I Satori Junk fondono heavy fuzzy riff con strutture robuste e influenze classiche di matrice seventies, sommando una potente saturazione amplificata dalla ricchezza dei sintetizzatori. Il muro di suono massiccio e devastante s’avvinghia alle atmosfere space rock per un viaggio introspettivo, facilitato da psicotrope svisate psych. Partendo dai tardi sixties, sfruttano sette mazzate cosmiche per arrivare ai giorni nostri attraverso testi ispirati da tetri incubi e film dell’orrore, incastonati nella struttura blues dell’opener All Gods Die. Da sola svela due terzi del loro polveroso mondo fatto di larsen, distorsione ferina e improvvisi mutamenti del mood che celano l’arrivo della tempesta. Sfoderano artigli doom in emersione nella suite Cosmic Prison, dieci minuti di rifferama plumbeo, e voci sepolte nel missaggio, per una lenta cavalcata capace di levarvi di dosso tre strati d'epidermide già morta. Rincarano la dose con la deflagrante Blood Red Shrine che anticipa un bel viaggio spazio/tempo attraverso Death Dog. 15 minuti d’esplorazione interstellare fra venti cosmici rilasciati dalle tastiere, trascinanti forze orbitali esercitate dall’andamento roteante della sezione ritmica mentre le chitarre, sempre, corrosive penetrano le ultime resistenze. Schiacciando play una cosa resta ben chiara: non esiste biglietto di ritorno per questa dipartita. In chiusura arriva una versione inaspettata, e imprevedibile nella forma lynchiana, di Light My Fire (The Doors) sfigurata da rasoiate doom, effetti ghost delle tastiere e chitarre e wah-wah addicted. Un sigillo perfetto
--- La gallery The Golden Dwarf è apparsa su Rockit.it il 2018-10-04 18:27:08