In Russia li aspettano e li accolgono con lo stesso entusiasmo che si riserva alle grandi band internazionali. E alle porte di un nuovo tour europeo che li vedrà ancora protagonisti in est-Europa, i 1000 degrees ci raccontano del loro rapporto col punk e di come sia necessaria una spinta di rinnovamento dal basso, a partire dagli ascoltatori. L'intervista di Federico Musso.
Hardcore, post-emo, lounge, pop punk, melodic hardcore. Tra Wikipedia e pornografia non si capisce più niente. Se dico che fate semplicemente “Punk-rock” ti offendi?
Se devo essere sincero non me ne frega assolutamente niente (ride, ndr). Dopo la mania di etichettare qualsiasi cosa, specie in questa scena, credo che comunque si stia tornando ad utilizzare termini più onnicomprensivi. Si ritorna a parlare di pop, punk, rock ecc. Ad ogni modo non mi offendo di certo! Una volta quando andavo al liceo i generi erano utilizzati più come bandiere, creavano aggregazione ma al contempo attrito fra generisti. Ora c'è una commistione talmente sfaccettata da rendere assolutamente inutile un qualsiasi tipo di definizione artistica. E' più un fenomeno editoriale quello dell'etichettare i generi, serve proprio per indirizzare i lettori verso ciò che potrebbe interessare di più. Poi smettiamola di mettere “post” ovunque, alla fine significa semplicemente che non si tratta di qualcosa di nuovo. E' un po' da paraculi.
Parliamo del vostro background musicale: da che scuola vengono i 1000 Degrees?
Parlando del nostro background musicale entriamo in una giungla molto fitta, ognuno di noi si è formato a modo suo portando la propria idea all'interno del gruppo. Gabri per esempio, il nuovo chitarrista, viene da un mondo radicalmente diverso dal nostro per molti aspetti (anche se è facile riscontrare delle somiglianze), portando nella band un bagaglio culturale in materia di post-rock che ha sensibilmente contribuito alla caratterizzazione dell'ultimo album. Inizio dicendoti questo perché tutti e quattro ce ne siamo resi conto appena sentiti i primi accordi usciti dai monitor del mastering. Ad ogni modo il filo conduttore che ci tiene legati è senza dubbio il punk-rock insieme alle ritmiche hardcore e tutte le varie sfaccettature nate negli ultimi 20 anni. Romeo, il batterista, e il bassista, sono quelli più improntati sul punk rock classico e l'hardcore melodico. E si sente. Personalmente, suonando anche con gli Ex-Otago, mi rendo conto invece che buona parte della musica pop, anche italiana, che sto ascoltando in questo periodo si è inevitabilmente riversata all'interno dell'album insieme alle influenze post-rock strumentali che mi accompagnano quotidianamente.
Insomma, per farla breve, c'è un po' di tutto. Sicuramente la nostra base, come sarà chiaro a chiunque ascolterà i nostri album, è l'hardcore moderno, quello di band come Propagandhi, Flatliners e co. Nella lista non mancano nemmeno band italiane come Il Buio, che ci gasano parecchio, e i Jet Market.
Visto che l'hai accennato tu stesso ne approfitto facendoti una domanda personale: come ti dividi, artisticamente, fra 1000 Degrees ed Ex-Otago? Il tuo lavoro in una band influenza quello che fai nell'altra?
Indubbiamente sì. E' una domanda che mi fanno in tanti, a volte me lo chiedo io stesso. Si parte dal fatto che i due generi sembrano diametralmente opposti, tuttavia se devo essere sincero dal mio punto di vista non mi accorgo di questa enorme diversità. Prima parlavamo di influenze musicali, bene: per dirne una Mauri e Simo (Ex-Otago) sono due fan sfegatati degli At the Drive In e, guarda caso, questo è uno dei gruppi che ha influenzato maggiormente i 1000 Degrees. Non li vedo come due compartimenti stagni anzi, molte sfumature che assimilo suonando con gli Otaghi le ripropongo in qualche arrangiamento con i 1000 Degrees plasmandole insieme agli altri e viceversa. In termini tecnici posso dirti per esempio che ultimamente con gli Ex-Otago uso molto di più la chitarra elettrica, magari pulita e con qualche delay qua e là, lo stesso accade con i 1000 Degrees dove ammortizzo un po' le sonorità utilizzando gli stessi suoni. La linea di confine, per dirla tutta, non esiste. Sono due realtà che convivono in me e, come puoi ben vedere, si confondono tra loro.
