Il 9 ottobre esce Sine Metu, il nuovo album della storica street punk band Gli Ultimi, preceduto dal video di Favole col videoclip diretto e disegnato da Zerocalcare, che è amico e fan della band. Per lui è il secondo video musicale, il primo è stato Ipocondria di Giancane feat. Rancore, ad avallare il fatto che tra graphic novel best seller, strisce su quotidiani e siti da milioni di clic, sedute infinite di disegnetti firmati per i fan e la serie tv animata di prossima uscita su Netflix, trova sempre il tempo e la voglia di collaborare con le band che gli piacciono.
Ha iniziato così la sua carriera, facendo flyer e poster per i concerti punk romani e oggi che è uno che va ai talk show in tv, quasi per proteggersi dalla fama che è arrivata come uno tsunami, rimane attaccato alle radici: Rebibbia, il punk, l'odio per le guardie, gli amici di sempre. Un po' come racconta nel video che ha per protagonista un ragazzino disadattato che tra mille disavventure incontra un gruppo di persone che lo fa appassionare al punk.
Questa la genesi della collaborazione raccontata da Gli Ultimi: "Favole è un pezzo cruciale per noi perché la sua scrittura ha sancito la fine di quella lunga pausa che ci eravamo presi prima di riprendere a suonare. Cattura quel preciso momento in cui eravamo sospesi tra la voglia di arrenderci e quella di andare avanti; tra disillusione e il desiderio di riscatto. Per fortuna il secondo stato d'animo ha preso il sopravvento ed è nato Sine Metu. La collaborazione con Michele "Zerocalcare" ci riempie d'orgoglio; con lui c'è un rapporto di stima e amicizia da molti anni e, tra i vari provini che gli avevamo mandato, ha scelto Favole per realizzare il video, tenendo fede a una vecchia promessa che ci eravamo fatti qualche anno fa."
Abbiamo fatto una chiacchierata con Zerocalcare e la band, un'intervista doppia per capire dove sta andando spirito di aggregazione punk in questo periodo assurdo.
Collaborazione spaccacuore tra Gli Ultimi e Zerocalcare per una canzone e un video che fanno venire il magone. Com’è nata la faccenda?
GU: Innanzitutto grazie! È una collaborazione che viene da lontano. Qualche annetto fa era uscita fuori questa idea di fare un video e Michele aveva persino già iniziato a disegnarlo. Poi il suo blog ha iniziato a volare, gli impegni si sono moltiplicati e non se n'è fatto più nulla. Ma il signor Calcare è un uomo di parola e quindi, con un po’ di ritardo, eccoci qua…
ZC: Io posso solo aggiungere che non so come mi fosse venuto in mente di provarci 10 anni fa, senza nessuna base di animazione, era proprio l'incoscienza di gioventù, visto che anche adesso che ho avuto tutta la pandemia per fare pratica, mi sono trovato più volte a pensare "E mo' sta cosa come la animo??".
Quando avete smesso di credere alle favole? A me ad esempio è capitato che mia mamma piuttosto nervosa si sia fatta sfuggire che Babbo Natale non esisteva mentre mi portava in prima elementare, da lì tutta salita.
GU: Dio è morto, Marx pure e anche noi non ci sentiamo tanto bene. Questo mondo è un casino e noi diventiamo sempre più disillusi.Per questo però, anche se le nostre favole sono un po’ sgangherate, non vogliamo smettere di crederci. Sentiamo il bisogno di aggrapparci a qualcosa di pulito. A dei valori più alti come può essere, ad esempio, l’amicizia. Il senso della canzone è proprio questo. P.s. E tua mamma non ti ha detto che Babbo Natale veste di rosso per via della Coca-Cola. Che brutta storia!
ZC: Io pure penso che invecchiando accumuliamo talmente tante delusioni, smettiamo di credere a così tante cose, che se uno non si tiene qualcosa di pulito e "alto" a cui aggrapparsi, pure a costo di sembrare un po' ingenuo, rischia di sprofondare e di diventare come tutto quello che gli faceva schifo prima.
Uno come Zero con la sua fama, le code chilometriche per i disegnetti e la serie animata di prossima uscita su Netflix potrebbe fingersi troppo occupato per le collaborazioni dal basso, e invece restare umani dopo aver fatto successo si può…
GU: Assolutamente si può e Michele (Zerocalcare) ne è la testimonianza vivente. Ci lega un’amicizia che dura da anni nonché un rispetto ed una stima reciproche. Riprendendo una vecchia idea di qualche anno fa, davanti a quattro birre e un chinotto, abbiamo buttato giù qualche idea e condiviso qualche trama. Il resto è opera sua, che non finiremo mai di ringraziare.
