10 dischi con cui è cresciuto Max Casacci
Reduce dall’uscita di “The City ”, il suo nuovo album frutto della collaborazione con Daniele Mana e il jazzista Emanuele Cisi , Max Casacci si conferma come uno dei musicisti/produttori più attivi e poliedrici che abbiamo in Italia. La lista dei progetti in cui è coinvolto al momento è veramente lunga, e pare che presto ci saranno notizie anche dal fonte Subsonica .
Il suo background musicale è veramente vasto, gli abbiamo chiesto quali sono i 10 dischi con cui è cresciuto .
Inevitabile: nella mia adolescenza ci sono gli anni ’70, vissuti in tempo reale. Led Zeppelin, Pink Floyd, tra le prime scoperte, poi il prog. I Genesis su tutti, nella capacità di rendere incredibilmente fluide strutture e armonie complesse. “The Lamb…” rappresenta, per me, “la sacralità dell’Album”. Un concept pieno di enigmi che con gli amici passavo il tempo a decifrare. In cameretta.
Un album coraggioso che stressa i cliché del suo genere, al punto da portare la band alla rottura. (su Amazon )
Canzoni che non mi stancherò mai di ascoltare, con gli occhi pieni di immagini del cinema nord americano di quegli anni. Spazi, paesaggi ora lividi, ora assolati, pieni di strade che sfidano le frontiere. Al basso Jaco Pastorius, a ricordarmi un’altra passione di quegli anni: i Weather Report.
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E poi improvvisamente non ci sono più parti di chitarra, di basso, ritmiche, armonie e melodie. C’è un’unica contrazione del cuore, un disegno sonoro, un viaggio senza ritorno verso nuovi territori di consapevolezza. E di appartenenza.
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Le nevrosi della città e il respiro del mondo, in un unico quadro sensoriale. Brian Eno alla guida a ispirarmi sul ruolo del produttore. E alcune tra le più belle chitarre che - ancora oggi - abbia mai sentito.
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Credo che questo sia l’ultimo album “pop” di Brian Eno, prima della sua dissoluzione puramente sonora nell’ambient. Qui gli elementi si mescolano in un esercizio di destrutturazione. Senza questo album non ci sarebbe mai stato un “Kid-A” dei Radiohead. 23 anni dopo.
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All’epoca mixavo concerti reggae, ma per me era ancora un mondo estraneo. Fino a questo album, che ha spalancato tutte le porte. Il basso (del produttore Dennis Bowell) come medium tra pulsazione di una società urbana e la parola liberata alla melodia ma caricata di densità politica e sociale.
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Un viaggio in Algeria, in compagnia di amici, che poi sarebbero diventati i Mau Mau. La necessità di scrollarsi di dosso una dipendenza culturale dal mercato anglosassone, per andare alla ricerca di altro. Anche, in parte, di noi stessi. La scoperta della musica Raï, le sue poliritmie e la voce profondamente mediterranea di un Khaled ancora non addomesticato dal pop internazionale.
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Potrei ricordarne altri, da “Entroducing” di Dj Shadow a “Paul’s Boutique” dei Beastie Boys. Ma con i dischi capita così. L’esordio dei Chemical influenzò irreversibilmente me e Boosta, mentre sperimentavamo in studio tra Atari, microfoni distorti e campionatori. Per poi scendere sul lungo fiume a ballare. Stavano nascendo i Subsonica.
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Non so se sia vero che incominciarono a elaborare elettronica dai ritmi spezzati per aggirare la legge del Parlamento britannico che, facendo specifico riferimento ai “ritmi ripetitivi”, vietava di fatto i rave. Fatto sta che attraverso gli Autechre mi sono appassionato ad un modo di fruire e comporre elettronica che ha a che fare con l’idea stessa di libertà.
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È stata l’ultima volta che un album, che forse non mi piace nemmeno tutto, mi ha sorpreso. Al punto da studiarne attentamente incastri ritmici e sonori, al punto da spingermi a domandare direttamente a Benga alcuni dettagli che mi sfuggivano. Continuo a credere che oggi il “dancefloor” sia rimasta una delle poche dimensioni nelle quale vivere con intensità “sacrale” la musica.
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--- La gallery 10 dischi con cui è cresciuto Max Casacci è apparsa su Rockit.it il 2017-10-09 10:23:53