Descrizione

Giona è come un’ombra dai contorni sfocati, volutamente poco definiti.
Giona non ama parlare molto di sé, preferisce lasciare alle sue canzoni il compito di spiegare chi è, con tutte le sfumature e le possibili interpretazioni.
 Perché Giona è un raccoglitore di storie, storie vissute sulla propria pelle e su quella delle persone che gli stanno o gli sono state attorno, storie che vengono assorbite e poi risputate fuori sotto forma di canzoni abrasive, staffilate di pochi minuti che non hanno bisogno di testi chilometrici ma di parole contate, dove le voci si fanno urla, le chitarre si gonfiano e si riverberano, i tamburi vengono pestati precisi. E decisi.
 Sono questi gli ingredienti principali di “Per Tutti I Giovani Tristi”, il primo disco di Giona, che nasce da un’idea di Alessio Forgione e diventa successivamente un trio con Michele Leo e Daniele Sarubbi.
 Dodici canzoni, undici inediti e la cover di una cover, venticinque minuti scarsi di musica per mettere al centro gli accadimenti e gli amori di una vita, le strade di Napoli, quello che non c’è più e quello che rimasto, quello che ancora fa male.
Dopotutto, da un disco che comincia urlando “Guardia, picchiami come facevi dieci anni fa” non ci si può aspettare una passeggiata di salute o un arcobaleno di sorrisi.
Così scorrono “Guardia”, “Squassanti”, “Pendere”, titoli corti e incisivi, testi intrisi di un sano cinismo, che rimbalzano in testa e che toccano nel profondo. Che prendono forma nel tempo, come ”Coerenza Tralalà”, appoggiandosi a potenti giri di basso (“Tutto Tutto Nero”) o diventando un mantra noise (“Gaiola”).
 Mischiare il punk e il pop per essere spigolosi al punto giusto ma senza assumerne la posa, passare per “Peroni”, per “BAR” tutto maiuscolo e arrivare a “Do You Wanna Dance?”, un momento per tirare il fiato, l’unica cover del disco presa dalla versione dei gran maestri Ramones. Con buona pace dell’originale “Do You Want To Dance” di Bobby Freeman e degli altri rifacimenti, Beach Boys in primis.
 Altri giochi di parole in “Tutto Tutto Nero”, mentre non c’è gioco alcuno in “Traiano”, uno dei passaggi più crudi di tutto il disco, un incedere marziale e più dilatato rispetto alla media, zero possibilità e altre variabili determinate dalla lunghezza del coltello che si tiene in mano. Si chiude con “Assonnata”, e il silenzio che arriva alla fine di questi dodici episodi non fa altro che amplificare l’universo che fino a qualche secondo prima veniva cacciato fuori dalle casse, che è scomodo ma è reale, e con cui qualcuno ci fa i conti quotidianamente. 
È un periodo in cui si parla molto di “solisti punk”, di racconti che hanno bisogno di distorsori accesi e volumi d’uscita altissimi per essere compresi fino in fondo: Giona è uno ma sono tre, Giona non ha bisogno di etichette per suonare quello che suona e cantare quello che ha scritto.
Semplicemente è quello che è, con un bagaglio di racconti densi e finalmente un modo per renderli pubblici.
 Senza preoccuparsi troppo di tutto il resto, in una scala di colori che prevede solo il bianco, il nero e il grigio. I giovani tristi apprezzeranno, e non solo loro.

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