È la più grande delle ville storiche romane. La sua forma attuale nasce dalla fusione, nella seconda metà dell’Ottocento, fra l’originaria Villa Doria Pamphilj e Villa Corsini. In occasione delle Olimpiadi di Roma del 1960 la costruzione di via Leone XIII, la cosiddetta “via Olimpica”, ha tagliato il grande parco in due metà, unite oggi solo da un sottile ponte pedonale. (…) La villa è molto ricca anche da un punto di vista naturalistico, dalla notevole varietà di palme del Giardino del Teatro al monumentale cipresso della Virginia che si alza sui Giardini Segreti. Ma sono soprattutto l’estensione e il paesaggio, con aree di vera e propria campagna, a rendere la villa un fondamentale polmone verde della Capitale. Ospita al suo interno attrezzature sportive per il tempo libero, un’area giochi per bambini ed un maneggio con noleggio di pony.
La meraviglia di Villa Pamphilj è fuori discussione. Giusto che il Comune di Roma, attraverso il proprio sito istituzionale, ci ricordi la sua bellezza: palme, natura, un parco che si trasforma non in un razzo missile ma in un polmone verde. E poi la storia: le Olimpiadi del 1960, le più belle di tutte, Abebe Bikila e Cassius Clay, le 500, la Dolce Vita e il ricordo che torna indietro a Vacanze romane, il film con Gregory Peck e Audrey Hepburn. Che poi Villa Pamphilj abbia scritto anche altre pagine di storia, il sito web della Città Eterna non lo racconta. Sarà stata una dimenticanza. Succede anche ai migliori. Allora torniamo al 1972, a un caldo 25 maggio, quando a Roma sbarcano i capelloni.
L’appuntamento è per il Festival Pop di Villa Pamphili (senza la “j” finale, forse faceva troppo fighetto): accorrono in parecchi, c’è chi dice siano in 100.000. Mai visti così tanti per un Festival di musica giovane. Sorprendente ma fino a un certo punto: la bella Italia, quella più alternativa e fuori dagli schemi, sta inseguendo il sogno di una Woodstock de noialtri, l’eco della tre giorni di pace, amore e musica – e il successo di altri assembramenti pop, come quello dell’isola di Wight o di Monterey – ha seminato non solo buone vibrazioni ma un sano spirito di emulazione.
Il nostro Paese, peraltro, non è nuovo a esperienze del genere. È stata proprio la città di Roma, al palasport dell’Eur, a ospitare il primo Festival Pop italiano, nel maggio del 1968, un anno prima di Woodstock, per dire: un fallimento epocale. Poi toccherà a Palermo, di nuovo a Roma, nello scenario delle Terme di Caracalla, seguiranno Viareggio, Lacchiarella, nei pressi di Milano, e Ballabio, che avrà l’onore di ospitare il primo Re Nudo Pop Festival. Ma a Villa Pamphili sarà tutto diverso.
L’organizzazione è a cura del “Club Internazionale dell’Amicizia” di Giovanni Cipriani, già alla guida del Festival di Caracalla dell’ottobre 1970, e Pino Tuccimei, che decidono di spalmare i concerti nell’arco di tre giornate, tra il 25 e il 27 maggio, tra le 16 e le 24. Il costo del biglietto è di 300 Lire, il manifesto dell’evento è a cura di Matteo Guarnaccia, nel ruolo di presentatore ecco l’esperto Eddie Ponti. Previsti collegamenti in diretta con Per voi giovani, programma condotto da Renzo Arbore e irradiato dal secondo canale di Radio di Stato.
Bene, sin qui nulla di sorprendente. Ma, per tornare all’affermazione di qualche riga sopra, cos’ha di tanto diverso il Festival Pop di Villa Pamphili? Il gran numero di spettatori, certo, il cast stellare, chiaro – e tra un po’ ne parleremo – e, soprattutto, un’accoglienza non proprio calorosa. E nemmeno serena. L’arrivo dei capelloni – e capellone, all’epoca, è sinonimo di drogato, pervertito, scappato di casa senza patria né dio – mette in allarme la Roma bene e agita persino il Vaticano. Gli abitanti del quartiere Monteverde, spalleggiati dai vertici di Italia Nostra, non la prendono bene, temono una seconda discesa di lanzichenecchi e si convincono che le loro strade possano trasformarsi in punti di spaccio e consumo di sostanza psicotrope.
