I vincitori di Sanremo, il campione internazionale di streaming o il nuovo fenomeno generazionale, una recordwoman di dischi di platino. Quale artista avrebbe potuto raccontare al meglio il 2021 per la musica italiana? Tutti costoro, ma in fondo nessuno. Perché il 2021 non è stato un anno qualunque, proprio per nulla.
È stato l’anno in cui la pandemia ha mostrato il suo volto più feroce, e ha confermato che un cambiamento di paradigma non è solo necessario, non è più rimandabile. È stato l’anno in cui, nonostante le speranze e le tante promesse sparse nel vento dei media e dei social network, la musica dal vivo è stata fermata di nuovo, questa volta con gravissime perdite.
Se scegliere un artista simbolo di una dozzina o una ventina d’anni fa si è fin qui rivelato tutto sommato semplice, e per noi anche molto divertente, avvicinandosi così di botto alla data da raccontare il compito è risultato diverso, più complicato. E così abbiamo deciso di non seguire alcun numero, in questo momento storico più ingannevole che mai, e di affidare una puntata cosi particolare e importante del nostro podcast all’artista che più di ogni altro ha provato a opporsi a un’inerzia mefitica: Marco Jacopo Bianchi, in arte Cosmo.
È lui il protagonista del nuovo episodio di Venticinque, la serie audio prodotta da Rockit, in occasione del suo 25esimo compleanno, e da LifeGate Radio e scritta da Dario Falcini, Giacomo De Poli e Marco Rip, che da oggi trovate su tutte le piattaforme di streaming.
Nel 2021 Cosmo ha firmato un disco bello e prezioso, La terza estate dell’amore, ma soprattutto, si è battuto in prima persona per la musica live. Sul finire della scorsa estate, infatti, lanciava la proposta di dare vita a La prima festa dell’amore, un evento su più giorni da tenersi a Bologna, per celebrare il ritorno dei live come li conoscevamo (era ancora l’epoca di mascherine, sedute e tutte quelle amenità). Con la campagna vaccinale che finalmente era partita c’erano le condizioni per farlo, pensavano Marco e chi lavora con lui: all’estero lo facevano già in moltissimi. Seguirono settimane di discussioni, prima sottotraccia e poi pubbliche. Prese di posizioni politiche, spesso sterili e strumentali, lettere ai giornali, per finire un nulla di fatto pavido e interessato.
Cosmo aveva sfidato un sistema che lo ha respinto fino all’ultimo. Ma lì dentro ha aperto una falla, di cui tutti quanti hanno poi beneficiato, con la musica dal vivo che sarebbe ritornata proprio pochi giorni dopo che lui era stato costretto a rinunciare al suo evento. “La gente ha ancora una ferita da cicatrizzare dopo questi anni”, ci racconta Cosmo all’inizio dell’audiodoc che gli abbiamo dedicato. “Penso abbia voglia e bisogno di un boost di vitalità, di andare là fuori e prendersi quello che gli spetta”.
Il settimo episodio di Venticinque parte dalla sua città, Ivrea. Un posto che, rispetto ad altre province dell’Italia, “ha un humus culturale interessante, eredità del periodo di Olivetti, che ha dato vita a una delle classi operaie meglio pagate e più stimolate culturalmente d’Italia. Mio nonno ne è stato un esempio: è stato ovunque grazie ai viaggi organizzati dalla sua azienda”.
Dopo una colazione con lui e la sua bellissima famiglia, ampliata durante la pandemia come forma di reazione vitale alla paura che aveva colto tutti, siamo stati nel suo studio, a vedere dove crea una musica in continua evoluzione da quando era un ragazzo. “Ho iniziato a uscire tra i 16 e i 18 anni e mi sono subito focalizzato sulla musica. Era la coda lunga degli anni ’90, quando, anche in provincia, c’era una scena. Sono arrivato giusto in tempo, alla fine di quel periodo intenso, con live dappertutto, spazi occupati e fermento, però l’ho assorbito e ho subito iniziato a suonare. Passavamo ore a suonare, ascoltare dischi, parlare di musica”.
