Maria Arena, milanese per necessità o catanese d'esportazione che dir si voglia, è da dieci anni a questa parte oramai una delle forze propulsive più interessanti del cinema nostrano dall'approccio più underground alla materia documentaristica. Il suo talento è sito soprattutto nel sabotare le regole dell'ingranaggio del genere-documentario, azzerando per intero lo spannung (ossia il momento di massima tensione) e l'effetto (o gli effetti) sorpresa dal campo d'indagine. C'è nel suo modo di fare un quid di Aki Kaurismaki, nel lavorare lungo la linea tra realtà e narrazione senza “scossoni” e senza imporre, con stratagemmi, la visione di ciò che accadrà. Senza tuttavia perdere in alcun modo un impatto poetico ed emotivo dell'esposizione.
Proprio per questa sua forza libera e svincolata da qualsivoglia slow burner, il senso del suo ultimo lavoro, Uzeda - Do It Yourself, in programmazione al Biografilm Festival di Bologna il prossimo 13 giugno alle 21.15 al Cinema Lumièere, è palesato nei primi minuti per voce di un testimone d'eccezione: Steve Albini. “Gli Uzeda - dice il produttore/musicista di recente scomparso in un'intervista del 2018 - hanno decenni di esperienza nella scena indipendente. E se fai parte della scena indipendente, quando il business delle case discografiche collassa o cambia, come è successo negli ultimi anni, non temi nulla”. Sic et simpliciter, il nocciolo degli Uzeda è questo qui.
E potrebbe essere inserito a pieno titolo tra i mille geniali virgolettati che Steve Albini ha lasciato ai posteri ma è anche una citazione che racconta molto bene della storia e della struttura dei catanesi. Continuando il gioco delle citazioni, conoscete quella di Oscar Wilde che dice “Un amico è colui che ti conosce bene e, nonostante questo, continua a frequentarti”? Ecco, allo stesso modo gli Uzeda sono un'eccezione. Un unicum indissolubile che si propaga da oltre trent'anni e, pur conoscendo meglio di tanti gli intimi segreti dell'essere musicisti e, dopo una vita interamente votata alla scena indipendente e un'analisi attenta dei suoi meccanismi e problemi, non accenna a rinunciarvi o tenta di arricchirsi scendendo a quei compromessi dei quali anche quella scena è oramai bolsa.
Non è quindi a caso che Steve Albini, l'integerrimo Steve Albini, il burbero e inavvicinabile Steve Albini ne parlasse da amico, con grande stima e ammirazione, ne che Agostino, driblando i vari Bob Rock e Butch Vig, abbia provato con successo (grazie a un chilo di gettoni e una normale cabina telefonica: molto), a mettersi in contatto proprio lui. Era il 1991 e iniziava così una duratura collaborazione che li avrebbe portati, in primo luogo, a ottenere quel suono oltremodo veritiero, asciutto, analogico, dal rullante secco e dalle chitarre ipnotiche che ha fatto la storia della loro inappuntabile discografia e poi a firmare per la Touch and Go e a registrare due live alla BBC. Perché, come loro, anche Steve Albini per primo credeva che il valore di colui che aiuta un gruppo a registrare stia nel riuscire a mettere in evidenza le peculiarità delle persone che ne fan parte, senza volere imporre il proprio modo di pensare.
Ma se Uzeda - Do It Yourself è per forza di cose molto Albini (e sentirlo parlottare in italiano merita da solo la visione) non è solo Albini. È soprattutto la storia di Giovanna, Agostino, Raffaele, Davide e Gianni da prima del 1987, anno della loro formazione come gruppo, e lo fa indirettamente, attraverso la ricerca di un musicologo del UCLA di Los Angeles, Patrick J. Craven, atterrato a Catania per trovare elementi probanti per la sua tesi secondo la quale, in un mondo infognato nel duopolio del mercato americano e anglosassone, gli Uzeda sono "l'ultimo vero gruppo indipendente esistente".
Da questo interessante spunto di riflessione, inizia a emergere la loro passione per molte cose. La Sicilia e Catania; le radio, soprattutto quelle indipendenti; i 45 giri dei Primitives e dei Rokes; i viaggi e i tour ma principalmente per loro stessi, ma non in senso egoista e autoreferenziale, piuttosto come modo di esprimersi trasmettendo agli altri le proprie emozioni: un bisogno costante di un suono che li esprima per come sono. Il loro è un "prodotto" strettamente legato alla loro visione della musica, folgorata sulla via dei Bastro ma da sempre serissimamente unito alla vita quotidiana. In una vecchia intervista del 1993 era Giovanna (già) a dire: “Spesso arriviamo al posto di prove alle dieci e mezzo di sera con una giornata mostruosa alle spalle, con il nervosismo e i pensieri di una vita normale, vissuta da ognuno con problematiche, carattere, modi di fare e vedere assolutamente diversi, il che vuol dire che quando suoniamo quello che tiriamo fuori è un confronto di emozioni tra di noi”.
Insomma, c'è una grande unione alla base degli Uzeda - sottolineato ancora di più oggi nel racconto emozionante ed emozionato dell'incontro tra Giovanna e Agostino in quel di Radio CTA. Uno scambio emotivo continuo e pieno di energia, un libero confronto di idee reso possibile da una solida stima reciproca. Il risultato è la più completa ed ammaliante possibilità di espressione di stati d'animo, che dà al Do It Yourself il giusto umore e la giusta ricchezza emotiva per colpire anche chi degli Uzeda non ha mai sentito una nota e non sa nulla di musica indie. Così come ci lascia impigliati nel suo meraviglioso zig-zagare tra inglese e italiano/catanese che, in un certo qual modo, è rappresentativo delle loro stesse vite e del loro modo di far musica.
Quello di Maria Arena è un documentario che ha il raro merito di accrescere nei dettagli chi troverà il tempo di vederlo attentamente, cogliendone, attraverso la (ri)scrittura della vita stessa da parte degli Uzeda, messaggi di sicuro molto più profondi della solita narrazione della storia di una band più o meno (s)fortunata. Per questo
confidiamo in un'uscita, il prima possibile, anche in DVD; così da poterlo custodire nelle videoteche domestiche e continuare a rivederlo.
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L'articolo Gli Uzeda sono un'eccezione che va avanti da 30 anni di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-06-12 11:34:00
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