A Kayros la musica è la chiave per aprire ogni porta

Una mattinata nella comunità per minori alle porte di Milano, che oggi è diventata un punto di riferimento del rap cittadino. Merito di un studio nuovo di zecca, un'etichetta discografica e il coraggio di un prete. Che pensa che la censura non serva a nulla, e la musica sia un'opportunità per tutti

I ragazzi di Kayros assieme a Mahmood - questa foto è di Walter Coppola, per tutte le altre u.s. Kayros
I ragazzi di Kayros assieme a Mahmood - questa foto è di Walter Coppola, per tutte le altre u.s. Kayros

C’è il Muretto di San Babila, con la break dance e le gare di freestyle. Ci sono piazza Vetra e il Barrios, i locali, negozi di dischi e street wear ’90 e primi 2000, i mille spot resi iconici dalla gang dei Dogo, i nuovi centri gravitazionali come Calvairate e San Siro. E poi c’è un altro luogo che in un’ideale mappa del rap a Milano non può più mancare. Anche se è fuori dai confini della città, di pochissimo. Dopo aver percorso tutta Palmanova, stando più che attenti a uno dei velox più famigerati della metropoli, imbocchiamo la Padana Superiore. Affrontiamo un paio di rotonde sproporzionate, ci lasciamo alle spalle vivai e capannoni e ci troviamo davanti a un muro pitturato che conosciamo bene, dopo averlo visto in numerosi videoclip e servizi di telegiornali. 

Sopra di noi uno striscione con la scritta “Non esistono ragazzi cattivi”. Siamo a Vimodrone, paese della periferia Est di Milano, nella sede dell’associazione Kayros. È stata fondata nel 2000 da don Claudio Burgio, cappellano dell'istituto minorile Beccaria, dove da poco ha preso il posto del suo mentore, Gino Rigoldi, di cui è stato assistente per tantissimi anni. Kayros nasce con l’obiettivo di “offrire supporto e alloggio a minori in difficoltà segnalati dal Tribunale per i Minorenni, dai Servizi Sociali e dalle forze dell’Ordine”. Non li salva, li sfida. E negli anni ha ospitato tantissimi ragazzi tra i 14 e i 25 anni, adolescenti e giovani adulti inviati presso una comunità residenziale per portare avanti un progetto di definitiva “transizione all’indipendenza”.

Alcuni dei ragazzi della neonata label
Alcuni dei ragazzi della neonata label

Kayros si è fatta conoscere per varie iniziative inedite e coraggiose, grazie alla visione del suo fondatore, che contesta da sempre il fatto che il carcere in Italia troppo spesso non sia un’occasione di rieducazione e “rinascita”, come imporrebbe invece la Costituzione. E poi c’è il rap, che ha incrociato il percorso dell’associazione di Vimodrone (in realtà era nata a Lambrate, quartiere di Milano) negli ultimi anni. È avvenuto quando qui sono arrivati giovani artisti molto “chiacchierati” come Baby Gang, Simba la Rue e Sacky (che ha dedicato a Kayros l’omonima canzone). Tutti gravati da precedenti penali e stigma sociale, eppure capaci di numeri impressionanti e di innovare lo stile del “gangsta rap” all’italiana, forti di una credibiità che manca a molti loro colleghi. I tre hanno più volte parlato del ruolo di Kayros nel loro percorso, di tutto quello che di buono è stato fatto per loro tra queste quattro mura. Da quel momento da qui sono passati artisti come Marracash e di Mahmood, di recente Achille Lauro, Salmo e Gemitaiz hanno girato qua, assieme agli ospiti della struttura, il video del loro ultimo singolo Banda Kawasaki

Un legame intensissimo, che ora è stato istituzionalizzato. Da poche settimane è infatti nata Kayros Music, l’etichetta nata all’interno dell’associazione per “sviluppare e lanciare sul mercato i progetti discografici dei ragazzi della comunità che attraverso la musica cercano di trovare il loro ‘Kayros’, che significa ‘momento opportuno’ in greco”. 

Don Claudio al momento della firma del contratto
Don Claudio al momento della firma del contratto

La label nasce grazie a un accordo con Universal Music Italia, all’interno di un percorso iniziato più di un anno fa, quando alcuni A&R della major avevano dato vita a laboratori musicali per i ragazzi Kayros. “A un certo punto ci siamo trovati nell'insolita situazione di ricevere l’interessamento di due delle principali realtà discografiche italiane. La scelta è ricaduta su Universal per via del rapporto consolidato che avevamo con loro”, dice don Claudio, seduto al tavolo dello spazio che oggi è diventato la sala riunioni dell’etichetta e che un tempo era la principale area comune della struttura. 

Non solo Universal. Lo studio, affianco a dove ci troviamo, è stato donato da Sugar, che ha garantito un salto di qualità alle attività dell’associazione, che da anni porta avanti laboratori musicali e sessioni di scrittura, ma che prima avvenivano in spazi improvvisati, dalle camere dei ragazzi alla sala mensa, e senza la strumentazione necessaria.

