Descrizione

Questo disco è nato veramente all’improvviso, senza alcuna programmazione. Proprio il giorno dopo aver pubblicato Siamo esseri emozionali, disco fondamentale per la mia crescita espressiva, anziché prendermi una pausa, ho seguito un’onda tenue e allo stesso tempo decisa che mi ha portato a giocare con sonorità diverse e semplici il più possibile.
Fatto sta che nel giro di poco tempo mi sono ritrovato questo grappolo di canzoni che definisco lievi proprio per questa assenza di sovrastrutture e per la loro immediatezza e brevità.
La sensazione che vorrei trasmettere con questo disco è quella del risveglio e della fuoriuscita da qualcosa di oscuro e sfuggente, come accade quando un fascio di luce, non abbagliando, senza effetti speciali, carezza l’anima sfiorandola, non negando nulla della malinconia che a volte l’attanaglia ma, semplicemente, suggerendo una diversa angolazione da cui osservare le cose e se stessi.
Lo considero, in qualche strano modo, un disco di aiuto e di piccola salvezza (e infatti c’è una nuova versione di Salvami, oltre che di Raccontami di te) per quei momenti un po’ così, che capita un po’ a tutti prima o poi di vivere, di disorientamento e assenza di luce.
Suggerisco il suo ascolto in momenti calmi come può essere l’imbrunire o sotto la luce delle stelle, o davanti l’abbagliare del sole o nel buio della propria camera. Nella speranza che - anche in questa epoca di rumore stordente, fretta asfissiante e istantaneità perenne, che nega ogni forma di percorso e ogni ipotesi di riflessione - ci sia ancora qualcuno desideroso di farsi trasportare dalle onde della musica e delle parole per un tempo superiore a quei distratti pochi secondi in cui si è ridotto l’ascolto della musica, ottusamente governato da un ossessivo e compulsivo andare avanti nelle playlist senza senso e senza alcuna emozione.
Non è casuale che qui dentro vi siano, una dietro l’altra, due cover di autori a me molto cari, in cui si parla di città che bruciano: l’una, Parigi di Enzo Carella, leggera e a suo modo malinconica, l’altra, Sidun di Fabrizio De André, molto sofferta e cruda. Ho cercato, rispetto le inarrivabili versioni originali, di rendere la prima più divertente e la seconda ancora più alienata e alienante.
E’ un modo per riflettere sulle varie potenzialità della musica, che può passare, anche all’improvviso, da un registro all’altro senza per questo perdere le sue capacità evocative.
Del resto, la musica, per come la intendo io, è molto variegata, non lasciandosi ingabbiare in rigidi schemi e generi anche grazie alla sua immaterialità e libertà espressiva.

Credits

COMMENTI

Aggiungi un commento avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia