“Attraverso” è un’opera emotivamente sfiancante (forse in primis per la stessa band), che travalica i confini del semplice disco per farsi di volta in volta libro, teatro, poesia, gestualità, manifesto di lotta e resa al contempo, lungo le curvature di un’istintiva quanto spietata narrazione, orchestrata dalla voce perentoria di Anna Maria Stasi, intrisa come non mai di mediterranea passionalità. Un progetto panoramico che distilla il sangue purpureo del rock dentro altri mille rivoli espressivi: un continuo e destabilizzante divenire sonoro che parte da familiari movenze in odor di Consorzio Produttori Indipendenti (“La frana”, “Che l’alba esploda”, “Venturus est”) e che lungo il suo percorso ha l’ardire di riformulare in chiave distorta i raffinati misticismi dei Dead Can Dance (“Ritorno al me stesso di adesso”, “Your Time Will Come”), di affogare nello stoner la più colta tradizione cantautoriale italiana (su tutte la fossatiana “Fermati tempo”) e all’occorrenza di rigurgitare quell’oscura new wave mai del tutto rinnegata (“Nostra signora della neve”), fino a congedarsi con quel beatificante naufragio “Nell’infinito stupore del mondo”, che tanto riecheggia la pasoliniana “Straziante bellezza del Creato” decantata dal grande Totò nel film “Che cosa sono le nuvole?”. Dentro lo stesso vagito musica densa e rumorosa filosofia. Un disco bellissimo, di una bellezza che fa sanguinare. (Antonio Belmonte, rockit)
“Attraverso” segna una svolta musicale e una presa di posizione intellettuale che si annuncia definitiva... E’ un disco arrabbiato, è assalto all’arma bianca... Trasmette la sensazione di una formazione che, suonando, avanza compatta e decisa a tutto. E viene alla mente il “Quarto Stato”, quella celebre tela dipinta da Giuseppe Pellizza da Volpedo, dove viene rappresentato il cammino di contadini e operai che vengono avanti come il fitto fronte di una falange. E per restare in termini pittorici, ecco affacciarsi al pensiero altra e non meno celebre tela, quel “La libertà che guida il popolo” dipinta da Eugène Delacroix, nella quale “la Marianne”, icona francese del motto rivoluzionario, appare alla guida di rivoltosi sventolando il tricolore. Ma qui non c’è populismo. Con senso concreto della poesia, “Attraverso” sollecita a strappare bende dagli occhi e catene da mani e piedi. C’è qui sentore di “primavera da piazza”, di cortei e barricate, echeggia il colpo di cannone sparato dall’incrociatore Aurora col quale nel 1917 venne dato al popolo di San Pietroburgo il segnale d’attacco per la conquista del Palazzo d’Inverno... (Italo Interesse, Quotidiano di Bari)
Si può dire che C.F.F. e il Nomade Venerabile rappresentino una leggenda underground. Non è detto si tratti di un complimento, visto che il gruppo pugliese merita da tempo una visibilità maggiore rispetto a quella finora conosciuta. Il nuovo album Attraverso potrebbe cambiare la situazione. È un disco potente, compatto, viscerale che associa agli antichi amori wave (dai C.S.I. a Umberto Palazzo) un evidente interesse per angolosità chitarristiche in stile stoner, dove il termine serve anche a dare l’idea di canzoni dure, quasi scolpite nella pietra. Il fascino del progetto sta soprattutto in un elemento: la capacità di associare dialetticamente il concept testuale (potremmo sottotitolarlo “il tempo e i tempi”) al modo in cui sono strutturati i brani: ne è un esempio “Che l’alba esploda”, dove il fraseggio della chitarra lenisce l’apocalittico furore delle parole. Salvo un paio di passaggi in cui la tendenza all’epos, peraltro connaturata al gruppo, diventa un po’ smodata, siamo di fronte a un’opera indiscutibilmente notevole che dà l’idea di poter funzionare piuttosto bene anche dal vivo. Attraverso non è disco consolatorio, anche se negli ultimi versi si lascia catturare da un sentimento irrazionalmente felice quale lo stupore davanti alla bellezza, e non ha paura di apparire scorretto in tempi dove (v. le recenti storie legate a Battiato e Fabri Fibra) la libertà può essere solo perbene e inoffensiva: “Facce nel cesso/troiette in bella vista: il posto è fisso”. (Antonio Vivaldi, tomtomrock)
...perle di inestimabile valore che usano tirare fuori a palmi pieni da quella forma d’arte che oramai è in disuso e che si chiamava “delicatezza della grazia”... voto: 5 / 5. (Max Sannella, rockambula)
Nelle vene dei C.F.F. (Concettuale Fisico Fastidio), band pugliese attiva dal 1999, scorreva già il flusso scuro d’inferni interiori e chiaroscuri d’interni della dark wave internazionale, così come pulsava la poesia scomposta dei C.C.C.P. o il cuore sperimentale degli Scisma. Giunto con alcuni cambi di formazione negli anni al quarto album, il gruppo ha portato alla luce le sue origini, come in un parto capovolto. Ecco allora affiorare in modo più netto ritmiche punk in brani che impastano il loro pathos nell’oscurità dei bassi, in una selva di chitarre decise come urli, oppure lancinanti, figlie ora dell’alt-rock, ora del goth (v. La frana), ma anche del noise (v. Bambina che correva a spegnere la luce che rammenta a tratti il Teatro degli Orrori), in tenebre eleganti che inghiottono nei loro anfratti e nelle loro vertigini soniche cangianti (è il caso della parte più incalzante dell’ottima Il mio inverno, che sfocia in una chiusa delicata, quasi sottovoce). (Ambrosia J.S. Imbornone, mescalina)
...Con lo scorrere dei minuti ci si immerge sempre più nel loro mondo, rimanendone del tutto coinvolti. ...anche questa volta C.F.F. è sinonimo di grande impatto e grande cuore. (Viola Bica, realtalombarda)
Attraverso
C.F.F. e il nomade venerabile
Descrizione
Credits
Musiche: C.F.F. e il Nomade Venerabile.
Testi: Vanni La Guardia (1, 2, 5, 6, 7, 8, 9, 10), Anna Surico (3, 4), Vanni La Guardia e Anna Maria Stasi (12, 13), Anna Maria Stasi (11).
COMMENTI