ZC: Ahahah ma proprio per questo, io ho a che fare con così tante cose orrende per lavoro, fare le cose che mi piacciono mi ricarica.
Perché il punk vive di nostalgie tremendissime? Nei testi delle band come nei fumetti di Zero esce fuori prepotentemente questa sensazione.
GU: La risposta brillante è che siamo degli inguaribili romantici in un mondo che cambia veloce. Abbiamo il mito del perdente. Di quello che non ce l’ha fatta e guarda al passato, a quando poteva tutto. La risposta realistica è che forse stiamo semplicemente invecchiando e non vogliamo rassegnarci al fatto che non siamo più adolescenti.
ZC: A me l'ansia delle porte che si sono chiuse e delle occasioni perse mi è cominciata già da bambino figurati, credo che sono cose caratteriali. C'è a chi piace sventolare il cash e i brillocchio, e magari sta divorato dai debiti ma deve dare comunque l'immagine del vincente a tutti i costi, e chi invece preferisce dare voce a quel nodo alla gola che non lo molla mai.
Come avete passato il primo e il secondo periodo del covid? Ci sono state differenze sostanziali di approccio?
GU: No, ci siamo sempre mossi nei limiti di quanto fosse possibile. Sicuramente il primo è stato più difficile considerando l’impossibilità di fare qualsiasi cosa ma, oltre ad impastare acqua e farina, ci ha aiutai molto il lavoro sulle pre-produzioni dei pezzi del disco nuovo. Ci siamo dedicati all’home recording e ci siamo passati tracce su tracce fino a definire la quasi totalità delle canzoni. Il secondo periodo è stato un po’ più facile, con quel poco di socialità in più ma soprattutto con le ore passate in studio a registrare Sine Metu, respirando un po’ di normalità.
In quest’anno abbiamo sentito parlare di ritorno del rock, spesso a sproposito. In questo caso però c’è davvero la possibilità che qualche giovanott* si innamori della proposta, che mischia melodia e chitarre coi testi a cuore aperto. Che riscontri avete avuto dalle nuove generazioni?
GU: Crediamo tantissimo nella musica come mezzo di comunicazione e il fatto che insieme alle nostre generazioni ce ne siano di nuove non fa che renderci felici. Avvicinarsi oggi ad una sottocultura, circondati e bombardati come si è da tutto cioè che è mainstream è sicuramente più difficile di quanto non fosse in passato. A maggior ragione arrivare al cuore a alla testa delle nuove generazioni è per noi motivo di grande soddisfazione e di conferma che i temi delle canzoni e come questi vengono trattati hanno il loro effetto.
Come funziona la scena romana? State suonando? Siete sempre in contatto con gli amici di gioventù?
Gli Ultimi: Noi riusciamo a dirti come funziona la scuola della provincia. A parte gli scherzi, la scena romana nonostante quest’ultimo anno, è in continua crescita. Anche se negli ultimi 2 o 3 anni si è faticato in ambiente punk, a vedere un ricambio generazionale, ultimamente le cose stanno cambiando. Lo si percepisce dalle facce nuove ai concerti relativi ai mesi direttamente precedenti il lockdown ed anche dalla voglia che si respira di salire su un palco ed andare ai concerti. Ci sono sempre più band che nascono o si modificano nel tempo. Il tutto si è solo assopito per un po’. Per quanto ci riguarda durante la pandemia abbiamo dovuto cancellare una decina di date già fissate in tutta Italia. Abbiamo potuto fare solamente ad Agosto 2020 un live in acustico qui a Roma. Ora avremo la presentazione del nostro nuovo album il 9 Ottobre a Scalo Playground sempre a Roma, piano piano stiamo cercando di ripartire anche noi in situazioni che ce lo permettono. I nostri amici di gioventù? Ci sono sempre, anche se andando avanti con gli anni si cementificano rapporti che prima si davano per scontati. A dimostrazione di ciò Karpo il nostro nuovo bassista è un nostro amico di vecchia data, è come se fosse rimasto tutto in famiglia in un certo senso.
Soprattutto: come si fa a suonare punk per un pubblico seduto e distanziato? Come la vedete la storia del Green Pass che non ha cambiato il modo di vivere i concerti post covid?
GU: Non è per niente facile. Anni fa sarebbe stato impensabile. Il greenpass è l' ennesima mossa di un governo che delega ai cittadini una responsabilità che certamente non è loro. Colpevolizzare la collettività per un problema che, senza tagli criminali alla sanità pubblica e senza lo strapotere delle multinazionali del farmaco che decidono le sorti del mondo, si sarebbe risolto in pochi mesi. Detto questo, ci affidiamo al comportamento responsabile delle persone durante i concerti. Quello che possiamo fare noi è evitare di farci sputacchiare i microfoni e farsi appoggiare ascelle sudate in faccia.
