Dall’aeroporto di Bari basta un’ora di macchina, una volta passato Policoro, per trovarsi sommersi dal paesaggio lucano. Un susseguirsi di colline a perdita d’occhio, una continua commistione di colori tra il verde e il giallo guidano lo sguardo durante il tragitto. Più avanti ancora, arriverà un blu rilucente, quello dei due mari che bagnano questa terra: lo Ionio, appunto, che tra Taranto e la Calabria, lascia una fetta di sé alla terra lucana, e, seppur per poco, pure il Tirreno, con la splendida Maratea appoggiata sotto il Cilento. E poi ci sono i fiumi. La strada su cui guidiamo gioca a incrociarsi con il Sinni: in estate, mi spiega il conducente, il corso d’acqua è in secca, lasciando così il posto a un ampio letto di sassi e arbusti.
Sparuti aggregati di case emergono di tanto in tanto tra i colli. La sensazione è quella di trovarsi in un luogo scampato alla globalizzazione. La strada comincia ad acquistare pendenza, la vegetazione intorno a me prende la forma di un bosco e comincio a capire di essere prossimo all’arrivo. La destinazione è San Severino Lucano, antico borgo di 1500 abitanti immerso nel Parco Nazionale del Pollino, l’area protetta più estesa d’Italia. Il parco prende il nome dal massiccio che ne fa da padrone, composto da diverse cime che superano i 2mila metri.
Mi trovo qui per partecipare al Pollino Music Festival, grazie ad una collaborazione tra gli organizzatori del festival e l’Agenzia di Promozione Turistica della Basilicata. Il Pollino Music Festival è una rassegna musicale giunta alla XXV^ edizione, ideata e curata dall’associazione culturale Multietnica di Potenza, in collaborazione con il Comune di San Severino Lucano. Un festival che ha consentito la diffusione di produzioni musicali di rilevanza nazionale e internazionale in una realtà periferica, a bassissima densità di popolazione, caratterizzata da uno scenario ambientale di particolare pregio. Un’iniziativa che ha contribuito negli anni a diversificare ed implementare l'offerta turistica del versante lucano del Parco, indirizzandola con successo verso una fascia di popolazione più giovane.
A differenza del passato, il momento clou dell’edizione 2021 è la presentazione dell’output di una residenza artistica ospitata in Basilicata, tra la Costa ionica e il Parco Nazionale del Pollino, con la collaborazione del Metaponto Beach Festival. La residenza, ospitata nell’ambito del progetto Open Sound, ha tracciato un percorso che è confluito nella produzione di OSA 2.1, una performance inedita basata sull’interazione tra sonorità tradizionali lucane e musica elettronica contemporanea, sia dal vivo che attraverso una apposita library di campionamenti.
La settimana di residenza si è svolta con il coordinamento artistico di Alioscia Bisceglia, voce dei Casino Royale, in veste di Ambasciatore del progetto Open Sound, nato nel 2019 dalla stessa direzione artistica del Pollino Music Festival e che dallo scorso anno vede la preziosa partnership di Sugar Music Publishing nonché, dalla sua nascita, di Linecheck Music Meeting and Festival. Protagonisti della performance collettiva OSA 2.1, la produzione inedita del progetto Open Sound 2021, in qualità di co-creatori e performers, sono Splendore e Foresta del collettivo Ivreatronic, la producer Plastica, il giovane producer Buio e i musicisti locali Agostino Cortese (AgoTrance) e Alberico Larato.
Già il primo giorno ho avuto l’occasione di parlare con Nico Ferri, il fondatore e direttore artistico del Pollino Music Festival e del progetto Open Sound. “L’aspetto unico di questo luogo è la sua capacità di stravolgere le tue aspettative. Arrivi qui con un’idea e viene completamente ribaltata", mi ha raccontato mentre mi spiegava la sua visione per riscattare un territorio così isolato. "Per costruire tutto questo mi è stato fin da subito chiaro di dover uscire dal seminato, fare qualcosa di diverso”. Nico mi rivela di aver ricevuto inviti in diversi paesi del mondo, tra cui Dubai e Hong Kong, per presentare il format Open Sound che, dopo essere stato inaugurato nel 2019 nel corso del programma di Matera Capitale europea della Cultura, risulta essere uno strumento di co-creazione artistica utile a promuovere la cultura e le tradizioni dei territori, in chiave contemporanea e non stereotipata. Forse è davvero possibile che la ricchezza di questi luoghi arrivi ovunque.
