C'era una volta la stampa musicale italiana
Una sorta di cimitero di riviste musicali italiane: da Ciao 2001 a Muzak, passando per Losing Today e tante altre. Ecco che aspetto aveva la stampa musicale italiana, quando arrivava (addirittura!) nelle edicole.
(a cura di Giuseppe Catani)
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Musica come movimento, gioia e rivoluzione, quella rivoluzione che un giorno dovrà pur deflagrare da qualche parte. Muzak attraversa il periodo centrale degli anni ’70 forte della sua capacità di mettere insieme contenuti musicali e politico-sociali, talvolta con linguaggio non proprio accessibile. Diretto da Giaime Pintor (uno dei padri del quotidiano Il Manifesto), si serve di penne brillanti come Riccardo Bertoncelli, che se ne andrà dopo sei mesi per fondare Gong, Lidia Ravera, Sergio Saviane, Enzo Caffarelli e Gino Castaldo.
L’ultima frase de “L’avvelenata” di Francesco Guccini la conosciamo tutti, no? Colpa di Riccardo Bertoncelli, reo, proprio in una recensione pubblicata da Gong, di aver stroncato “Stanze di vita quotidiana”, il sesto album del cantautore modenese. Messo su da un gruppo di fuoriusciti da Muzak, naviga tra polemiche (ne sanno qualcosa anche gli Area), prog, jazz e contenuti extramusicali: da ricordare le inchieste sull’omosessualità e femminismo. Per molti la migliore rivista musicale mai circolata in Italia. E probabilmente a ragione.
Pirotecnico trimestrale messo in campo da Stampa Alternativa e diretto da Gigi Marinoni, con Giacomo Spazio nel ruolo di art director. Stile e grafica fanzinara, Vinile scava a mani nude (e sporche) nell’underground e regala, oltre a un 45 giri allegato a ogni numero, interviste, fumetti e recensioni feroci. Un esempio? Recensione di “17 re” dei Litfiba: “Speriamo che facciano i soldi e si tolgano presto dai coglioni”. Purtroppo per i redattori di Vinile, i Litfiba di soldi li hanno fatti a iosa ma sono ancora lì. Cessa le pubblicazioni dopo la quinta uscita.
Edito da Arcana, è la versione tricolore dell’omonima rivista inglese. Un unico numero consegnato alla storia, in pratica un libro, con scritti, tra gli altri, di Nick Cave, Simon Reynolds ed Emidio Clementi. Discorsi belli, tondi e ragionevoli che, purtroppo, non hanno un seguito. E a tal proposito, potremmo tirare fuori un elenco sterminato di congetture ma forse, oltre alla limitante distribuzione in libreria, è il prezzo (18 euro) a far fuggire un potenziale di lettori che, una volta fatti i conti della serva, si rivolgeranno ad altre testate più adatte al proprio portafoglio.
È l’estate del 1988 quando un gruppetto di arditi, tra i quali Eddy Cilia e Maurizio Bianchini, decide di lasciare il Mucchio Selvaggio e fondare una nuova rivista: Velvet. Edita dalla ESSEDIEMME (che sta per Stefani – ovvero l’allora direttore del Mucchio – deve morire), attraversa diverse fasi e cambi editoriali, intervallati da scazzi interni a dir poco pesanti. Comunque sia, un signor giornale, scritto da dio, che avrebbe meritato maggior fortuna. Molti dei protagonisti di Velvet si ritroveranno, anni più tardi, tra le pagine di Blow Up.
I suoi punti cardinali sono il concerto di Woodstock, gli anni ’60, la psichedelia. Ma l’attenzione è rivolta anche alle nuove sonorità e ad argomenti extramusicali, come il carcere o la letteratura. Parte grafica modesta ed esistenza fugace, non va oltre ai quattro o cinque i numeri. Edito dalla cooperativa editoriale Overmind, specializzata nella pubblicazione di libri riguardanti il complottismo. Chissà se, per la legge del contrappasso, la sua scomparsa dalle edicole sia dovuta proprio a un complotto.
