Gli Zu continuano a tenere viva la scintilla

Abbiamo incontrato Luca T. Mai e Massimo Pupillo, reduci dall'ennesimo giro di live di una vita sul palco e da un disco ritrovato, "The Lost Demo", che ripercorre l'epopea dei loro inizi a Ostia. Perché quando si trovano diamanti "bisogna stare lì a scavare"

Le foto degli Zu nel pezzo sono di Serena Dattilo
Le foto degli Zu nel pezzo sono di Serena Dattilo

Non sappiamo bene se ci sia in atto una sottesa volontà di fare una propria personale quadratura del cerchio piuttosto che il tentativo di rendere “trendy” un gruppo come gli ZU: tre ragazzi fuoriusciti dall'ultima delle formazioni del culto totale, i Gronge, che, rifiutati con sempre maggiore insofferenza dagli appassionati del jazz regolare, fin dal debutto Bromio (Wide, 1999) hanno ottenuto unanimità di consensi sulle pagine di riviste rock italiane e internazionali (The Wire, Pitchfork). Tuttavia ogni tentativo di una loro appropriazione da parte di pubblici ben determinati appare votata al fallimento: troppo imprevedibile, troppo autarchica la loro natura per offrire prese salde e solidi appigli che non si rivelino solo illusori.

Ci hanno provato un po' tutti: metallari, per via della loro amicizia con Mike Patton; punk colti, per le incursioni ai loro concerti di Geoff Farina e Joe Lally; amanti del suono ritmato, per il legame con Dälek; indie italici, per lo split col Teatro Degli Orrori, la collaborazione con Xabier Iriondo e la comparsata del batterista storico Jacopo Battaglia in un discutibile video dei Linea 77 di molti anni fa; appassionati di free-jazz più declinato, lo si può ben immaginare, al rock - nonostante sia divertente notare come le prime note di copertina citino influenze jazz a tutto tondo e nemmeno un gruppo alternativo o pesante. Tutti gridano al genio degli ZU.

Non parlando, per amor di patria, di quelli saltati in piedi dieci anni dopo la loro nascita, all'uscita di Carboniferus (Ipecac, 2009), perché prima forse erano ancora troppo indefinibili, poco afferrabili e belli matti per essere copertinabili - quando uscivano con operazioni parecchio radicali sulla pelle del povero fruitore di rock a nome Black Engine, Original Silence o Ardecore... per non citare del materiale ancora meno commestibile, come il disco del bassista Massimo Pupillo con Mohammed “Jimmy” Mohammed! Insofferenti ai vincoli musicali e mentali, tipici “boomer” della generazione X come il sottoscritto, cresciuti nel cortocircuito tra i media e le risposte artistiche ad essi (dal cut-up delle fanzine al post moderno di Mtv, passando per gli ultimi scampoli delle fu “controcultura”), la loro lettura musicale dell'esistente non può fare altro che polverizzare i linguaggi esistenti testandone le varie possibilità ri-combinatorie con sensibilità “splatter” (più in senso etimologico che di Tom Savini); i generi (spogli da ogni gerarchia alto/basso, in/out) vengono percorsi con velocità cinematica, occupando i territori del math-noise, del post-core, del prog e del metal estremo, per poi subito abbandonarli, o meglio, li abbraccia tutti creando qualcosa di alto livello che solo la denominazione “ZU” riesce a racchiudere.

Abbiamo contattato Luca T. Mai e Massimo Pupillo, impegnati in questi giorni in un tour promozionale (con l'immenso Paolo Mongardi dietro le pelli) e in occasione della ristampa di quello che fu il loro primo demo, registrato in cassetta in una sala prove romana. The Lost Demo (Subsound, 2024), ci dà occasione per una chiacchierata veloce e diversa, informale, che fa un po' di chiarezza sul presente degli ZU, partendo da quella cassetta del 1996 influenzata da Ruins, Ex, NoMeansNo, Chrome e tanto amore per John Zorn nella sua manifestazione iniziale.