Una delle cose che più mi ha impressionato delle persone che ho incontrato nel corso della mia permanenza a S. Severino è lo spirito di accoglienza e lo stretto legame con le proprie radici. Come Franco Dattoli, architetto nato e cresciuto a S. Severino che, nel corso degli anni, ha instaurato uno stretto rapporto di collaborazione con l’amministrazione comunale al fine di valorizzare la bellezza dei suoi luoghi. Terminata l’università a Napoli, Franco ha capito che S. Severino aveva bisogno di lui: “Se le cose le ami e le vuoi cambiare devi metterci tanto lavoro quindi ho deciso di tornare qui e lavorare. Nonostante studiassi lontano, quando si tratta della terra dei tuoi padri sei spinto a fare qualcosa”. È proprio lui ad aver ristrutturato uno dei mulini storici che quest’anno fa da cornice al Festival. Una bellissima location immersa nel verde, con un torrente che scorre a pochi passi di distanza. L’imponente edificio in pietra abbraccia un prato cosparso di piccole sedute in fieno di fronte al palco.
Ad aprire la prima serata è Alioscia Bisceglia: la clamorosa selezione musicale e la sua innata capacità di coinvolgere il pubblico scaldano l’atmosfera in attesa del main act, ossia Dj Gruff accompagnato, in questa occasione, dal polistrumentista lucano Antonino Barresi. Per uno come me, che ha fatto del rap la colonna sonora della propria adolescenza, trovarsi davanti a un mostro sacro del genere fa un certo effetto. L’esibizione è un viaggio senza tempo tra colonne portanti della musica underground italiana e centinaia di scratch incrociati a ritmi ipnotici. Il flusso musicale è interrotto più volte da improvvisazioni in rima. L’impressione è quella di trovarsi di fronte a un musicista fatto e finito che ha ancora tanto da insegnare alla nuova scuola in quanto ad attitudine. Il pubblico lo sa, e anche tra i fan meno sfegatati l’eccitazione è palpabile. Si spengono le luci e si chiude la prima giornata di festival. Ripercorro la ripida salita in pietra che mi riporta sulla strada verso l’albergo. La natura che mi circonda rende l’aria freschissima, respiro a pieni polmoni mentre percorro i tornanti che tagliano il bosco del Magnano. Inizio a percepire la magia e l’unicità di questo posto.
L’indomani la sveglia suona presto. Il programma di questa mattina però non prevede niente di musicale: nell’abbonamento del festival sono comprese infatti due escursioni mattutine alla scoperta dei paesaggi del parco nazionale del Pollino. La proposta di oggi è una camminata all’interno del bosco Magnano, costeggiando il torrente Peschiera. Siamo accompagnati da una guida specializzata che passo dopo passo ci svela ogni particolare di ciò che ci circonda, facendoci percepire la ricca biodiversità che caratterizza questo luogo. Tra acque cristalline e faggi secolari trascorre questa mattina incantata.
Per il pranzo raggiungo gli artisti e gli addetti ai lavori al mulino Iannarelli, luogo del festival. Mi trovo al tavolo principale dove Agostino, storico percussionista lucano, racconta ai 4 giovani artisti protagonisti della residenza artistica parte della sua storia. Nato e cresciuto in Basilicata, ha da sempre avuto una predisposizione naturale per le percussioni. Fin da subito ha preso in mano gli strumenti tradizionali lucani ha avuto il privilegio di collaborare costantemente con il Maestro Antonio Infantino, collezionando negli anni migliaia di esibizioni, tra cui l'occasione di suonare in tour con Vinicio Capossela.
È proprio raccontando questo aneddoto che capisco la vera essenza di questo personaggio: trovandosi per la prima volta a confronto con musicisti nel senso più commerciale del termine ha da subito percepito una differenza anche solo di mera educazione musicale, cominciando così a domandarsi se, vista la strada che stava cominciando a percorrere nell’industria musicale, non fosse opportuno anche per lui mettersi a studiare per adattarsi ai suoi simili.
Qui intervengono i suoi maestri, spiegandogli che la sua unicità sta proprio in questo approccio così istintivo e naturale alla musica, lo diffidano così dal cominciare un percorso di istruzione legato alla musica, con il timore che questa scelta avrebbe potuto far svanire queste sue peculiarità così affascinanti. Conclude infatti dicendo:" Se ci penso… non so neanche come definirmi. Sento la musica e il ritmo ovunque. Entro in un negozio e qualsiasi rumore mi ricorda la musica. Cammino per strada e penso alla musica. La musica è la mia vita”.