Nascono così prima i Melange, poi i Drink To Me, il gruppo di Marco che ha fatto un piccolo pezzo di storia dell’underground (con tanto di tour in Norvegia). Ecco lungo l’audio il suo racconto della “svolta” e il suo passaggio alla musica elettronica, pur contaminatissima, fino a diventare uno dei migliori (e più conscious) rappresentanti della club culture nazionale. “Tra il 2012 e il 2014 mi è capitato di farmi un club to club bello intenso e ho capito che quella cosa mi piaceva, sono rimasto affascinato da cosa facevano gli artisti sul palco, da quell’immaginario. Allora ho cominciato a sperimentare con la cassa dritta, fino a che quel treno non si è più fermato”.
Le radio si aprivano a una nuova generazione, Cosmo diventava parte di un cambiamento. Lo era indubbiamente, con un disco e un singolo come L’ultima festa. “Io andavo dal vivo con l’intenzione di fare ballare”, ci dice, da Ivrea. “All’inizio la gente pareva sorpresa: come, un concerto in cui si balla?”.
La sua testimonianza si sposta sulla nascita del suo collettivo Ivreatronic, un atto politico almeno quanto artistico. Poi arriva al suo ultimo disco, La terza estate dell’amore, un’invocazione in musica. “Abbiamo vissuto un tale periodo di depressione e repressione che ho pensato che ci vorrebbe davvero una sorta di riot festoso. C’è un vuoto di sacro e di celebrazione, abbiamo dovuto rimuovere l’altro, lo stare vicino e questo anche da un punto di vista della salute mentale ha fatto tanto male”, spiega Marco durante Venticinque.
Arriviamo così a parlare della travagliata genesi della sua Festa dell’amore, un evento che sarebbe dovuto essere l’apripista nell’autunno ’21 della cosiddetta ripartenza della musica dal vivo e che invece, nei suoi stop and go fino all’eclissi finale, è stato la perfetta fotografia delle ipocondrie di un sistema che va ripensato. “Tutto è nato sotto i migliori auspici, ed è naufragato sotto la burocrazia”, dice Cosmo.
“Ci sono artisti e generi che non possono accettare le sedute, le distanze, qualcosa di diverso da un rapporto diretto tra corpo e fruizione della musica”, aggiunge il suo manager Emiliano Colasanti. “Abbiamo fatto una scelta tosta: Cosmo non avrebbe fatto di necessità virtù, ma avrebbe proposto una soluzione, un’alternativa”.
“Ovunque, tranne che da noi, si facevano esperimenti per dare vita a live diversi e sicuri. Cosmo, che parla sempre di riprendersi gli spazi e la propria libertà, era perfetto per una simile iniziativa”, conferma Pietro Fuccio, di DNA, che organizza i live di Marco da anni. Quello che è successo è cosa nota. Venticinque lo ripercorre nei dettagli, chiamando in causa la politica fino ai suoi vertici, ministro della Cultura compreso.
Il podcast si sposta poi a Bologna, viaggiando anche nel tempo. Siamo a Pasqua, quando, in abbondante ritardo sui tempi, La festa dell’amore prende finalmente vita, in un grande capannone alle porte della città. “Quando tutti i piani saltano e il futuro offre solo incertezza, quelli sono i momenti in cui voglio partire all’avventura, schivare ostacoli, attivarmi. La vita per me inizia fuori dalla zona di confort, non sono fatto per la rassegnazione”, dice, accogliendoci a una tre giorni in cui la musica torna finalmente emozione e condivisione.
Cosmo ci racconta da dentro un concerto che è diventato un festival, il rapporto con i fan e quello con il tecnico delle luci e tutti gli altri lavoratori, il potere dell’incontro e dell’arte performata davanti a un pubblico. E ancora le pizze lanciate dalla sua sodale Pan Dan sul pubblico durante Tristan Tzarra, l’adrenalina e la gioia di aver fatto ciò per cui si lavorava da mesi.
“Magari il mio destino è finire in un angolino della musica italiana”, conclude Cosmo. “Ma io voglio continuare a guardarmi allo specchio, essere fedele a me stesso e fare una cosa che mi piace davvero. Stravolgere i linguaggi, rompere gli argini, invecchiare con la mia musica, sfuggire alla normalizzazione e alle logiche del mercato, non autocensurarmi mai. Voglio sentirmi dire no, e poi fare il cazzo che voglio lo stesso”.
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L'articolo Venticinque, episodio 7: le feste di Cosmo di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2022-06-22 09:06:00
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