In studio (con il don)
In studio (con il don)

Il fatto è che oggi con Kayros vogliono collaborare tutti, e non solo per il prestigio sociale di cui gode (non è sempre stato così, ci arriveremo). Che da qui possa uscire qualcuno in grado di sfondare in questo business non è una favoletta, non più. “Siamo perfettamente consapevoli di tutto ciò, e cerchiamo di usare tutto questo per i nostri scopi”, dice don Claudio, che seduti accanto a sé al tavolone ha Davide aka Dimax e Matteo Gorelli, gli AR di Kayros Music, le persone che più strettamente lavorano con gli 8 giovani artisti che per il momento compongo il roster dell’etichetta (fatevi un giro qua per ascoltare e "vedere" la loro musica). “Da quando l’associazione è nata riteniamo che la musica sia uno degli strumento educativi per eccellenza, l’esperienza con Baby e gli altri ha accelerato il processo. Quello che abbiamo capito è che oggi, e forse sempre, i ragazzi non amano parlare con gli adulti. Ci serve un gancio relazionale. La musica diventa uno strumento di narrazione di sé, della propria storia, delle proprie emozioni, rabbia e frustrazione”. 

Foto di gruppo in Universal
Foto di gruppo in Universal

Oggi Kayros ha la possibilità di salire di livello. Non è questione di fare il cash, o avere dei dischi d’oro da appendere alle pareti (che pur immaginiamo ai ragazzi schifo non farebbe). “Grazie allo studio di registrazione e all’etichetta mostriamo ai nostri ospiti che questo può essere un lavoro, l’importanza di darsi una progettualità, di perseguire degli obiettivi, rispettare delle scadenze. Capire che nulla nasce dal nulla, avere a che fare con un budget, per un brano o un videoclip, organizzare il lavoro proprio e quello degli altri: sono cose a cui non sono abituati, ma che sono fondamentali per affrontare la vita là fuori”.

Don Claudio – uno che Marracash definisce “un mito” e ora capiamo perfettamente perché – allarga sempre lo sguardo, e ti porta dentro al proprio ragionamento. “C’è un altro aspetto. Questi ragazzi sono terribilmente individualisti. Ma la musica non si fa da soli. Così, collaborando su un progetto, imparano che gli altri sono utili e importanti, non sono solo quelli da scavallare. Esplorano le dinamiche di gruppo, risolvono da soli conflitti. Si rapportano tra loro e con gli ‘adulti’ come Dimax o Matteo, che li affiancano con i loro consigli e la loro esperienza. Magari all’inizio vogliono fare di testa loro, ma capiscono subito che da soli non si va da nessuna parte”. 

Dario aka DDiT
Dario aka DDiT

Entriamo in studio con Dimax, che ci presenta Dario Firmano, producer con il nome d’arte di DDiT, che segue i ragazzi durante le sessioni di registrazione e poi nella produzione del brano. “Sto facendo la Scuola Civiva come tecnico del suono, ma lavoro già in studio da anni con diversi artisti. Mi piace soprattutto la parte di produzione, ma qua mi occupo anche di registrazione, mix e master. Seguo il progetto dall’inizio alla fine, è molto formativo”, ci spiega, mentre alza i volumi di Simo, l’artista che è in cabina al momento e che sta registrando una take. Rap, ça va sans dire.

Momento di vita quotidiana a Vimodrone
Momento di vita quotidiana a Vimodrone

“Per ora i nostri artisti fanno tutti urban, è il loro background, quello che ascoltano e quello che vogliono fare. Ma c’è chi guarda di più alla trap, chi al reggaeton, chi è più melodico. Stanno sviluppando le loro personalità, e noi auspichiamo che non emulino nessuno. Sarebbe bello un giorno avere anche altri generi, gente che suona strumenti analogici. Magari un giorno ci arriveremo”, dice Dimax.

video frame placeholder

Ci mostra dal pc uno degli ultimi videoclip, uno dei più ambiziosi fin qui realizzati. Si tratta di Gangsta’s Paradise di Yambo, girato in Liguria. “Chiediamo ai ragazzi di arrivare con un’idea, poi cerchiamo di metterla in produzione assieme. Spesso partono da cose irrealizzabili, ma poi si trova sempre la chiave per fare qualcosa di bello e compatibile con le risorse a disposizione. Queste esperienze permettono loro di uscire, fare cose nuove come recitare e vedere posti nuovi”. “Qua siamo andati pure in discoteca”, dice don Claudio. “C’ero anche io ma li aspettavo fuori”. 

Il video è basato sul “sogno gangsta” del protagonista, diviso tra la potenziale “gloria” che dà il crimine e la dura vita di tutti i giorni. Armi (giocattolo) se ne vedono nei video degli artisti di Kayros, il linguaggio talvolta è crudo. Ci sono alcuni stereotipi e materiale più creativo e interessante. “Noi non imponiamo nulla, anche se ovviamente non bisogna andare contro ai valori su cui Kayros si fonda. Favoriamo il libero pensiero, la nostra aspirazione è che si sentano liberi di esprimersi”, dice don Claudio Burgio. Non è solo un lavoro sui ragazzi della propria comunità, ma anche su quella allargata che c’è fuori dalle mura della struttura. “La nostra società ha una pericolosa attitudine alla censura, verso la trap in particolare. Il nostro messaggio è questo: guardate che la musica non è il demonio, semmai è un'occasione educativa imperdibile”.