Il comune, dal canto suo, per non sapere né leggere né scrivere, fa prosciugare un lago presente all’interno della villa per evitare che qualcuno vi affoghi, o forse per evitare che qualcuno faccia il bagno come mamma l’ha fatto. Proprio come a Woodstock, insomma. Il risultato di una tensione ai massimi livelli si concretizza in una presenza delle forze dell’ordine più che massiccia. Scoppia il caos quando una coppia di ragazzi viene pescata con una scatoletta contenente delle pillole sospette: si pensa a chissà quale droga mortale, invece si tratta di pillole anticoncezionali.
Gli organi di stampa parleranno di quattro giovani ricoverati alla neuro per una presunta assunzione di LSD e di 193 ragazzi fermati, tra cui otto stranieri subito rimpatriati e 132 italiani cacciati con il foglio di via. La loro colpa? Dormire sotto gli alberi con il sacco a pelo, trovarsi a corto di denaro e non avere una occupazione stabile.
Liliana Madeo, penna del quotidiano La Stampa, coglie esattamente lo spirito di quei giorni, frutto di una lacerazione generazionale ormai insanabile: “Innocenti e disinibiti, tra la musica e lo spazio libero all’aperto, (i giovani) sembrano aver trovato il loro Eden: lo studio, il lavoro, le avvilenti preoccupazioni quotidiane sembrano banditi dal loro orizzonte. Per questo, gli adulti che si trovano qui per lavoro, per caso o per curiosità, sono tutti fuor di luogo: si agitano sperduti fra le migliaia di giovani convenuti e ne sono completamente ignorati, guardano con commiserazione i loro abiti di stracci e si irritano perché non ne provano vergogna, non ne approvano la lieta disinvoltura e la loro promiscuità (…), non ne capiscono la straordinaria resistenza al rumore e trovano riprovevole l’estetica immobilità di cui sono capaci” (cit. in “Giorni strani, giorni pop…”, di Claudio Pescetelli, I libri del Mondo Capellone, 2017)
E il Vaticano? Vive le tre giornate di festival come un affronto, come una sfida alla città santa e martire. Si narra che papa Paolo VI avesse manifestato la propria riprovazione per quel perfido Festival direttamente all’allora sindaco Clelio Darida, un democristiano DOC. La nostalgia per il buon vecchio rogo e per la tortura purificatrice lasciano spazio alle parole accorate dell’Osservatore Romano, organo ufficiale di sacra romana chiesa, che la tocca piano: “Se questi giorni, già tanto turbati, erano i più adatti per favorire agglomerazioni di ambigue carovane di ragazzi e ragazze, in gran parte minorenni o addirittura adolescenti, i quali, mossi da un fanatismo artistico ben noto anche se in sé tollerabile, si trovano però a convivere in condizioni avventurose di promiscuità disparate e insicure” (ibidem). Una versione attualizzata di “Pape Satàn, pape Satàn aleppe”. Chissà quanti applausi dall’inferno da papa Innocenzo VIII o da qualche suo vecchio collega pedofilo, sodomita, ladro o puttaniere.
La musica. Il cast, è bene confermarlo, è di prim’ordine. A partire dagli ospiti internazionali, che rispondono al nome di Embryo (all'ultimo momento prenderanno il posto degli Amon Düül II), Hawkwind, Hookfoot (band di Caleb Quaye, chitarrista di Elton John nonché zio di Finley Quaye e futuro pastore evangelico), Osibisa e Van der Graaf Generator. Rispondono presente tutte, o quasi, le nuove leve del prog tricolore: Alan Sorrenti, il Banco del Mutuo Soccorso, Quella Vecchia Locanda, gli Alluminogeni i Semiramis di Michele Zarrillo, il Rovescio della Medaglia, i Capsicum Red del futuro Pooh Red Canzian… Non mancano nemmeno le band che il verbo progressivo lo masticano da anni, riferimento non casuale a New Trolls, Trip, Claudio Rocchi, Fholks.