ZC: Oh, io da pubblico posso dire che il punk seduti in generale è molto deprimente, ma loro hanno un po' di pezzi presi male nel loro repertorio che pure in acustico e seduti sono riusciti a mandarci a casa con un'ora strappalacrime.
"Non si vedono più le stelle in questa cazzo di città", dite. C’è stato un momento in cui sembrava che la pandemia avesse perlomeno abbassato l’inquinamento, invece neanche quello. Ci avete mai creduto al fatto che ne saremmo usciti migliori?
GU: Questa è una domanda che avrebbe bisogno di una risposta lunga. Stringendo però, ti diciamo che quai sempre il problema delle cose risiede alla radice. L'inquinamento, il traffico, la gente impazzita, la disoccupazione e la fame nel terzo mondo hanno un unica discriminante, che è il profitto. Finché l'economia mondiale sarà in mano ai pochi che hanno come unico scopo l' accumulo di ricchezza e capitale e questi continueranno a calpestare vite e diritti di miliardi di persone, non cambierà mai nulla.
ZC: Ma non si esce mai migliori dalle catastrofi, è una visione romantica dell'umanità ma la verità è che più uno affonda e più pensa a salvare sé stesso, specialmente in un sistema che non propone nessuna soluzione collettiva ma che valorizza sempre la "svolta" del singolo.
La provincia di oggi è la stessa di quando eravate pischelli o anche quella è cambiata?
GU: Ci piacerebbe dirti no, ma purtroppo non è così. Sono cambiate le abitudini dei ragazzi. Salvo rari casi, non passano più intere giornate in piazza o in strada come facevano noi. Ma non è colpa loro. Non ci sono più le sale giochi, le bische e i muretti accoglienti di vent'anni fa. La socialità oggi passa attraverso uno schermo che la filtra fino ad azzerarla, e i ragazzi sono le vittime di questa gentrificazione sociale. Detto questo però, in provincia si respira ancora oggi aria di umanità. La gente si saluta e si ferma a fare quattro chiacchiere. A Roma le persone si stanno incattivendo, perché sono sole di fronte ad una serie infinita di problemi quotidiani e stanno facendo una vita di merda, ma nessuna amministrazione ha intenzione di far resuscitare questa grande città.
In giro c’è un sacco di disagio, di energie represse e niente bonus psicologo. Cosa vi sentite di dire a chi sta arrancando durante questa ripartenza?
GU: E’ vero, parecchie persone non stanno passando un bel periodo lavorativamente parlando, pensiamo a tutti i lavoratori in cassa integrazione piuttosto a chi si è visto licenziare via mail, vedi gli operai della GKN di Firenze. Come loro ce ne sono stati molti che hanno pagato sulla propria pelle la pandemia. Come se non bastasse oltre le problematiche lavorative c’è il contraccolpo psicologico, della depressione che poi spesso è legata con un doppio filo alle problematiche lavorative. Come se una pandemia mondiale presentasse il conto solo a pochi. Tutto questo non è chiaramente sostenibile da chi si è visto prima chiuso in casa e poi impossibilitato a lavorare o anche solamente tornare alla normalità. Nel nostro piccolo quello che possiamo fare è cercare di sostenere per quanto possiamo con la nostra musica chi si trova in un momento negativo della propria vita. Ascoltando la nostra musica, venendo ai nostri live, se ognuno che sta passando un periodo di difficoltà riuscisse a stare meglio anche solo per un momento per noi vorrebbe dire tanto. Vorrebbe dire che abbiamo raggiunto l’obiettivo. Gli diremmo sicuramente “daje compà che ce la famo!”.
Cosa vedete nel vostro futuro prossimo professionale?
GU: Sarebbe bello che la nostra professione fosse la band. Non lo è, ma per noi è una bellissima valvola di sfogo ed un contenitore di energie e rapporti umani. Vogliamo sicuramente che continui così, con questo spirito. Tradotto vogliamo sicuramente continuare a fare dischi, vedere nuovo persone sotto al palco, conoscerne di nuove girando il più possibile. Dopo 13 anni di attività ancora non ci siamo stancati.
ZC: Vorrei continuare a tenere quest'equilibrio delirante tra cartoni, fumetti, locandine dei benefit e copertine dei dischi, fosse anche solo per smentire lo stereotipo per cui se a uno gli vanno bene le cose lavorativamente deve per forza diventare un pezzo di merda e voltare le spalle a tutte le sue radici.
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L'articolo Zerocalcare è amico de Gli Ultimi di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2021-10-05 15:36:00
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