“Has Already Past”, vostro album d'esordio, è stato il biglietto da visita con cui vi siete presentati fuori dall'Italia. Parliamo un po' dei vostri inizi.
E' inutile dire che siamo molto affezionati a quell'album, si tratta di un progetto molto istintivo, non avevamo ancora scritto niente, non avevamo né date né tanto meno un'etichetta, perciò quello è il risultato di un magnifico salto nel vuoto, la nostra fase embrionale, con i suoi pregi e i suoi difetti. Abbiamo iniziato a scrivere pezzi senza prenderci troppo sul serio ed è uscito questo risultato interessante. C'era un potenziale, dopo di che si trattava di migliorare con la ragione e l'esperienza là dove l'immaturità ci aveva portati. E, dopo nemmeno un anno di lavoro, ecco “Back to a New Way”.
Infatti lo stile è più raffinato in “Back to the New Way”.
Precisamente. È un album molto più ragionato e calibrato, abbiamo preso quello che avevamo imparato dagli esordi e lo abbiamo rielaborato, ne andiamo molto fieri e siamo pienamente soddisfatti del risultato finale. Anche qui bisogna ammettere che la genesi è piuttosto spontanea e naturale, non c'è un concept alle spalle. Molti pezzi nascono da semplicissime jam session che abbiamo ripreso a fare con maggior frequenza da quando Gabri è entrato nei 1000 Degrees. Paradossalmente una parte dell'album è ancora meno preparata di “Has Already Past”, nel senso che si tratta di canzoni che noi abbiamo preparato a breve distanza dal tour europeo dell'anno scorso. Nonostante ciò i pezzi sono curati dall'inizio alla fine in maniera più organica, nascono dal caos della saletta ma passano attraverso una cura e un'esperienza che nell'album precedente non esisteva. Si parla di maturità artistica in questi termini.
Siete alla volta di un tour che inizierà la prossima settimana e toccherà molte città della Russia europea e del nord Europa. Prospettive?
Aggiungici anche che “non vediamo l'ora” (ride, ndr).
Ormai è quasi un anno che non saliamo sul palco e siamo davvero carichi e motivati per incendiare l'est Europa. Si tratta di una terra che ci accoglie in maniera indescrivibile, lì c'è una profonda cultura in termini di punk-rock e hardcore, c'è molta curiosità verso nuove realtà come possiamo essere noi e soprattutto abbiamo riscontrato un supporto che mai ci saremmo aspettati. Per rendere più chiara l'idea posso dirti che due giorni dopo l'anteprima ufficiale di “Back to a New Way” qui su RockIt, su VK (il noto “Facebook russo”) l'intero disco era già scaricabile. Non chiedermi come sia possibile perché non siamo ancora riusciti a capirlo (ride, ndr). Molte pagine di questo social network stanno spingendo il disco perciò le prospettive non possono che essere rosee al momento. Comunque è meglio non montarsi troppo e andare lì per suonare bene, il resto lo si vedrà al momento.
Non si tratta della prima volta che varcate il confine russo per suonare. Bisogna dire che in Europa i termini “Hardcore” e “Punk rock” si associano maggiormente a nazioni come la Germania e i Paesi scandinavi. Come diavolo vi è saltato in testa di fare il vostro primo tour in Russia? E ancora, come ci siete riusciti?
