Esistono alcuni riferimenti che per un genere, una cultura, un microcosmo intero come il pop italiano sono imprescindibili per chiunque chi ci approcci. Spettri di mostri sacri che qui e là appaiono in giro nelle discografie di altri artisti, facendosi sentire a decenni dalla propria attività artistica. Quando è iniziato a circolare il nome di Davide Amati, classe 1998, di Sant’Arcangelo di Romagna e trapiantato a Bologna, lo spirito di Battisti – vera divinità della nostra musica – era presente e vigile sulle sue canzoni, fin dai primi gemiti come Allunga il passo o Se te ne vai. Proprio grazie a quei brani i link correvano nelle conversazioni con commenti trionfalistici tra amici e addetti ai lavori, come riferendosi a una next big thing che ancora doveva esplodere: "Ma questo è bravo". Be', questo È bravo.
È bravo perché quelle due, tre canzoni che giravano da YouTube portavano una genuinità ma anche l’impressione di stare ascoltando una hit di qualche anno fa che per qualche motivo ancora non avevi sentito. Quella sensazione che si ha quando si ascoltano canzoni che magari non si sentono da tempo ma di cui si conosce ogni nota, e mentre il pezzo va avanti, il ricordo si ricompone. Ma se molti cantautori hanno preso quell’aria battistiana per infilarla dentro una scrittura già consolidata, spesso più per manierismo che per spontaneità, il romagnolo sembra aver imparato la lezione e averla digerita, lasciandola intravedere attraverso le proprie canzoni con la semplicità di una generazione abituata a ricevere influenze sparse da più parti, dagli ascolti “da casa”, dello stereo dei genitori, fino alle riscoperte dell’internet.
La scrittura di Amati è solida, semplice e quindi non ha falle in cui si può insinuare l’insicurezza di composizione, complice una vaga somiglianza vocale con Lucio Battisti e giri armonici semplici ed efficaci, e sappiamo quanto l’Emilia Romagna sia madre di progetti e di compositori incredibili, da Dalla a Cremonini, da Carboni a Guccini, quanto quella terra sia capace di instillare un innato senso della armonia nei suoi cantautori. Davide Amati ha una gradevolezza pop nonostante abbia origini blues e jazz, che ha “asciugato” armonicamente per un pop raffinato. E che qui arriva a un primo progetto concreto, un ep d’esordio – chiamato semplicemente EP #1 – in cui si lascia presentare al grande pubblico da colleghi noti in collaborazioni vibranti e per nulla forzate. I duetti sono una lettera di presentazione non male, con Cimini, Gregorio Sanchez, Nicolò Carnesi e Matteo Alieno a fare da referenze inappuntabili a favore del nuovo talento, la cui penna è in naturale evoluzione, anche grazie all’incontro con quattro artisti completamente diversi per quattro diversi brani e quattro colori differenti.
Tutte le diverse strade che il cantautore potrebbe percorrere sono delineate nell’ep, a partire da Goodbye con i suoi synth e archi nostalgici, vicina al Dente dell’Almanacco del giorno prima, in cui Cimini si aggiunge su una ritmica incalzante e un ritornello killer per raccontare un addio. Questo fino all’epifania, quasi sul finale, di un "Mi manchi" che annulla l’intera finta serenità del suddetto addio, mischiando così malinconia, nostalgia a sprazzi di evidente sincerità. Gregorio Sanchez, invece, duetta su Aspirapolvere, dove prendono forma metafore concrete di concetti astratti, come per esempio nel verso: “L’aspirapolvere sui miei pensieri, che sono neri da ieri”. Un altro aspetto della scrittura di Amati, unire concetto e concretezza, tra cori beatlesiani e uno splendido assolo di chitarra.
Ed è proprio la chitarra, strumento che è quasi l'estensione naturale delle mani di Davide, che in I santi, invece, diventa ancora più calda e preponderante, con un riff che da solo fa la canzone. Qua l'ospite è Nicolò Carnesi, con altre immagini chiaroscure a portarci dalla notte al giorno – “Perché il buio è una cosa bellissima, c’è una pace infinita, uno sbadiglio prima del giorno, una via d’uscita” – prima di un solare ritornello da sing-along di ritrovata libertà. La scrittura “semplice” si complica rimanendo comunque accattivante in Specchio, con la melodia che gioca tra maggiori e minori e scale scivolosissime alla Quintorigo, con chitarre acustiche fredde a fare da scheletro al brano con Matteo Alieno, prima di un finale lisergico.
Quattro collaborazioni completamente diverse una dall’altra: una amicizia storica con Matteo Alieno, un rapporto strettamente professionale nato grazie a questo progetto con Nicolò Carnesi, amici in comune con Sanchez e conoscenze da backstage con CIMINI, quest'ultima culminata con un live a Bologna in occasione dell'uscita dell'ep che già sembra essere diventato un piccolo culto. Quattro saturazioni diverse della stessa fotografia, tra gioco e diario, con tante immagini a delineare una ambientazione in cui si muove la scrittura ricercata ma facile da ascoltare. Ancor più interessante che abbia deciso di presentarsi al pubblico non con un disco solitario e senza feat, in cui – teoricamente – far risaltare voce, composizione e personalità, ma un ep in cui il risultato è evidentemente superiore alla somma delle parti e delle persone che vi hanno preso parte, figlio di incontri, rapporti e stima coltivata e cresciuta con il tempo e il lavoro di squadra. Un ep in cui lo spettro di Battisti delle prime cose si allontana, ma comunque aleggia sulla composizione impeccabile dei brani, lasciando molto più spazio alla personalità – o allE personalità, ancora meglio – di Amati.
Per essere una lettera di presentazione, c’è tantissima voglia di leggere il resto del curriculum, le altre canzoni già pubblicate prima dell’ep collaborativo, per sentirne ancora e conoscere ancora di più del talento di Sant’Arcangelo. E a quelli che passavano il link delle prime canzoni su YouTube dicendo “Questo è bravo”. Be', sì, questo è bravo.
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L'articolo Una stanza piena di Davide Amati di Marco Mm Mennillo è apparso su Rockit.it il 2021-10-26 10:00:00
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