Chiusa la storia con Il Mucchio Selvaggio, Max Stefani, dopo una breve esperienza a Suono, riparte con Outsider. L’idea è ottima: proporre il meglio della stampa rock estera, una sorta di Internazionale (si intende il settimanale) della musica. Peccato che le traduzioni spesso non siano all’altezza (la Fender Sunburn che diventa la “Fender bruciata dal sole” è già leggenda) e che le pagine delle rivista siano costellate da una quantità industriale di refusi e di attentati alla grammatica italiana. Getta la spugna dopo 18 numeri, tra gli applausi dell’Accademia della Crusca
L’indierock diventa un affare serio e ha bisogno di una voce che lo rappresenti. Ci pensa Losing Today, bimestrale con allegato cd omaggio che prova a sbrogliare la matassa della scena indipendente, italiana e internazionale. Una rivista fondata in Italia, nata come fanzine che usciva all'estero che poi è diventata un giornale di casa nostra. La distribuzione non era di certo capillare, e forse l'indierock non era un argomento sul quale si poteva scrivere per anni e anni. Fatto sta che non ha fatto breccia nel cuore degli indierockers di casa nostra.
Cugino di Jazzit (hanno in comune lo stesso editore), nasce in un momento in cui le edicole sono ancora inflazionate da riviste musicali di ogni natura e fatica a ritagliarsi uno spazio. Prova a combattere con ogni arma, regalando copertine un po’ a chiunque, da Bob Dylan a Vinicio Capossela, dai cantautori italiani storici a Prince, provando a sorprendere con articoli e interviste ben confezionati. Sforzi inutili: dopo otto numeri, Muz si dissolve. Ma non del tutto: nel 2014 torna sotto sembianza di 'social magazine'.
Prende vita dalla fusione di Ciao Amici e Big. Assai diffuso tra i giovani dello stivale, nel periodo di massimo splendore vende oltre 80.000 copie a settimana. Primi anni anonimi, inflazionati da un eccesso di musica leggera, poi nei ’70 si trasforma in una sorta di bibbia del prog. Una sterzata decisa, ma una volta esaurita la sbornia progressive, l’identità (assieme alle vendite) si perde per strada. Tuttavia, tra chiusure e ripartenze, resiste fino al 1999, pur trattandosi di una lenta (e inutile) agonia, quasi un accanimento terapeutico.
Le migliori copertine dei tempi d'oro le trovate qui .
Leggendario mensile specializzato in punk ed elettronica spinta. Creatività, purezza, spirito avanguardistico sono le caratteristiche di un periodico che inserisce in copertina (rigorosamente disegnata) gente del calibro dei Residents, Nina Hagen o Brian Eno. Grafica a cura della bolognese “Traumfabrik” di Filippo Scozzari (già pronto a entrare nella truppa di Frigidaire) e Giorgio Lavagna, cofondatore dei Gaz Nevada. In redazione, oltre all’onnipresente Riccardo Bertoncelli, figura anche Franco “Bifo” Berardi.
Parte come inserto (col tempo si trasformerà in rubrica fissa) all’interno di Rumore, poi il grande salto e la nascita di un bimestrale finalmente autonomo. Tredici numeri pubblicati a ridosso del nuovo secolo che gli infaticabile Luca Frazzi e Claudio Sorge trascinano in un vortice di punk, neo beat, lo-fi, garage. Coraggioso, spartano nella grafica (il bianco e nero è una scelta estetica), controcorrente nelle scelte, con pagine che rincorrono etichette indipendenti e autoproduzioni. Una cavalcata breve, ma ne è valsa la pena.
Figlio prediletto di Ezio Guaitamacchi, uno dei giornalisti/scrittori più attenti e preparati del panorama musicale di casa nostra, è un mensile legato al passato ma al tempo stesso ben attento alle evoluzioni del rock, del folk, del jazz e della world music. Chiude non per motivi economici ma per i problemi familiari a cui va incontro lo stesso Guaitamacchi. Romantico l’addio alla carta: la redazione chiede a tutti i collaboratori di tirare fuori il proprio album preferito e di recensire solo il suo pezzo conclusivo. La vita continua in rete.