Uno degli artisti al lavoro
Uno degli artisti al lavoro

Seppur il dibattito politico degli ultimi tempi dimostri di continuo quello che dice il fondatore di Kayros, con la crociata contro “i testi rap” portata avanti a turno da membri del governo, è innegabile che il clima negli ultimi anni sia cambiato. “Un tempo i ragazzi che passavano di qua trovavano numerosi ostacoli sul proprio percorso, negli anni passati da parte del tribunale per i minorenni e dei servizi sociali ci sono stati vari tentativi di rendere più difficoltose attività come quella che facciamo sulla musica. Per Baby e Sacky non è stato per nulla semplice portare avanti la loro carriera. Noi li abbiamo protetti, ci siamo esposti e questo ci ha attirato parecchie critiche. Ancora oggi l’approccio ‘criminalizzante’ è forte, però non è più totalizzante come un tempo. Almeno in parte siamo riusciti a invertire lo sguardo e dimostrare che la musica, questa musica, non è la causa del disagio, al massimo può esserne un effetto. Ma le radici sono più profonde, e sono quelle che devono essere indagate. Al contrario la musica li stimola, li rende curiosi, fa porre loro delle domande. È terapeutica. Sono ragazzi che faticano a verbalizzare quello che hanno dentro, ma in quello studio di registrazione trovano la chiave per esprimersi”. 

Fuori, nonostante il caldo, hanno iniziato a fare due tiri nel bel campetto da calcio in sintetico che funge da chiostro della struttura. Qua, assieme alla piccola palestra sotto la tettoia, sono state girate la maggior parte delle scene di Banda Kawasaki. “Con il rap i ragazzi cercano di dare un nome alle proprie emozioni. Sono generazioni fragili, non è facile entrarci in confidenza. La musica ci agevola in questo”, dice Matteo, che intanto sta andando a caccia di qualche type beat su cui fare esercitare i “suoi” artisti. Si confronta con don Claudio, che di rap ormai ne sa parecchio.

Backstage da Banda Kawasaki
Backstage da Banda Kawasaki

“Un tempo i ragazzi che arrivavano qua erano tutti dei contestatori, questo rendeva più facile un rapporto, seppure inizialmente basato sullo scontro. Oggi per la maggior parte di loro l'adulto è irrilevante, si costituiscono in una società tra pari in cui hanno i loro codici. Gli adulti ne sono estromessi, ci sono comunità in cui gli educatori fanno estrema fatica a stabilire dei contatti. Noi con la musica abbiamo un punto d’accesso. Che però non funzionerebbe se non gli concedessimo libertà espressiva”.

In mensa
In mensa

E cosa ne pensa don Claudio Burgio dell’attuale discografia, con le sue regole e i suoi obiettivi? “Noi inizialmente volevamo costituirci come no profit, ma abbiamo capito che non sarebbe stato possibile. Questo è un mondo altamente profit, diciamo così, in cui noi ci muoviamo con il nostro stile e le nostre priorità. Se ci dovessero essere dei proventi, saranno reinvestiti tutti nel progetto. Quello che conta, quello che facciamo ogni giorno per la cinquantina di ragazzi che si trova qua, è creare opportunità. Più di un ragazzo ci ha raccontato che faceva le rapine per avere i soldi per pagarsi lo studio, che magari costa 20 euro all’ora. A 15 anni, soprattutto in certi contesti, in tasca quei soldi non li hai. Inoltre molti genitori hanno pregiudizi sui loro figli che fanno musica, gli pare una perdita di tempo o addirittura qualcosa di sbagliato. Ricordo un padre venuto fin qua da Parma per convincerci a dissuadere il figlio a cantare: era decisamente nel posto sbagliato”. 

Uno dei ragazzi del roster
Uno dei ragazzi del roster

Con l’aiuto di SIAE, Kayros è al lavoro per creare nuovi spazi dove fare musica a fianco dello spazio in cui troviamo, in un’area dove al momento ci sono dei capannoni e che dopo tanti anni di richieste, è stata assegnata all’associazione. I prossimi passi per l’etichetta, invece, saranno un mixtape (“i tempi sono quasi maturi” dice Matteo), remix e nuovi brani, perché i ragazzi sono sempre in studio e la produzione procede spedita. “Anzi a volte bisogna tirarli fuori con la forza”, dice, ridendo. Simo deve ancora registrare due sporche e poi ha finito. Willy Boy, un altro dei ragazzi dell’etichetta e un altro degli ospiti di questo posto, è fuori che aspetta. La prossima volta, magari, faranno un feat., così nessuno dovrà attendere il proprio turno. 

Willy Boy
Willy Boy

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L'articolo A Kayros la musica è la chiave per aprire ogni porta di Redazione è apparso su Rockit.it il 2024-07-19 15:13:00

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