Fa un po' strano che gli ZU siano arrivati, dopo una produzione sconfinata, alla pubblicazione di un demo inedito, che fa un po' Bob Dylan... 

M - No Dylan no te prego! Con tanti esempi possibili proprio lui (risate generali, nda)? Com’è iniziato tutto: Ostia, tanto piombo interiore da trasformare, passione totale, anzi , devozione per la musica.

L – Avevamo questa vecchia cassetta che, nonostante gli anni, suona ancora bene e parlando con Davide di Subsound Records siamo stati d’accordo di partire da dove tutto ha avuto inizio, cioè dalla saletta di via degli Zingari a Roma, che ai primordi era dei Bloody Riot, che passò ai Raff, poi ai Gronge e infine a Zu. Un pedigree di tutto rispetto, non trovi?

Parliamo di Ostia, che al di fuori di Ostia stessa viene vista un po' come dire il Bronx. Com'è la situazione ora, e credete che in un qualche modo la musica degli ZU l'abbia arricchita?

M - Non ti so rispondere come sia ora perché non ci vivo più ormai da molto tempo. Ma la Ostia in cui sono cresciuto, ovvero le case popolari Lamaro, era dura, ma anche bella e vitale. Era quel tipo di ambiente in cui siamo cresciuti tutti sotto casa per strada. Tuttavia non credo che la musica degli Zu abbia avuto alcun impatto su Ostia, casomai il contrario.

Io credo che ZU, Novembre e Ice One, pure se in diversi ambiti, siete tutti corresponsabili di avere indicato, a metà anni Novanta, un'altra possibilità rispetto alla vita d'estrema periferia. Comunque da Ostia siete poi diventati uno dei gruppi con più legami con l'estero, al pari di Negazione e Raw Power. Approfondiamo questo aspetto...

M - Al pari non so, ma non dimentichiamoci anche tutta la scena progressive italiana anche quella rispettata e ammirata all’estero. Noi ci troviamo musicalmente abbastanza in mezzo fra le due. Non c'è un resto del mondo, ovunque è diverso, anche in Italia è completamente diverso già suonare a Torino o Milano, figurati. Nell’ultimo tour siamo rimasti piacevolmente colpiti dal fatto di metterci di nuovo in gioco dopo più di quattro anni, e che anni... e sentire un calore e un affetto invariati, anzi se possibile anche aumentati dall’attesa è stato incredibile!

L  -  Credo che l’unica cosa che invece accomuna è la penuria di giovanissimi ai concerti, non solo ai nostri!

I giovanissimi vanno a sentire gli Slug Gore!

L - Gli...?!

Appunto! A proposito di giovanissimi: la vostra maglietta “Tom Araya is our Elvis” ha fatto storia, ma quali erano le effettive vostre influenze prima di Bromio?

M - Tom Araya è stata una boutade, che poi ha avuto una vita propria. Influenze tantissime. Parlo per me, prog e cantautori da bambino, metal da preadolescente, post punk e wave da adolescente. Poi industrial , classica , ambient, contemporanea, avanguardia e poi subito dopo è arrivato il Forte Prenestino e l'amore per quello che al tempo si chiamava “hardcore evoluto", quindi Fugazi, The Ex, eccetera. Luca mi ricordo che amava il jazz ma anche i Godflesh. Jacopo era fissato con Aphex Twin e con la scena Warp, quindi fra tutti noi si era creato questo territorio enorme in cui cercare. Poi tutti e tre amavamo visceralmente Nomeansno e Ruins e credo che nei primi ZU questo si senta molto chiaramente.

L –  Nel periodo pre-Bromio a essere precisi mi dibattevo tra grind e jazz, ma arrivavo da anni in cui ascoltavo di tutto e tutto o quasi era di qualità!

Mi chiedo spesso il motivo di questo ritorno al noise-rock. Tanti  gruppi giovani, tanti album fatti da giovani... e un certo interesse ricambiato. Anche quando l'idea di noise è poi piuttosto relativo rispetto alla vera musica proposta. Voi che ne pensate, semplice riflusso o magari una contrapposizione con la vacuità della trap e del pop?

