Rimini da una parte. Berlino dall'altra. In mezzo un filo di nylon teso che le collega. Appese a questo filo le canzoni del nuovo disco di Giuseppe Righini, “Houdini”. Un lavoro, il terzo per il songwriter romagnolo, di cantautorato elettronico, o “electrorato” come lo chiama lui, le cui tracce hanno come genitori proprio le città raccontate per immagini da Fellini e Wenders. Due differenti isole, due differenti sponde, due differenti case straniere tra loro ma assolutamente vicine e indispensabili in Giuseppe, che ha scritto i brani di questo nuovo disco in Germania per poi registrarli e produrli in Italia insieme a Fulvio Mennella. Un lavoro apolide, dunque, per natura e vocazione; vittima e complice di entrambi gli scenari, ma anche di plausibili suggestioni e possibili tranelli.
“Houdini”, del resto, è una parola che lascia sul campo assonanze e allusioni con il cognome di chi l'ha scelta. Non-sense, ma neanche troppo, e soprattutto un gioco escapologico di illusioni, simboli, porte, chiavistelli, grimaldelli, soglie, liberazioni. Canzoni a volte rotonde, a volte dagli sviluppi imprevedibili, e soprattutto livide, scure, pop noir, a disegnare un paesaggio di sabbia e cemento dalle seducenti cicatrici, un viaggio di elettrica salsedine, un pianeta pronto a farci salpare e tornare e ancora ripartire. Sempre a bordo di una nave di parole che solca un mare profondo e fecondo di synths e plugins. L'elettronica di “Houdini” irrobustisce una sorta di protocantautorato cosmopolita e d'assalto, che sta in equilibrio fra saggezza e leggerezza, fra impegno e disimpegno, fra ballo e apocalisse. La produzione chirurgica di Fulvio Mennella crea un fondale da teatro di confine e frontiera, dove si respira un'aria smaccatamente europea, che gioca con transistors di decadi e decadenze fine millennio e neonate digidiavolerie da XXI secolo. A completare il tutto qualche violoncello, qualche chitarra e una batteria, grazie alla collaborazione con Miscellanea Beat e Daniele Marzi.
E' così che “Houdini” – in uscita per un'etichetta di culto come Ribéss Records – diviene il disco definitivamente elettronico di Giuseppe Righini, dopo che i due precedenti (“Spettri sospetti” e “In apnea”) avevano già iniziato un viaggio di avvicinamento alle macchine di cui la raccolta di remix “Enciclopedia completa di uno sconosciuto” era una sorta di preambolo. Ma “Houdini” è anche il primo disco in cui Giuseppe Righini si concede il lusso di saccheggiare titoli, opere e, in generale, si prende la libertà di far riferimento ad altri senza timore di far nomi e cognomi o chiedere il permesso ai vivi e ai morti. D'altra parte è questa l'Europa, un gioco illusorio di citazioni e figure, fantasmi che emergono per poi svanire lasciandoci solo la vita e la realtà con il suo senso tutto da scovare. Lì in un tratto di spiaggia a Rimini d'inverno o lungo una strada di Friedrichshain.
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