La malattia, l’agonia, la presa di coscienza della morte imminente, la sensazione che qualcosa di enorme stesse per succedere, ma l’incapacità di capire davvero cosa. Il 17 agosto, dopo un mese in cui il declino lasciava sempre meno spazio a dubbi e speranze e in cui avevo riversato tutto il dolore in ore ed ore di musica, terminavo la registrazione dell’ultima traccia di chitarra di “Lacrimosa”, ultimo pezzo ad essere stato completato. Poco dopo mia zia mi telefonava dall’hospice, dicendomi di correre perché il respiro si era fatto irregolare e i medici dicevano che mia madre non avrebbe passato la notte. Lasciavo lo studio in aria e correvo, come si dice, al suo capezzale. Già da due giorni non sentiva più le mie parole, e restava sedata ad aspettare inconsapevolmente la fine dell’agonia, noi a guardarla, a piangere, a ricordare e a convincerci che in qualche modo avvertisse la nostra presenza. Poco dopo il mio arrivo il respiro si faceva più regolare: forse non era ancora il momento. Mi dicevano: “non è ancora pronta a lasciarti”. Poi i tradizionali fuochi d’artificio, perché a Bergamo il 17 agosto si fa festa. Da bambino li guardavo da casa perché ne avevo paura, a lei piacevano da morire. I tre botti finali, l’inizio della pioggia dopo tre settimane di afa, e il colpo di teatro di lasciare il mondo dei mortali in quel momento completavano quella giornata, che passava alla nostra umile storia privata come l’ultima giornata di mia madre. La messa che avevo voluto scrivere come ultimo gesto di gratitudine per la donna che mi ha insegnato l’amore era stata completata poche ore prima: era una messa laica, carica di rabbia e di dolcezza. Inizialmente l’idea era quella di musicare il testo canonico del Requiem, cercando di restituire con la musica il senso che mi trasmettevano quelle parole antiche; pian piano decidevo di riscriverne delle parti, cercando con la massima umiltà di offrire una mia versione dei vari momenti della celebrazione. Ogni composizione veniva accompagnata da numerosi ascolti comparativi di messe da requiem famose, su tutte quella di Gabriel Faurè, e dallo studio dell’origine dei rituali. Ho deciso di comporre in totale libertà, senza preoccuparmi di una coerenza sonora in senso moderno, ma di adottare l’approccio classico descrittivista secondo cui la funzione primaria della musica deve restituire e commentare il senso di ciò che viene trasmesso a livello di contenuto. Per fare questa cosa ho attinto a diversi codici, tutti a modo loro parte del mio background: c’è il post rock, c’è il cantautorato, ci sono la composizione orchestrale, l’elettronica e il black metal, in una sorta di alleanza funzionale a trasmettere tutte le dimensioni del lutto.
Tre giorni più tardi la messa non ancora mixata è stata riprodotta durante il funerale (non tutta: le suore della chiesa hanno protestato per l’ostentata laicità dei contenuti e hanno insistito per sostituire alcuni momenti con canti tradizionali). Nel frattempo ho completato i lavori di missaggio e ho deciso di pubblicarla fondamentalmente perché mi piace.
REQUIEM PER UNA MADRE
Forse Danzica
Descrizione
Credits
Matteo Rizzi: voce, testi, chitarra, basso, sintetizzatori, pianoforte, produzione
Stefano Nusperli: voce in "Dies Irae"
Stefano Eccher: tromba, flicorno
Clara Rigoletti: archi
Plastica: co-produzione in "Sanctus"
Emma (Minicoro di Monterosso): voce in "Libera Me"
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