Tra un bicchiere di vino e un peperone crusco termina il pranzo. Gli artisti si preparano per il soundcheck. e io trovo il tempo per riposare qualche ora prima del live di questa sera. Al mio risveglio l’agitazione tra tutti è tangibile. Dopo una settimana intensa di lavoro, Splendore, Foresta, Buio, Plastica e i musicisti lucani hanno sintetizzato tutto in una lunga traccia che suoneranno live questa sera. Mentre il sole cala la platea cresce e Alioscia Bisceglia la scalda ancora una volta con un dj set travolgente che ripercorre le playlist delle precedenti edizioni di Open Sound trasmettendo con passione il senso e la genesi della performance che sta per iniziare. È buio, i ragazzi sono nel backstage pronti per salire. Tempo di un abbraccio e poi via, comincia il live.
Ognuno prende posto dietro alla propria porzione di consolle e comincia così lo spettacolo. All'inizio sono talmente concentrato nel fotografare ogni particolare che non mi faccio troppo caso a quello che stanno suonando. Quando ridesto l’attenzione mi accorgo di essere condotto dagli artisti in un viaggio di ritmi e suoni completamente inaspettato. La platea è completamente ipnotizzata da questa traccia, che comprendo poi essere l’innesto di quattro differenti brani composti rispettivamente dai musicisti, ognuna con il suo suono peculiare, ognuna strettamente connessa con la successiva e la precedente.
Tutto d’un tratto, Agostino prende posto sul palco e arricchisce il live con le sue percussioni ipnotiche, accompagnato da Pasquale Montesano del collettivo AgoTrance. Particolare è anche il suono della Cupa Cupa, strumento tradizionale composto da una membrana in pelle animale (generalmente di capra o capretto) o in tela grossa, una canna (solitamente di bambù) e da una camera di risonanza. La traccia si fa man mano più densa, fosse anche solo per l’infittirsi delle percussioni di Agostino. È il momento di Alberico, che prende posto al centro del palco con la sua zampogna. L’ultimo tassello di questo percorso, forse quello più solenne, più iconico. Sono davanti ad una vera e propria orchestra di suoni. L’ultimo grido di zampogna sale al cielo e chiude questo viaggio intenso. Il pubblico è insaziabile e quindi il live prosegue per un breve bis. È tempo di inchini e ringraziamenti.
Tra l’eccitazione di tutti quella che più mi colpisce è l’espressione di Alberico, lo zampognaro: ha un sorriso enorme. Viene sommerso dagli applausi. Applausi giovani, freschi, eccitati. C’è forse la consapevolezza, tra loro, di una dignità ritrovata, o meglio riconosciuta. Un pezzo di tradizione che si è finalmente allacciata alle nuove generazioni, scacciando così, almeno per ora, la paura di essere spazzata via dal tempo. È forse questa la perla più preziosa di questo festival e del progetto Open Sound di cui quest'anno ospita la performance finale, come mi dice Plastica qualche giorno dopo in merito all’incontro con i musicisti lucani: “È stato super stimolante approfondire questi aspetti per fonderli al meglio con il nostro modo più moderno di fare musica”. Anche per Splendore le impressioni sono state simili: “Questo progetto ci ricorda due cose fondamentali: il primo è che nessuna musica, nessun genere, nessuno strumento rimane fermo nel tempo. Il secondo, ancor più importante, che la musica nasce come un momento di aggregazione tra tutte le persone coinvolte nell'atto”.
Mi colpisce invece il contributo di Foresta, che forse come me è rimasto affascinato dall’aspetto naturalistico di questa esperienza: ”Ci siamo ritrovati di fronte a un campo vuoto. Sapevamo solo che in una settimana sarebbe dovuto diventare un bosco. Quindi lo abbiamo arato, seminato e annaffiato e infine visto crescere così velocemente da rimanere poi stupiti dal risultato finale". Mi ritrovo molto anche nell’esperienza di Buio, nuova leva tra i grandi che porta a casa innanzitutto lo stupore della novità: "La cosa che mi porterò dentro di più è stata la totale condivisione e connessione che si è creata tra tutte le persone coinvolte nel progetto ma soprattutto tra me, Matilde Marco e Mattia. È stato tutto molto naturale e spero di ritrovare esperienze del genere al più presto".
Ho trascorso gli ultimi due giorni della mia esperienza in Basilicata presso Maratea, perla lucana affacciata sul Tirreno. Prima la visita a Cala Jannica, spiaggia iconica per la sua sabbia nera di origine vulcanica, poi una suggestiva escursione in kayak mi hanno ancora una volta ricordato l’incredibile offerta naturalistica di questa regione, che spazia dalla montagna al mare in poche ore di auto. Sul treno di ritorno per casa ho ancora negli occhi tutta la ricchezza vissuta in questi giorni. Ho scoperto un luogo magnifico che mi resterà nel cuore.
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L'articolo Di verde, di blu e di synth: il nostro viaggio musicale in Basilicata di Marco Previdi è apparso su Rockit.it il 2021-09-20 09:56:00
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