Ha scelto per noi 10 album italiani che rappresentano al meglio la sua idea di produzione. Ce li racconta.

Certe citazioni di Ravel aprono scenari molto interessanti, come la bellissima coda strumentale di “Max”, l'uso dei timbri ibridi ottenuto con gli unisoni dei clarinetti e gli archi di “Languida” è notevole, così come l'arrangiamento di “Blu notte” con l'incedere in ottavi del pianoforte e il fraseggio della chitarra elettrica in loop, altro godimento la trascinante title track con sfumature Brasile-Bolivia, il coro introduttivo che poi sostiene tutto il brano con gli strumentali è molto evocativo e solare, bello anche il groove sambato di Ellade Bandini.
“Aguaplano” ha una freschezza anche nel suono, meno filologico, molto curato nei timbri. Il buon mixaggio esalta le dinamiche e le bellissime soluzioni degli arrangiamenti. Nel 1986 l'uscita di questo album consacrerà ulteriormente Paolo Conte come Il cult italiano più amato all'estero della fine degli anni '80-'90.

Vede la partecipazione proprio del grande Vinicius De Moraes in veste di poeta narrante e del chitarrista Toquinho.
Interamente registrato in presa diretta, conserva la freschezza delle idee semplici, basilari, ma non per questo banali, anzi questo mood dell'insieme esalta le doti interpretative di Ornella Vanoni e le dinamiche degli arrangiamenti mettono in luce il suo particolarissimo timbro vocale, mai così affascinante come in questo album.

con quel linguaggio condiviso dai Morricone e Piccioni del cinema d'inchiesta. Le musiche esaltano le liriche e la forza interpretativa della voce di Piero Ciampi, incredibile in "In un palazzo di giustizia". Album del 1973, fondamentale.

“Wow” è il disco della maturità, un album labirintico, intransigente, ispiratissimo.
Alberto, Luca Ferrari e Roberta Sammarelli sono una band vera e si avverte nettamente l'apporto creativo di ognuno di loro, il risultato è un sound di rarissima intensità.

Fabrizio de André mostra tutta la grandezza sonora e poetica della sua voce, che appena compare diventa fulcro centrale di ogni canzone, ma anche dell'intera produzione artistica, dando un senso ancora più alto a tutto l'impianto musicale e compositivo costruito da Piero Milesi ed Ivano Fossati.
Gli arrangiamenti e le orchestrazioni sono di altissimo livello e trovo determinante il lavoro alle percussioni del talento prematuramente scomparso Naco. Il tredicesimo ed ultimo capitolo della produzione di De André, ennesimo capolavoro, forse da un punto di vista produttivo il lavoro migliore.

Ma si va oltre, nasce un asse di collaborazioni tra la band napoletana e alcuni dei massimi esponenti di quella tanto amata scena elettronica (cut & paste) che proliferava tra Londra e Bristol in quegli anni. Parliamo di Adrian Sherwood, Massive Attack, Bill Laswell, giusto per citarne alcuni.
Dopo il loro secondo bellissimo album "Sanacore" arriva "Lingo" album della consacrazione. Dub, trip hop, down beat, sostengono le melodie arabo-partenopee di Raiz, nella potente "Black Athena" il flow incalzante della voce è sostenuto da un beat di alta scuola trip hop-dub, in "En sof" e "Rootz" arrivano incursioni nella drum and bass con sfumature deep ambient, la bellissima "Fatmah" inizia con una nenia napoletana quasi arcaica che sfocia in una ritmica maghreb-raï con il basso dub incalzante di Count Doublah dei Transglobal Underground...
Produzione stellare. Una delle migliori band italiane del decennio 90/2000.

Beat sporchi Bristol style che girano su se stessi, noise, samples, chitarre classiche ma anche disturbate o con il tremolo, synth analog, una tromba e la voce di Giò. Questi ingredienti già sperimentati nell'album d'esordio "La Crus" in "Dentro Me" si sviluppano e si evolvono in una forma più compiuta ed efficace, le suggestive orchestrazioni di Silvio Morais D'Amico completano questa creatura musicale, tra le più significative di un periodo dove il pensiero del "si può fare anche in italiano" iniziava a stimolare gran parte della scena musicale indipendente. Erano gli anni '90.

La psichedelia maghreb di "Non trattare" (anticipa sui tempi Bombino), l'elettronica vintage di "Medusa cha cha" sono episodi nuovi del suo
caleidoscopio. Il pianoforte di “Lanterne rosse" tra suggestioni Morriconiane e cineserie di fondo, la bellissima title track sono momenti di alta intensità emotiva. Cast musicale d'eccezione tra cui: Marc Ribot, Mario Brunello, Roy Paci, Ares Tavolazzi, Vincenzo Vasi, Gak Sato.

Lucio Battisti in ogni sua metamorfosi musicale riesce sempre a mantenere vive le sue peculiarità, questo gli ha permesso per almeno due volte, e in due periodi distinti del suo intensissimo percorso, di innovare un linguaggio esplorato in profondità: la canzone.
Il perfezionismo maniacale degli arrangiamenti, sempre guidato dall'"idea", la ricerca del riff giusto, dell'incastro rimico spiazzante, come nella batteria di "Soli" - frammentata e sospesa nella strofa, poi incalzante nello special - è ancora oggi fresca e originale. I synth di "L'interprete di un film" sembrano evocare Caribou con quasi 40 anni di anticipo. Da "Ho un anno di più", altro gioiello con quel suo mood alla Lennon, e da "Neanche un minuto di non amore" imparerà la lezione anche Pino Daniele che nell'arrangiamento di "A testa in giù" sembra trarne grande ispirazione.
Album pubblicato nel 1977 e registrato nel 1976 ad Hollywood.

Con "Vai mo'" (1981) Pino insieme alla sua storica e formidabile band composta da Rino Zurzolo, Joe Amoruso, James Senese, Tony Esposito, Tullio De Piscopo e Fabio Forte ci consegna un capolavoro di ricchezza musicale, un melting pot di generi e linguaggi che spaziano dal funk-afrobeat di "Ma che ho" al malinconico jazz elettrico di "Puorteme a casa mia" e il clamoroso [em]lick[/em] di "Yes i know my way" che sembra richiamare soluzioni acid-jazz-house in largo anticipo sui tempi, Napoli vs Chicago...
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La gallery 10 dischi italiani prodotti bene secondo Leziero Rescigno (La Crus, Amor Fou) è apparsa su Rockit.it il 2015-11-27 09:50:30