo di sonorità; ad esempio facemmo i debiti per comprare un Roland Jupiter 8 oppure le prime Simmons, le iconiche batterie elettroniche con i pad esagonali che possiamo ancora ammirare nei filmati d’epoca di artisti famosi. Dai primi campionatori e sequencer su computer Atari, fino ad arrivare all'evoluzione dei computer per l’HD recording con le prime DAW, le abbiamo viste tutte! Il lavoro in studio di registrazione è oggi radicalmente cambiato nel suo concetto. Oggi basta  un computer,  una scheda audio con due preamplificatori e un microfono per proporsi come recording studio...registrare un prodotto di buon livello è teoricamente alla portata di tutti e spesso succede veramente; di conseguenza una parte del nostro lavoro è decisamente cambiata e il mercato si è ristretto enormemente sui numeri: solo 20 anni fa registravamo band indipendenti che vendevano anche ventimila copie fisiche… ed erano considerati degli sfigati.

The Primadonna
The Primadonna

Come avete provato a "rispondere" a questi cambiamenti?

Per rimanere al passo come studio ci siamo collocati in una nicchia ben precisa e abbiamo scelto di mantenere tutta la strumentazione vintage affiancata alle nuove tecnologie e rimanere un riferimento per chi in qualche modo non segue la corrente. Abbiamo pensato che quello che forse manca oggigiorno, soprattutto ai ragazzi, è la magia di entrare in uno studio di un certo tipo, l’aria che vi si respira e l’opportunità di potersi avvalere della professionalità e dell’esperienza di chi ha vissuto in questo ambiente per tanti anni. La nostra filosofia sembra ci stia ripagando e queste non sono cose che si imparano da un tutorial. Il mercato, con la rapida evoluzione della tecnologia, è cambiato immensamente e questo ha permesso ad un numero sempre maggiore di persone di accedere al mondo musicale, ma spesso con competenza in materia sempre minore. Gli artisti bravi rischiano di perdersi nel mare magnum della rete senza trovare la giusta visibilità e oggi probabilmente un Battisti per farsi notare dal grande pubblico dovrebbe presentarsi ad un improbabile giudice di un talent show e magari uscirebbe ai bootcamp. Il filtro reale delle etichette discografiche manca da tempo e oggettivamente queste non fanno neanche più vero scouting semplicemente perchè non c’è più un mercato discografico, inteso come vendita di dischi.  La soluzione, per noi, è innanzitutto essere unici partendo proprio dal suono ed è questo modo di lavorare che ci ha fatto sopravvivere.

E dunque oggi, nel panorama attuale, chi siete? 

Noi siamo prettamente e per scelta uno studio “alla vecchia”, ovviamente però sempre al passo con le necessità tecniche di oggi! Se possibile, sia con l’approccio alle registrazioni sia con la nostra strumentazione, vogliamo indirizzare la produzione verso un sound “analogico” che oggi paradossalmente la più moderna tecnologia digitale cerca di emulare; e ciò non significa non usare il computer, anche se ci capita…con i meno deboli di cuore! Spesso diciamo anche un po’ come battuta: “Ma se cercate il sapore del nastro con i vostri plugin, perché non registrate direttamente su nastro?”. I limiti a volte sono uno stimolo!

Con Tonino Carotone
Con Tonino Carotone

Che strumenti utilizzate?

Utilizziamo il nostro due pollici Ampex anche solo per passare alcuni strumenti e utilizzare la compressione e le armoniche tipiche del nastro, come fosse il più pesante e ingombrate plugin che potrete mai vedere….  Lavoriamo con artisti o formazioni dove è necessario che la registrazione sia in diretta con tutti i musicisti del gruppo che suonano insieme, dal jazz e la classica fino a band alternative rock o punk che hanno bisogno di suonare a tutto volume. Spesso con le band che ci piacciono ci proponiamo anche come produttori artistici e collaboriamo poi con etichette indipendenti per pubblicarne i dischi. Il lavoro è molto diverso rispetto ai tempi d’oro in quanto molti artisti o musicisti, anche per motivi economici, si sono organizzati in home recording riservando allo studio solo le take di strumenti che richiedono situazioni o suoni particolari, e lì interveniamo noi. Un’altra parte del nostro lavoro oggi consiste anche nell’occuparci di una tipologia di cliente, il cantante solista, che ha la necessità di essere seguito tecnicamente e di registrare voci di livello qualitativo professionale. A noi piace instaurare sempre con i musicisti e gli artisti di qualsiasi genere musicale un clima di collaborazione e di rispetto ed è per questo che probabilmente dopo 40 anni siamo ancora qui. Registrare non significa premere Play e Record, ma tirare fuori il meglio da chiunque varchi la soglia del nostro studio.