M - Non ti so rispondere a questa domanda. Comunque se c’è una nuova scena italiana non può che farci un immenso piacere.

L – Non saprei dirti, Giorgio! Anche perché non è tra l’altro musica che ascolto in questo periodo. Però se ci sono giovinastri che si dedicano alla musica ben vengano anche per me.

Invece voi che ricordo avete di quei primi giorni in saletta? Venivate fuori dai Gronge ma avevate il sentore di creare qualcosa che li avrebbe di gran lunga superati come poi è stato?

M - No, eravamo troppo dentro alla cosa e troppo coinvolti e anche in qualche modo sinceramente disperati per avere una visione esterna e lucida di quello che stavamo facendo.

L - È stato un periodo formativo perché facevamo mille lavori notturni per vivere e riuscivano comunque a provare per tutto il giorno successivo. A volte dormivamo anche in sala prove. La vita che abbiamo fatto ci ha “costretto” a capire cosa volessimo e cosa no, guardarsi negli occhi e dirsi proviamoci e in ogni caso nessun rimorso

Anche alla luce della vostra maturità artistica e anagrafica attuale riuscireste a descrivere le tracce di questo disco con un aggettivo?

M - È una cosa che preferisco lasciare fare a voi, anche perché non siamo soliti risentire quello che registriamo in modo compulsivo. Posso dirti che recentemente abbiamo sentito e capito che Cortar Todo parla dieci anni prima di quello che stiamo vivendo adesso.

L - Tanto è vero che questo periodo stiamo portando live quasi tutte le tracce, sia perché Cortar Todo è stato una sorta di cassandra inconsapevole e sia per omaggiare Gabe Serbian ha partecipato attivamente e con grande focus alla stesura del disco.

Porterete in giro anche queste tracce con la nuova formazione o considerate The First Demo più un regalo per i fan ma strettamente legato a quella formazione e a quell'epoca?

M – No non siamo tipi da auto-celebrazione, ripubblicare il demo è una bella cosa soprattutto per chi si ritenga un appassionato della band e voglia sentire i nostri primi passi, ma non credo avrebbe alcun senso oggi ritornare in quel punto e convogliare le nostre energie.

Non tutti sanno che in questo demo degli ZU c'erano delle parti cantate. Cosa che sentirla ora sa quasi di un passato "easy-listening" degli ZU...

M - Ovviamente non l'abbiamo mai pensata così, altrimenti non saremmo ancora qui a suonare! 

L – Non abbiamo inasprito e non abbiamo mai fatto calcoli semplicemente è venuta da sé, ad un certo punto è come se avessimo trovato una miniera  di diamanti e siamo rimasti lì a scavare.

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Leggendo una vecchia classifica di Rumore dei primi anni 2000 venivate già descritti come “un gruppo personale, particolare, di difficile classificazione, che rifugge compartimenti...” che poi è un po'  la classica definizione in copincolla che in Italia si da a chi non caga (si fa per dire) nessuno. Questa vostra peculiarità, negli anni, è sempre stata motivo di orgoglio e vanto o qualche volta vi è venuto in mente quel celebre quote di Asimov che dice, parafrasando, "se tu sei ignorante non è colpa mia che ho una maggiore conoscenza delle cose"?

M - Sinceramente, né orgoglio e vanto, né ignoranza altrui . Fare una vita come l'abbiamo voluta era già abbastanza impegnativo e totalizzante per metterci sopra troppe elaborazioni. Non siamo i tipi da sederci sugli allori ma ti dirò di più, sinceramente, io non li vedo proprio gli allori ne mi interessa cercarli. Le soddisfazioni possono essere parlare dopo il concerto con delle persone che ti dicono che la nostra musica conta molto per loro e sentire che non è un fatto estetico, ma che è stato altro a passare. Queste sono le vere onorificenze, le cose che ti fanno andare a letto dopo il concerto con la sensazione che dopo tutto hai fatto qualcosa. A un certo punto si capisce solo un po' meglio come tenere viva quella scintilla. A volte è una torcia, a volte un fulmine, e a volte una candela che si sta per spegnere. Bisogna prendersene cura perché ha una vita propria, e noi davvero ne siamo solo i custodi.

