"I CCCP e le istituzioni. L'avresti mai detto?". Giovanni Lindo Ferretti scherza così con Massimo Zamboni, quando gli ricordano che deve fermarsi un attimo per i saluti di rito con il sindaco della città. Siamo nella "provincia più filosovietica dell'impero americano", Reggio Emilia. È qui, nei Chiostri di San Pietro, che è stata allestita Felicitazioni! CCCP Fedeli alla linea 1984-2024, la mostra – ma anche "mostro" o "spettacolo immobile", come lo definisce Ferretti – che celebra i quarant'anni dei CCCP, band che dalla sua fine nel 1989 è stata cellula dormiente, e ora si risveglia in un mondo irriconoscibile.
Lo dirà lo stesso Ferretti nel ricordare il momento in cui questa mostra celebrativa ha iniziato a prendere forma, quando durante le riprese del film Kissing Gorbaciov si sono ritrovati tutti e quattro insieme dopo decenni: "In quell'occasione, per la prima volta dopo tantissimi anni, ho rivisto un nostro vecchio concerto e sono stato frantumato dalla bellezza delle immagini. Quando poi siamo andati a pranzo, la sensazione era che ci fossimo lasciati appena la sera prima, invece che trent'anni fa, c'erano la stessa complicità e lo stesso affetto di sempre".
E ora, all'anteprima della mostra, loro quattro ce li abbiamo davvero davanti, quei CCCP che mancano dai palchi dal 1989: Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Danilo Fatur artista del popolo – e ora "un mortadellone di Bologna", come dirà ridendo – e Annarella Giudici, benemerita soubrette e "esecutrice testamentaria", come racconta Ferretti nello spiegare il lavoro da lei svolto di recupero del materiale che si può vedere all'interno della mostra e nel grosso volume omonimo alla mostra realizzato per l'occasione. Sono lì, a un passo e inarrivabili allo stesso tempo, per quanto sono stati eterei in tutti questi anni.
È una questione di qualità, ci ricorda una scritta ripetuta all'ingresso dei chiostri, ma prima ancora è una questione di fede. Lo è per i CCCP, che fedeli alla linea lo sono fin dal nome, intesa come visione politica e ideologica sbandierata nel nome, nei testi, nelle urla e nelle distorsioni spietate, seppur ognuno poi abbia preso la sua strada e l'abbia riconvertita in un qualcosa di altro: in particolare per Giovanni Lindo Ferretti – che oggi dichiara: "sono spudoratamente anticomunista così come un tempo ero spudoratamente comunista" – significa ricongiungersi con le radici cattoliche che tanto aveva rifiutato da ragazzo, senza però abbandonare quel senso di appartenenza e di affetto verso il gruppo. Ma lo è anche per chi è testimone di questa storia, noi fan, noi ascoltatori, noi consumatori, che trasformiamo i profeti CCCP a loro volta in oggetti di culto.
Per questo i chiostri sono un luogo perfetto dove calarsi e mettere in atto questa esibizione che è prima di tutto carne viva, non una mera mostra di reliquie. L'ardore di chi in quel mito del comunismo credeva ciecamente, per poi trovarsi a scontrare contro le macerie del muro di Berlino abbattuto, di cui un pezzo vero(!) è visibile nel chiostro grande, accanto a un altoparlante che fa risuonare il canto martellante di Giovanni Lindo Ferretti. Un mondo che ancora suscita commozione, a dimostrazione dei mille significati che quel periodo storico portava dentro di sé: "Quando quel pezzo di muro è arrivato qua c'era gente fuori dai chiostri che guardava commossa. Ed è percepito così perché il comunismo emiliano non era oppressione, ma riscatto, un'occasione per uscire dalla servitù della gleba", racconterà Zamboni.
La Berlino degli anni '80 si percepisce fin dall'esterno dei chiostri, dove le sagome dei tre agenti della VoPos, la polizia della DDR, che campeggiano nella copertina di Ortodossia, fanno la guardia. Prima di entrare nella mostra vera e propria un cartello ci fa da monito: "Achtung, sie verlassen jetzt West-Berlin". Attenzione, state lasciando Berlino Ovest.
Al pianterreno sette stanze, quante i dischi della band, fanno da frammenti di un discorso amoroso che sconfina nella mitologia, nel romanticismo di quell'Emilia filosovietica che non esiste più, ma per molti versi è ben presente. La vediamo nelle spille di Lenin, nelle bandiere dei paesi dell'URSS che fu all'ingresso e nei volti austeri dei vecchi dirigenti dei partiti comunisti dell'Est Europa, messi in fila in un lungo corridoio mentre l'inno dell'Unione Sovietica e della Germania Est si alternano. Surreale vedere una città intera in qualche modo riconoscere e nobilitare quello che è stato uno dei gruppi più dirompenti della musica italiana, eppure in qualche modo è tutto giusto, tutto perfettamente coerente. "Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente", avrebbe detto qualcuno.
E poi ci sono i titoli dei giornali, stralci che vanno dall'apocalittico al divertito, da chi vede nei CCCP l'arma perfetta contro i paninari nemici del popolo a chi confonde quattro promesse della atletica leggera per loro. È del materiale che fa effetto quasi quanto la loro musica, soprattutto a vederlo oggi. Senza contare gli abiti di scena, i bozzetti delle luci dei loro concerti, scalette, tantissimi reperti d'epoca e Onde, brano inedito dimenticato a cui è dedicata un'intera sala, una sorta di corridoio con tanti altoparlanti appesi lungo la stanza e che insieme fanno finalmente esplodere questo brano.
Attraversare queste sale può dare l'impressione di trovarsi davanti a qualcosa di finito troppo presto, ma non secondo Massimo Zamboni: "Ci siamo sciolti quando il mondo da cui prendevamo ispirazione e che cantavamo è cambiato del tutto. Prima di scioglierci abbiamo suonato a Mosca e a Leningrado (sì, Leningrado, non San Pietroburgo, ndr), quella frontiera l'abbiamo finalmente raggiunta". Poi furono i CSI, ma non se ne percepisce l'aura attorno, se non nelle copertine dei vinili che i fan si sono portati dietro per farseli autografare.
Da qua a febbraio la mostra rimane aperta, ma ancora non è chiaro se succederà dell'altro, che poi è tutto quello che la gente vuole davvero sapere. Ogni domanda sul tema viene abilmente schivata, ma Giovanni Lindo Ferretti una mezza risposta la dà: "Siamo pur sempre i CCCP, qualche sorpresa vi tocca". Per poi ribadire: "Quando è caduto il muro, e quindi di quello che alcuni chiamavano 'l'impero del male', tutti si aspettavano un futuro radioso, invece c'è stata una vendetta della storia prima e della geografia poi che fanno accapponare la pelle. Quello che noi abbiamo costruito un meraviglioso mandala, un soffio di vento l'ha buttato via. E voi volete sapere che succede sabato prossimo?". Come sempre, all'erta stiamo.
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L'articolo L'ultimo spettacolo dei CCCP di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2023-10-11 18:28:00
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