Siamo alla fine degli anni '90 ed è scoppiato il fenomeno lounge. Grazie soprattutto al lavoro di catechizzazione di Francesco Adinolfi a Radio Rai, gli italiani riscoprono la cocktail music, le colonne sonore dei b-movie, musicisti come Piero Piccioni o Riz Ortolani. Il Giaguaro, fondato dal direttore del romano Micca Club Alessandro Casella , assurge a guida ufficiale del movimento, se così possiamo definirlo, evita la grande distribuzione e si concentra in punti vendita selezionati. Il cd (in alcuni casi il vinile) allegato levita il presso fino a 11,50 euro a copia, cosa che non impedisce di tirare avanti per ventitré numeri.
Splendido bimestrale dedicato alla musica (leggera, ça va sans dire) italiana. Qualità altissima, garantita da una buona grafica, come nella miglior tradizione di Coniglio Editore, e dalla direzione di Maurizio Becker, che si circonda di collaboratori prestigiosi quali Enrico Deregibus, Gianfranco Manfredi e Lilli Greco. Interviste, discografie complete, storie raccontate con passione e trasporto emotivo. La giostra smette di girare dopo quattordici numeri. E chi non li possiede o non li ha mai neppure sfogliati, Giovanni Allevi è.
Nel 1972 nasce il Corriere dei Ragazzi, quatto anni dopo la testata cambia in Corrier Boy fino ad arrivare, nel 1979, a Boy Music. Settimanale destinato ai teenager, attento anche ai fumetti, allo sport e alla televisione. Segue le mode del momento, dai cantautori alle stelline di un giorno o due, tipo Leif Garrett (una vera ossessione) o Miguel Bosè. Tra le firme, quelle di Franz Di Cioccio, editorialista dell’effimero. Recensioni scritte con professionalità e attenzione: infatti non ci pensano due volte a stroncare il primo dei Devo…
Di riviste dedicate esclusivamente alla musica italiana c’era già stata Blu, negli anni ’80, ma con esiti che potremmo definire altalenanti. Storia differente per L’isola che non c’era, più rigorosa nelle scelte artistiche, maggiormente coerenti e legate alla sola discriminante della qualità. La canzone d’autore come guida, ma l’attenzione nei confronti di musiche altre non viene mai meno, così come quella rivolta alle nuove leve. Esaurita l’esperienza cartacea, e dopo un’esperienza free press, si dedica completamente al web con immutato entusiasmo.
Piuttosto legato a un certo tipo di rock classico (dedicherà ben due copertine a Keith Richards) ha vita abbastanza breve e alquanto tormentata. Parte come quindicinale, e già qui si nota una certa attrazione per il masochismo, poi la rifondazione con annessa la scelta della cadenza mensile e di una nuova testata: New Rock Magazine. La fine è però dietro l’angolo, anche perché la grafica è pesante e i contenuti non sempre sono al passo coi tempi. Dovrebbe aver prodotto al massimo dodici o tredici numeri.
Prodotto della sinergia tra De Agostini e Rizzoli, sbarca nelle edicole in pompa magna e con gran dispendio di mezzi. Dura poco, per un totale di quattro numeri. Tra le sue pagine si trova di tutto, dalla techno ai cantautori, dal rap al pop di consumo: troppa carne al fuoco che finisce per disorientare i lettori. A salvare l’operazione non bastano le cassette allegate, dalla qualità un po’ scarsa a dire il vero, le firme di Pierfrancesco Pacoda e Massimo Cotto o gli articoli importati da oltremanica e dagli Usa. Non a caso, Live Music non lo ricorda nessuno.
Più che un giornale, un libretto in formato cd al quale è allegato, guarda caso, proprio un compact disc. Contenuti non entusiasmanti: la scelta editoriale non contempla veri e propri articoli, a parte qualcosina sparso in giro, bensì una serie di commenti asettici (probabilmente comunicati stampa riadattati) su gruppi, cantanti e avvenimenti del sottobosco indie tricolore. I cd sono comunque gradevoli (tra compilation e un live di Pippo Pollina) ma gli appassionati non gradiscono più di tanto e la baracca chiude dopo tre o quattro uscite.
--- La gallery C'era una volta la stampa musicale italiana è apparsa su Rockit.it il 2015-10-06 10:07:44