Che ricordo avete invece di Steve Albini, che di recente avrebbe compiuto 62 anni e che conosceste ai tempi di Igneo?

M - Cercavamo qualcuno che capisse più di noi in termini di suono. The Ex stavano registrando con Steve al Black Box in Francia, noi ci trovavamo in tour proprio da quelle parti e ci invitarono a dormire lì in studio in un day off del nostro tour, mentre eravamo lì, gli Ex continuavano a spingerci, chiedeteglielo e chiedeteglielo. E così con il coraggio a quattro mani glielo abbiamo chiesto. Saremmo dovuti entrare in studio all’Electrical Audio  proprio l'11 settembre 2001 ma per fortuna un'altra registrazione fu spostata e così andammo a dicembre. Eravamo giovani, timidi e inesperti e non sapevamo neanche noi come interpretare la musica che ci era in un certo senso piovuta addosso. Forse cercavamo un maestro che ci indicasse come affrontarla dal punto di vista sonoro ma Steve non voleva questo ruolo, ovviamente. 

L –  L’esperienza con Steve Albini ci ha fatto capire quanto il suono  dovesse avere un ruolo centrale negli ZU. Dopo quell’esperienza abbiamo cominciato a cambiare strumentazione, ad aggiungere effetti e stratificare le frequenze. È stato illuminante.

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Invece, è ancora moralmente corretto considerare Zorn un maestro della sperimentazione jazz e dintorni per quello che di grande ha fatto nei primi anni 90, ignorando le badilate di zavorra che ha prodotto dopo o magari è meglio lasciarlo lì e dare più spazio, che so, a Mats Gustafson e Fire Orchestra o alla rivalutazione di un Peter Brotzmann?

M - Zorn lasciamolo li, io lo lascerei nel '92 appena dopo Naked City e gli proporrei di pensarci su un bel bel po'. Alla fine l’influenza per noi è stato Painkiller, ma proprio come concetto, che si poteva fare una band senza voce e senza chitarra, ed arrivare comunque allo stesso apice di intensità.

L - Zorn è stato fondamentale perché con Naked City e Painkiller mi ha dato la spinta per iniziare a suonare e si, ha rappresentato un punto molto avanzato per la musica, ma fino a metà dei '90, poi ha preferito lasciarsi andare alla quantità bulimica. Mats e Peter Brotzmann rimangono dei pilastri, ma anche loro sono troppo limitanti per ritenerli definitivi. Ci piace spaziare.

Nel corso degli anni avete collaborato con tanti artisti stranieri, ma anche con qualche artista italiano. So che avete un legame duraturo con Manuel Agnelli che va avanti dai tempi del Tora Tora. Che ricordo ne avete voi? 

L – Sicuramente siamo molto legati ancora a Gabe Serbian (batterista con Locust, Cattle Decapitation, Dead Cross e proprio con gli ZU morto prematuramente due anni or sono, nda). È stato fondamentale nella ripresa di ZU e si è buttato anima e corpo nel nuovo corso che avevamo intrapreso. Avevamo una visione della vita che ci accomunava e Cortar Todo (il disco degli ZU del 2015 su Ipecac, nda) è la testimonianza viva di questo legame.

Per finire, chi sono gli Zu del 2024?

L – Gli Zu nel 2024 sono persone più consapevoli della testimonianza che devono portare nel mondo, che è insita nella loro musica. Non pensare che questa affermazione sia da persone egoiche: riferendomi alle risposte di prima, a forza di scavare abbiamo trovato le gemme, non le abbiamo certo fabbricate noi.

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L'articolo Gli Zu continuano a tenere viva la scintilla di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2024-07-23 16:11:00

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