FIORI PER UNA VISITA

FIORI PER UNA VISITA

davide bava

2020 - Trip-Hop, Rap, Elettronica

Descrizione

SINOSSI a cura di Gilles Cheney

Sembrerebbe ci sia un filo che regga le nostre esistenze, qualcosa d’invisibile che ci tiene lontani dal mondo per poi riportarci in piedi, una linea retta che ci conduce, ma non sempre dove vogliamo andare.

Un filo che può subire una piega, morbida, piacevole, fatta di passione e di “denti” che lasciano segni che vogliamo rimangano perché ci ricordano la vita. Un’esistenza che inevitabilmente si assembla nell’unione con l’altro, che diventa la nostra bilancia.

Quel filo così, se teso compie il suo dovere, o meglio quello che imposto da stilemi dettati dalle regole, e tutto è fermo, lineare, ma se si piega da una o dall’altra parte le variabili diventano possibili e spesso sono dolorose. Se siamo disposti le prendiamo come sono, altrimenti cerchiamo un compromesso, un raccordo pur di non finire. Dobbiamo diventare noi la bilancia, decidiamo noi se tendere il filo o meno.

E se questo può essere una prassi, la vera sfida con noi stessi e con le nostre intenzioni dell’esistenza giunge dall’esterno, dal caso o dal caos. L’intervento di un evento giunge a metterci alla prova, ci pone l’interrogativo su quale strada prendere; l’evento può essere traumatico, devastante, inutile, passivo, dipende da come lo decifriamo.

In base alla declinazione prescelta inizia un percorso, una sorta di viaggio interiore, metodico, costante, quasi corrosivo: si scava sempre più a fondo. Quando si inizia è difficile fermarsi.

E soprattutto non si sa bene cosa si trova. La ricerca, il grattarsi sottopelle, porta qualcosa alla luce, qualcosa che forse non siamo pronti ad accettare: in realtà non lo conosciamo abbastanza per farlo. Di conseguenza abbiamo solo la perdita, della lucidità, della razionalità, della nostra prassi codificata. Siamo avvolti da quello che accade, siamo travolti.

Il desiderio di aggrapparci è l’urgenza successiva, perché non si vuole cadere. Quei “denti” tornano fugaci e soprattutto necessari. E si capisce il seme delle cose, perché sono quelle che ci danno la libertà di dire, di raccontarci, si svelarci, di esplodere la propria dipendenza nei confronti dell’altro. E questo proprio perché ci rimane solo quello, visto che abbiamo perso il fare.

E se questo diventasse un nuovo punto di partenza? Una consapevolezza che ci condurrà altrove? Una volta macinato l’imprevisto, potessimo concentrarci sul regalo che ne può emergere? Se capire fosse rallentare un processo?

E la ripartenza s’insinua in quella piega, morbida e piacevole che abbiamo conosciuto prima dell’interruzione forzata. Ripartiamo da lì, da quello che ci riporta al sentire l’esistenza, al senso di un percorso più grande di noi. Tutto il resto potrebbe non essere importante.

Si attiva così una nuova dimensione, anzi tutto di ridimensiona. La nostra visione diventa più cruda, pure, onesta. E’ il cambiamento, è una prospettiva diversa. Definitiva?

E se una direzione è presa, un bisogno ne emerge. Una volta intesa la felicità la si vuole, d’altronde è quella che ci fa stare bene. Banalmente è la risposta, e si è disposti a tutto pur di mantenerla.

Ed è allora che “tutto torna”. L’improvviso arriva ad un senso e tutto trova la corretta collocazione, anche quello che prima ci travolgeva. Si torna in sé in un altro sé.

E un’altra giornata riprende il suo percorso, come sempre o forse come mai. Quale sarà la nostra scelta? O meglio decideremo di scegliere? L’attesa di una scelta.

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