Un ricordo e tre poesie per Carmelo Milea

Il promoter calabrese, tra i pilastri del festival Ypsigrock, è scomparso a 62 anni. Un tributo a una persona che ha portato musica ovunque e in qualsiasi modo, da tour improvvisati con un pulmino troppo piccolo a quel live dei Casinò Royale sabotato dai manifesti elettorali

Carmelo Milea - foto di Giovanni Tagliavini
Carmelo Milea - foto di Giovanni Tagliavini

È appena mancato Carmelo Milea, promoter instancabile tra i Novanta e gli anni Zero con la sua agenzia Electra Tribe e per diverse edizioni uno dei pilastri di Ypsigrock. Nel 2021 ha fondato la Chullu Agency con Clara Sistili e Paolo Cerruto. Conosciuto anche come attivista e selector (Milea Stones), ha vissuto principalmente tra Catania e Milano. Il suo socio Paolo Cerruto ha voluto ricordarlo con queste parole, che si aggiungono ai tantissimi ricordi che stanno fioccando sul profilo Facebook di Carmelo.

Potrei partire dalle prime volte in cui ti ho incrociato sul finire degli anni Dieci, al centro sociale Cox18, dove tiravi su svariati concerti o cucinavi per artisti e compagni, quando non eri il selector (selector, non dj). Con quel viso da nativo pellerossa fumavi tanto american spirit e parlavi poco, io ancor meno.

Ci ho messo un po’ a scoprire qualcosa di te, tipo che amavi la Sicilia e il suo vulcano, oppure il tuo passato a Catania e la lunga amicizia con Cesare Basile. In quel periodo ascoltavo a ripetizione il suo disco U fujutu si nesci chi fa?, quindi sei entrato subito di diritto nella mia personalissima e sghemba hall of fame.

È stato grazie alla pandemia se ci siamo conosciuti davvero. Il primo lockdown l’ho passato dalla mia compagna Clara Aqua, nel quartiere Ticinese, in un bilocale occupato sopra al tuo. Ogni sera ci invitavi a cena e cucinavi qualcosa di delizioso, tanto che avevamo ribattezzato la tua cucina “Brutto Covid” in onore alla trattoria del Brutto Anatroccolo. Facevamo tardi tra vino e sigarette, discutevamo il delirio là fuori, ma soprattutto ci raccontavi, di notte in notte, qualcosa di te, mentre noi univamo parti di un mosaico che intuivamo essere ricchissimo.

Reduce da due ictus e da una vita furibonda, riallenavi il linguaggio spezzato inanellando racconti dalla tua infanzia in Calabria al trasferimento a Sanremo, la leva scampata, quindi Milano tra gli squat degli anni Ottanta; poi la Sicilia a cavallo tra i millenni con due splendide bambine, infine la parentesi spagnola, prima tornare sui Navigli.

Col sottofondo di incredibili playlist randomiche, prelevate da due hard disk, ci trasportavi in una Catania underground e vivissima, dove organizzavi concerti in cui alle volte si palesava Battiato tra il numeroso pubblico, riconoscente per la ricerca e la qualità. Ti immaginavo come un personaggio di Jim Jarmusch, bellissimo e maledetto, ondeggiante su riff distorti in un secolo in putrefazione.

Una volta, per il concerto dei Faust a Catania ‒ che suonavano una betoniera con sabbia ‒ hai corso centinaia di km fino a una spiaggia che conoscevi per recuperare la ghiaia del diametro giusto. Un’altra volta avevi chiuso un grosso live dei Casino Royale a Modica ma tutte le locandine furono coperte dai manifesti elettorali del candidato sindaco imparentato col promoter locale. Non venne praticamente nessuno e fu bel buco, ma ridevi troppo quando lo raccontavi…

Io e Clara, assuefatti dall’iper-esposizione pandemica ai social, ascoltavamo esterrefatti le tue odissee di affissioni abusive in Renault 4 lungo l’isola; immaginavamo lo sbattimento per raccogliere e inoltrare le mailing list chilometriche con cui trascinavi siciliani e calabresi tra club, campi sperduti, festival e rave nei rifugi dell’Etna.  

A un certo punto, tra una cena e l’altra, qualcosa è scattato tra noi: un promoter di lunga data, un’attivista creativa e un agitatore culturale. Da quelle cene è nata l’idea di dare un nome al nostro amore per la musica dal vivo, per il semplice stare bene e condividere un rito materiale; il nome Chullu l’ha scelto Clara, studiando antropologia culturale. Con questa agenzia spericolata in solo un anno e mezzo abbiamo prodotto un centinaio di concerti, reading e momenti di condivisione tra i quartieri di Milano e tutta Italia. Ci trovavamo per improbabili riunioni-gite da te, al Brutto, al Cox, quando faceva troppo caldo scappavamo sul Ticino o a Bogliasco, nella casa che ci prestava uno dei tuoi mille amici.