Diciamo che, soprattutto nella preparazione di questo secondo tour, ci stiamo rendendo conto di quanto la Russia sia più a portata di mano in termini di accordi con le agenzie, booking e quant'altro. Il tour della prossima settimana toccherà anche la Germania e organizzando quelle date abbiamo realizzato quanto i tedeschi siano davvero troppo “tedeschi” per il semplice fatto che per organizzare una data lì devi contattarli con tre, quattro mesi d'anticipo. Con la Russia è diverso, loro, per il tour dell'anno scorso, ci risposero alla prima mail qualche giorno dopo con una tabella di date già pronte. Nel giro di qualche settimana abbiamo organizzato l'intero tour. Sono molto più alla mano e molto più curiosi, scommettono di più sulle nuove generazioni. Conta anche il fatto che nella sola Russia europea, data la sua vastità, potresti organizzare un tour di un mese suonando una volta al giorno in città diverse. Poi, sembrerà paradossale, per noi è molto più facile trovare una data a San Pietroburgo piuttosto che in Italia.
Ad ogni modo la scelta di andare in Russia la prima volta è stata piuttosto casuale. Ian, il nostro vecchio tour manager, aveva contattato diverse agenzie di booking in giro per l'Europa, fra cui un paio anche in Russia. Alla fine i più rapidi ed entusiasti a rispondere furono loro e dunque abbiamo deciso di scommettere sull'est. Ci sembrava interessante e alla fine è andata bene.
Un anno fa: Brescia, concerto con i Pennywise. Credi che quella data in particolare abbia avuto un certo peso sulla preparazione di “Back to a New Way”?
Fare da spalla ai Pennywise indubbiamente è stato entusiasmante. Non trovo altre parole per descrivere quest'esperienza. Va da sé che l'entusiasmo di una persona, specie di un musicista alle prese con un nuovo album da scrivere, si riverbera su buona parte delle proprie azioni. Effettivamente è una domanda azzeccata perché obiettivamente fra Settembre ed Ottobre, il periodo immediatamente successivo alla data di Brescia, abbiamo scritto quelli che a mio avviso sono i pezzi chiave dell'album cioè: “Sayonara” (il singolo), “Back to a New Way” e “Losing Weight”. Ovviamente non è solo merito del concerto, magari non lo è proprio, però credo che per una somma di fattori ed intensi periodi d'ispirazione compositiva quel periodo sia stato fondamentale per l'album.
Che prospettive può avere il punk-rock in questo periodo storico?
Bella domanda. Sicuramente non sono rosee ma non voglio essere troppo disfattista. E' facile dire che “la scena è una merda”, “i locali chiudono”,”ci sono sempre meno date”, “la gente non va ai concerti, non compra i dischi” e via discorrendo, però in tutto questo bisognerebbe rimboccarsi le maniche. Purtroppo tante nuove leve non mi fanno ben sperare, anni fa c'erano molte più band, contest ecc, ora sta scemando tutto. Serve una forte spinta dal basso (parlando in termini di età anagrafica), servirebbe un ricambio generazionale più convinto e creativo. Quello che prevedo io nei prossimi anni è un periodo stazionario (se non precipita tutto ulteriormente) nella speranza che arrivi in fretta una ventata di aria fresca che riesca a scalzare la nostalgia e innovare la scena.
Qual è il freno dell'Italia in questo frangente? Il potenziale sembrerebbe esserci.
Sicuramente una delle lacune più grosse dell'Italia è quella di non avere, come dicevo prima, un ricambio generazionale degno di nota. E non si parla solo di band ma proprio di audience: l'anno scorso al Vans Spring Classic, dove suonarono i Millencolin, Varazze si riempì all'inverosimile di ragazzi da tutta Italia e addirittura dall'estero. Per quale motivo? Perché c'erano i Millencolin. Se facevi un salto nel pogo trovavi per lo più gente di trent'anni spinta dalla nostalgia che ricordava i tempi del liceo cantando “Penguins and Polar Bears” sotto al palco. Di nuove leve là sotto ce n'erano davvero poche. Uno dei problemi più grossi è senza dubbio questo, non ci sono ascoltatori nuovi, non c'è più la curiosità di andare ad un concerto per sentire nuovi sound e gruppi emergenti. Di conseguenza la scena stagna, non c'è ricambio e si riempiono i palazzetti solo per i Millencolin e gli Offspring. Ma fra vent'anni chi riempirà i palazzetti?
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L'articolo 1000 Degrees - Solo i trentenni vanno ai concerti punk di Federico Musso è apparso su Rockit.it il 2014-05-05 00:00:00
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