Fa capolino anche qualche cantautore, da Lucio Dalla a Francesco Guccini, passando per i giovani Francesco De Gregori e Antonello Venditti, così come alcuni corpi estranei quali I Vianella, Gepy & Gepy e Bobby Solo: quest’ultimo non riuscirà a terminare nemmeno il primo pezzo in scaletta, abbandonerà il palco dopo essere stato bombardato da un numero imprecisato di gavettoni di sabbia. Poi tanti nomi ormai dimenticati dai più: Jimmy Mec, Il Punto (band di un altro futuro Pooh: Stefano D'Orazio), Quelle Strane Cose Che, La Fine del Libro, Clifters… Ma quello appena fornito è un elenco parziale, a Villa Pamphili suoneranno in tanti, a quanto sembra sessanta tra gruppi e cantanti, e tutto andrà liscio, sforamenti a parte, come l’olio (santo).
Maurizio Baiata, dalle pagine di Ciao 2001, media partner del Festival, parlerà con toni positivi delle esibizioni che si succederanno sul palco, in particolare dei Forum Liivi, dei Blu Morning, dei Trip, dei Van der Graaf Generator e degli Osage Tribe. Meno convincenti, sempre secondo l’opinione di Baiata, i New Trolls (“troppi assoli”) e Richard Benson. Il Messaggero titolerà, qualsiasi cosa voglia dire, “Grande festa popolare ma pochissimo vero pop”, il Corriere della Sera si accontenterà di un titolo sobrio: “Concluso a Roma il delirio pop”.
Il già menzionato Matteo Guarnaccia ricorderà, tra le pagine di Re Nudo Pop & altri Festival (Volo Libero Edizioni, 2010) che “il pubblico si è disciplinatamente diviso in gruppi non comunicanti tra loro. Davanti al palco, immobili per otto ore di seguito, i fan del rock (…) che criticano deviazionismi e non hanno pazienza con le nuove proposte. Sulla collina, alla sinistra del palco, si è formato un grande accampamento hippie cosmopolita con i soliti usi e costumi, cani e bambini, colori e collanine, incenso e buone vibrazioni a go-go. Dalla parte opposta, una presenza, quasi esclusivamente maschile, di borgatari, ragazzetti in cerca di risse molto rumorosi ed eccitati. Alle loro spalle curiosi, militari in libera uscita e turisti. Il livello dell’amplificazione è da codice penale, tanto che oltre alle budella vibra anche la terra sotto i piedi”.
Una seconda edizione del Festival si terrà nel 1974. Non sarà la stessa cosa: tanta pioggia, qualche forfait, prezzo del biglietto raddoppiato a 600 Lire, poca gente presente e frizioni con gli autoriduttori. Il Festival bis verrà ricordato malvolentieri, al contrario dell’edizione madre. Già, ma cosa rimane del primo Festival Pop di Villa Pamphili? Nessun disco ufficiale (guai a lasciarsi ingannare da “Pop Villa Pamphili”, doppio cd pubblicato nel 2002 dalla RCA, compilation di brani in studio suonati da alcuni gruppi partecipanti al Festival) e qualche immagine reperibile su Youtube e dintorni. Ma la certezza che, in quel maggio del 1972, venne scritto un capitolo fondamentale per la musica italiana, nonché per la crescita e l’affermazione dei Festival dal vivo, arriva proprio da Roma. Oggi, a cinquant’anni esatti dai fasti di quei giorni, ovviamente a Villa Pamphili, verrà inaugurata la mostra collettiva C’era un grande prato rock, Villa Pamphili 1972, con abbondanza di materiale d’epoca. Sarà visibile fino al 26 giugno. Anatemi del Vaticano permettendo…
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L'articolo Villa Pamphili: 50 anni fa la Woodstock de noantri di Giuseppe Catani è apparso su Rockit.it il 2022-05-25 11:29:00
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