Quali sono le problematiche principali che si affrontano oggi in questo lavoro?

Come abbiamo già avuto modo di dire, a parte qualche rara eccezione, gli studi di registrazione hanno cambiato radicalmente modo di concepire sia la loro struttura sia la loro concezione di approccio al lavoro. Gli spazi a Milano hanno costi proibitivi, quindi affittare e acquistare un immobile per realizzare uno studio è praticamente impossibile a meno che una vecchia zia lasci in eredità a qualche fortunato una ingente somma. Oramai si è diffuso il concetto di “home studio“ e cioè un piccolo spazio dove con  un computer e con pochi outboards si può creare la base per poter confezionare un prodotto che ambisce ad essere professionale. I problemi nascono quando non si possono investire soldi in strumentazione di Classe A, oppure si deve registrare un batterista vero, o anche bisogna registrare una chitarra a chiodo per sfruttare la saturazione del cono.  Un altro problema di questa tipologia di studio si presenta quando bisogna acquisire più canali contemporaneamente ad esempio per registrare una band o un ensemble di qualsiasi natura. In questo caso bisogna in genere necessariamente appoggiarsi a strutture come la nostra. Accade allora di dover registrare ad esempio batterie, magari passarle su nastro, e poi riconsegnare le tracce che verranno successivamente editate da un altro studio o a casa. Noi che siamo della vecchia scuola ci siamo adeguati a queste necessità, social compresi, ma mantenendo un nostro stile. Certo a volte rimpiangiamo i tempi d’oro quando il lavoro veniva sempre registrato mixato e masterizzato in un unico spazio, ma tutto scorre! Oltre i famosi anni 80 o 90 dove ci si dissanguava per potere avere il macchinario del momento, anche a seguire abbiamo fatto i nostri investimenti per offrire il meglio che potevamo ai musicisti, però non abbiamo mai inseguito tutti i cambiamenti che la tecnologia propone in ambito di software. Preferiamo, quando necessario, o per libidine personale, acquistare un microfono particolare, oppure un outboard serio che alzi il livello qualitativo dello studio come recentemente abbiamo fatto rilevando un vecchio compressore stereo della Solid State Logic. 

Che posto è il Casoretto, quartiere popolare di Milano in cui state, e come lo avete visto cambiare?

Il Casoretto è un quartiere storico di Milano dove la vita, i personaggi tipici e le iniziative ruotano topograficamente attorno alla bellissima Abazia di Santa Maria Bianca della Misericordia, che è peraltro monumento nazionale.  Dagli anni settanta il Casoretto nel bene e nel male ha rappresentato uno spaccato della vita della nazione con tutte le sue lotte e i suoi drammi: Ii centro sociale Leoncavallo, la casa di Vallanzasca, il covo delle B.r. in via Monte Nevoso, le gesta della banda Bellini, l’uccisione di Fausto e Jaio in via Mancinelli hanno dato popolarità indiretta a questo quartiere dove ancora si respira milanesità! Ancora oggi il “Casouret“  infatti mantiene, sebbene in un contesto di cambiamento globale, la sensazione di sentirsi parte di un qualcosa che si è radicato nel tempo e che lo rende un posto esclusivo. Un quartiere ancora popolare e vivo.

Con Mark Ronson
Con Mark Ronson

E il rapporto con i Coldplay come nasce? 