 

Carmelo - foto di Paolo Cerruto
Carmelo - foto di Paolo Cerruto

La cosa più folle, converrai con noi, rimane il tour dei Fulu Miziki, che hai costruito tu chiamando mezza penisola. Il giorno prima di partire l’autista del pullmino da dodici posti prende il covid lasciandoci nei guai, non avendo un sostituto con la patente giusta... Al che troviamo con fatica un furgone da nove sedute e partiamo con la band da sette elementi, solo che non ci stavamo tutti e tre noi Chullu e così mentre guidavo per lo stivale tu o Clara, a turno, ci seguivate con aerei, treni e bus tra Milano, Bologna, Catania, Roma, Pescara…

Per provare a inquadrare meglio il personaggio: Carmelo era uno che non guardava mai i suoi concerti per intero. La sua passione erano i sound check, che ascoltava con attenzione e dai quali intuiva tutto della band. È lì che capisci chi sono davvero… Poi andava a capire com’era la birra al bancone.

Quanto abbiamo riso Carmelo, quanto ci siamo scambiati con tanti sguardi e poche parole. D’altronde sei una specie di sensitivo, nella tua lucida follia hai una sapienza primitiva, questo lo dicono tutti… Per dire, pur non sapendo bene l’inglese riuscivi comunque a farti capire benissimo da chiunque e a entrare in una sintonia con gli artisti ben più in profondità di noi anglofoni.

Ultimo aneddoto: la scorsa estate in Torchiera è passato il tour mondiale dei Crime and the City Solutions, gli australiani che suonano ne Il cielo sopra Berlino, approdati alla cascina con un pullman abitabile da quindici metri. Noi ovviamente eravamo in ultra-ritardo a capire come tirare su il palco, ma alla fine è andato tutto benissimo, come sempre.

Il 4 marzo scorso, due giorni dopo il tuo sessantaduesimo compleanno, ci hai lasciati orfani di uno spirito libero e inclassificabile. Sei andato via proprio durante il soundcheck di due nostri concerti, tra il Biko e il Raindogs di Savona. Chissà se ti son piaciuti, chissà cosa diresti di questo stupido ma sincero coccodrillo. Probabilmente ci manderesti tutti affanculo.

Ti salutano la tua famiglia, tutti i musicisti, i compagni in ritardo e gli infiniti amici conosciuti lungo la strada. Grazie per la tua luce immensa. Per sempre libero, senza compromessi.

You got to burn to shine.

Carmelo,

io vorrei che tu

e Kerouac e Ginsberg

e Corso e Ferlinghetti e tutti gli altri

possiate non avere pace

se pace è la coscienza stanca dei morti

possiate rivoltarvi nella tomba

irrequieta sentendo il vostro nome

e i versi sulla bocca degli adolescenti

aspettando – sempre aspettiamo qualcosa

che il prato partorisca altri fiori

altre margherite

altre canzoni e speranze

vorrei sentire ancora la vostra voce

sirene familiari e pericolose

perché ci avete insegnato l’inquietudine

e che soltanto l’inquietudine è vita

e avete affondato i vostri denti

nella nostra carne

ferite dolci di miele e veleno

strappandoci alle illusioni

di esistenze annebbiate

e mute maschere sottomesse.

Ti maledico e ti abbraccio

per avere strappato le calde

pesanti tende di velluto e di corda

che nascondono il retrobottega

per avere scoperchiato i vasi

e bombardato gli idoli

dal ghigno rassicurante

sempre in cerca

sempre in attesa.

*

A quel tempo avevo vent’anni

ed ero pazzo.

Avevo perso un paese

ma guadagnato un sogno.

E se avevo quel sogno

il resto non importava.

Né lavorare né pregare

né studiare all’alba

insieme ai cani romantici.

E il sogno viveva nel vuoto del mio spirito.

Una stanza di legno,

in penombra,

in uno dei polmoni dei tropici.

E a volte mi guardavo dentro

e visitavo il sogno: statua immortalata

in pensieri liquidi,

un verme bianco che si contorce

nell’amore.

Un amore sfrenato.

Un sogno dentro un altro sogno.

E l’incubo mi diceva: crescerai.

Ti lascerai alle spalle le immagini del dolore e del labirinto

e dimenticherai.

Ma a quel tempo crescere sarebbe stato un delitto.

Sono qui, dissi, con i cani romantici

e qui resterò.

*

E quanto pesano i giorni incolori

quando si schiantano consecutivi

nella città trasfigurata, identica

a sé stessa e a tutte le altre.

Zoppicavi solo per il Ticinese.

Quando avete venduto l’anima?

A quanto, ma soprattutto, perché?

E se esce il matto cosa succede?

Siamo dritti noi o storti voi?

Che è tutto relativo,

come la torre di Pisa.

Quanto siamo ipocriti? Scusaci.

Eravamo dediti all’importanza

minima e costante del lavoro.

Milano, la città dove la merce

vale di più della vita.

D’altronde anche tu

amavi l’odore degli incendi

l’incedere dei sogni dispari, le notti.

La libertà è non vedere la prigione

così dicevi, mi spalancavi gli occhi.

Gli indiani se ne vanno soli

isolandosi dal mondo.

Che idea morire di marzo…

[La prima poesia è un estratto, rielaborato nell’intestazione, da una poesia di Pino Tripodi scritta per Ferlinghetti Corner, reading itinerante a cura di Agenzia X, Libreria Calusca City Lights e DPCM. La seconda è di Roberto Bolaño, traduzione di Ilide Carmignani, da I cani romantici, SUR. L’ultima l’ho composta a caso, complice qualche furtarello qua e là].

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L'articolo Un ricordo e tre poesie per Carmelo Milea di Paolo Cerruto è apparso su Rockit.it il 2023-03-06 15:53:00

Tag: addio

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