Descrizione

Questa è poesia, volta in musica dallo stesso Poeta.

Versi concisi, distillati dal mosto di croniche o acute amarezze quotidiane, galleggiano su basi musicali elettroniche, rivelando la genialità di Davide Bava, un poeta che si scopre producer.

Campionamenti inattesi, lacerti di voci e fulminee scintille compongono ritmi stranianti, talora urbani e notturni, talora afosi, paludosi, sudati.
Lontana, forse suonata in un altro mondo più antico, giunge come da finestre aperte, da remoti cortili o giardini, la musica degli strumenti concreti di Mario Benassai. Trombe imbizzarrite, flauti ancestrali, flicorni ovattati, ruggenti e desueti strumenti da parata. Questo suono lontano è l’odore dei ricordi.

Musica da Camera è la musica che suoniamo nella stanza interna dei nostri sfracelli. Tormenti, circoli viziosi, disfatte, rimpianti.

Letto, quadro, finestra, armadio, libreria. Oggetti e mobili che incontriamo e rivediamo ogni giorno, mille volte, e da cui vorremmo fuggire, potendo, quando evocano memorie pesanti; come un pugno ci colpisce il quadro (1) per l’assenza della foto di chi non c’è più. Come su di un ring, sul letto (*) giace la coppia stramazzata dal piacere, e quell’intimità sfinita snuda, in flusso di coscienza, ricordi e flash di una vita.

La camera chiude e conserva il disordine delle nostre esistenze; un armadio (2), celando testimonianze delle nostre sconfitte e reliquie di relazioni estinte (oggetti smarriti e sgraditamente ritrovati), non va oltre l’ipocrisia della rimozione.

Uniche brecce nella monolitica claustrofobia della nostra camera-coscienza (museo di fallimenti/disastri/sconfitte/rinunce, in cui rimestiamo ciò che resta delle nostre ambizioni) sono tre intromissioni di vita esterna; provengono dalla radio (3) che riversa la musica che è di tutti e di adesso, e che vorremmo sentire nostra, ma non lo è; dalla finestra (4), sirena mitologica che propone occasioni non meno deludenti di quelle offerte del libro, ultima breccia che occhieggia in libreria (5): regalatoci a suo tempo, e mai finito, gli daremo un giorno – liberandocene – il nostro personale, apocrifo finale.

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