Il rapporto con loro nasce da una mail che abbiamo ricevuto nel giugno 2023 dalla Parlophone UK in occasione delle 4 date che la band aveva in programma a San siro per il tour Music of the Spheres. Loro stavano lavorando al progetto "Moon Music" ed essendo quasi sempre in tour avevano la necessita di appoggiarsi a uno studio che ritenessero congeniale per le loro sessioni. Nella mail si chiedeva la disponibilità dello studio per circa una settimana. Fortunatamente in quel periodo eravamo liberi!! Ovviamente non ci spettavamo da principio i Coldplay, ma che si trattasse di qualcosa di grosso lo avevamo intuito quando la Parlophone UK ci ha chiesto se eravamo disponibili a firmare un NDA cioè un contratto di riservatezza. In passato abbiamo lavorato con altri nomi importanti spesso con stranieri, come ad esempio Mark Ronson (che era tutto contento perché il nostro banco era uguale a quello che aveva lui in quando ha prodotto Amy Winehouse), anche perché con noi l’inglese non è un problema, ma soprattutto per il nostro approccio al lavoro, che all’estero è molto più comune che qua.

Cosa avete fatto per loro?

Purtroppo il contratto di riservatezza che dura oltre la pubblicazione del disco per quanto riguarda le scelte tecniche e artistiche soprattutto di Chris Martin e del loro produttore Max Martin non ci consente di entrare nei particolari. Possiamo dire che siamo nei crediti ufficiali di Moon Music per il brano Feels Like i’m falling in love e che qua hanno lavorato spremendo lo studio al massimo! La Warner è molto severa nelle condizioni contrattuali e persino il nostro comunicato stampa con cui annunciavamo la notizia è stato supervisionato da un legale. Di sicuro possiamo dire che hanno usato e apprezzato strumentazione e le tastiere in dotazione allo studio in quanto ovviamente sono sempre alla ricerca di sonorità particolari. Tutti ci sono sembrati molto soddisfatti del tempo passato qui da noi al Real Sound. Per stare in studio con questi mostri sacri bisogna sapersi muovere in termini sia tecnici che relazionali e noi modestamente un po’ di esperienza in questi anni ce la siamo costruita. Per noi, come abbiamo avuto modo di dire in altre sedi, lavorare con i Coldplay è stata una esperienza umana e professionale indimenticabile.

Ci date la top five degli artisti con cui avete lavorato?

In quaranta e passa anni ne abbiamo visti parecchi, ma dovendo fare una classifica mettendoci dentro i primi che vengono alla mente ecco qua:

1 Coldplay

2 Mark Ronson 

3 Marky Ramone 

4 Giorgio Gaber

5 Primadonna

Fratello Metallo riposa
Fratello Metallo riposa

La cosa più matta che sia mai capitata qua dentro?

In tutti questi anni di cose particolari ce ne sono capitate molte! Situazioni surreali dove rimanere seri era veramente difficile… Tipo: una volta si presenta in studio un ragazzo sassofonista che gli amici chiamavano Schifandro vestito da pirata! Ma con benda sull’occhio, maglia arighe, bandana ecc. Fin lì niente di particolare se non fosse che guardandolo bene aveva anche la gamba di legno!! Non ci volevamo credere!! Inizia a suonare il sax e ogni tot note ne fa sempre due steccatissime…abbiamo scoperto che gli si erano piegate delle chiavi del sax perché quella mattina era andato sul balcone a fare un assolo e nell’esaltazione gli era caduto il sassofono in cortile dal terzo piano! Un'altra volta in una serata nebbiosa di novembre si presenta senza preavviso un ragazzo vestito tipo paggio del ‘700 con tanto di pantaloni corti, calzette da marchese e scarpe con fibbia di metallo e cii chiede di provare alcuni vocalizzi e tipi di riverbero da chiesa.  Poi all’uscita, riavvolgendosi nel suo mantello, si è dileguato misteriosamente, non prima di presentarsi : “Piacere!! Io sono Giovanni del Cristallo!!” Non ci dimenticheremo facilmente di un chitarrista che voleva 6 microfoni sulla chitarra, uno per corda e di un tizio che durante una session nella foga si è messo in piedi su una conga, è caduto e si è rotto un polso. Concludiamo con la prenotazione dello studio da parte di un Frate con tanto di barba e saio. Fin lì nulla di strano se non fosse che era un Metallaro estremo! Era il mitico Fratello Metallo e nel ritornello di un pezzo cantava a squarciagola in growl: “Volete la Luceeeee o la morteeeee?????” Eravamo piegati.

 

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L'articolo Tutto quello che è cambiato negli studi di registrazione negli ultimi anni, e cosa invece non cambierà mai di Furio Dolcini è apparso su Rockit.it il 2024-11-13 13:12:00

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