"Non vi preoccupate, di questo posto sono un master". Simone "Simmi" Bertuccini ci rassicura così, mentre ci muoviamo tra tombe e lapidi del cimitero monumentale di Staglieno, il più grande di Genova e uno dei più belli d'Europa. A un certo punto ci si avvicina un custode, chiede se abbiamo bisogno di una mano per orientarci. Ma Simmi è sicuro di sé: conosciamo il posto, non c'è problema. Arriviamo così alla tomba di Fabrizio De André, "sicuramente non tra le più belle, nonostante quello che rappresenta". Poi c'è la Tomba Appiani, che i Joy Division hanno scelto per la cover del singolo capolavoro Love Will Tear Us Apart e dell’LP Closer. Infine quella di Mazzini, "ma è dentro la pineta, bisogna camminare un po' per trovarla perché comunque il cimitero è enorme".
Inizia così la penultima puntata di Venticinque, il podcast prodotto da Rockit e Life Gate Radio, da oggi è su tutte le piattaforme di streaming. I protagonista dell'episodio – scritto come sempre da Dario Falcini, Giacomo De Poli e Marco Rip – sono due. Genova, una città che ha definito come forse nessun’altra l'anima della canzone italiana, e gli Ex-Otago, che di questa terra tra l’acqua e le montagne rappresentano l’ultima grande band.
“Le nostra è una città che ti giri da una parte e hai un paesaggio sconfinato, ti volti dall'altra e hai un palazzone sbiadito”, ci raccontano i ragazzi, che lungo i 33 minuti di questo episodio si spostano con noi dal mare ai pendii, fino al traffico dei cavalcavia cittadini, orientandoci in una città davvero unica, fonte di ispirazione per tanti. "Nel periodo dei nostri esordi, Genova era veramente viva. Si respirava fermento. Ci sentivamo persino dei privilegiati rispetto a Milano, che ci pareva grigia. Noi avevamo il mare, avevamo il clima favorevole. Era pieno di locali, di serate. Genova Duemilaquattro, Capitale della Cultura, è stato un grande momento, davvero fertile".
Ad accompagnarci con Simmi c'è la voce storica della band, Maurizio Carucci. La loro è un'amicizia che si perde tra i banchi di scuola e le giornate passate per le strade sotto casa a Marassi. "Simo è la persona che conosco di più nella vita, ci siamo ritrovati anche a fare le scuole e la comunione insieme, abitavamo a un tiro di schioppo, a duecento o trecento metri uno dall'altro. La nostra amicizia e conoscenza è veramente molto profonda", dice Maurizio. "Che poi da piccola mia mamma non voleva che ti frequentassi, perché ma eri un po', diciamo, irrequieto. In macchina andavi come un pazzo. Ma con l'adolescenza è stato inevitabile stare assieme: anche se avevamo ascolti diversi, la passione di entrambi per la musica ci ha unito", risponde l'amico.
A unirsi ai due, nel lontano 2002, è un terzo componente: Alberto Argentesi, per tutti il Pernazza (poi membro dei Magellano e visto in tv con Piero Chiambretti), uno abbastanza complicato da reperire al telefono. Inizia un periodo assurdo per la band, che diventa un power trio che fa canzoni d'amore, ma poi suona nei festival punk. Cantano in inglese, perché allora è impensabile il contrario. "In quel momento eravamo veramente infatuati con la musica americana e tutto quello che erano l'emo e l'indie di quel momento, al contrario era il respingimento totale di quella che era la musica italiana".
Girano tutta Italia partendo dai centri sociali. "Il Pinelli, qua dietro, è stato il palco del nostro primo live". Con questa formazione pubblicano l'album The Chestnuts Time per l'etichetta indipendente romana Vurt. Il disco è pubblicato in 500 copie. "Vedere gli Ex-Otago in quel periodo non poteva lasciare indifferenti: Albe suonava una tastierina Casio con la lingua, Mauri che si dimenavaa e io rimanevo seduto sul palco immobile", dice Simmi. "C'era chi si gasava e c'era chi ci odiava con tutto il cuore. Dice 'Ma chi sono questi ciarlatani?' Del resto aveva ragione, non si può dire che fossimo dei grandi musicisti".
Maurizio racconta così la "filosofia" del gruppo. "Eravamo una palla di neve che rotolava e raccattava cose durante il percorso. Dicevamo alle persone in maniera 'ragazzi, stiamo rotolando, venite anche voi'. E parecchi si univano".
Il tour prosegue per la città (compresa la loro prima saletta, con il messaggio non proprio rassicurante che trovate qua sopra), a Marassi ammiriamo il murale a loro dedicato, un riconoscimento che di solito spetta ai rapper defunti più che a un gruppo con la faccia un po' così e il piglio cantautorale, tutti vivissimi e per nulla avvezzi a stare a lungo sotto i riflettori. Andiamo a pranzo da Marcello e arrivano i racconti sul cambio di formazione, il passaggio all'italiano – "Inizialmente ti senti un po' ridicolo perché devi trovare le parole giuste per esprimere un concetto senza risultare banale: il primo approccio è stato traumatico, ma l'esigenza era quella di essere compresi da più persone" –, e poi "l'azzardo" Sanremo, i nuovi dischi e la voglia di stare ancora assieme dopo più di vent'anni.
Ci raggiunge Rachid, batterista della band, fondamentale nel "nuovo corso" degli Otaghi, un corso che ormai va avanti da parecchio tempo. Rachid è una figura fondamentale per la musica in città, come dimostra anche il suo impegno in Pioggia Rossa Dischi, etichetta che ha pubblicato le cose più preziose della musica indipendente del territorio nel periodo recente. "Per me è stato proprio un treno su cui salire al volo, ho detto 'bella, salgo a bordo e incrociamo le dita'. Mi son buttato ed è andata bene".
L'ultimo trasferimento, quasi inevitabilmente, è verso il mare, un'attrazione fatale per ogni figlio di questa città. Qua arrivano parole sul futuro, su cosa significa davvero la musica e stare assieme. Parole molto belle, come quelle che gli Otaghi hanno sempre scritto. In qualunque lingua del mondo.
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L'articolo Venticinque, episodio 25: We Are Ex-Otago di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-03-06 10:11:00
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