A seguire le migliori etichette italiane, come ad esempio la Band Panda Records, non si sbaglia mai. Anche quando ad uscire è solo un singolo, si può stare sicuri di trovare musica preziosa.
È esattamente quel che ci è successo qualche mese fa, quando abbiamo ascoltato per la prima volta "Dinghy" di Alek Hidell. Un gioiellino di elettronica e atmosfere afro, accompagnato da un video di famiglia dell'estate del '66 in Sardegna. Ci abbiamo scambiato quattro chiacchiere per sapere qualcosa in più su di lui, e sulle sue canzoni.
Non sei esattamente un debuttante alle prime armi, giusto? Eri parte del duo Everybody Tesla, con i quali hai iniziato a suonare nel 2010. Cinque anni dopo sei pronto per il tuo debutto solista, che ti ha portato per strade più dreamy, esotiche e psichedeliche. Da dove nasce l'ispirazione per i tuoi nuovi pezzi?
Circa due anni fa, mentre a Torino lavoravo ad alcuni pezzi dei Tesla mi son reso conto che la direzione che stavo prendendo era diversa. Pur essendo nato nell'86 sono cresciuto in una famiglia che ha avuto la sua gioventù, il suo momento di gloria, negli anni '70. Ricordo ancora con piacere il giorno in cui mio padre mi regalò "Harvest" di Neil Young e "Islands" dei King Crimson: avevo appena iniziato a suonare la chitarra e ci tenne a specificare che Islands mi sarebbe piaciuto più in là col tempo. Be' mi piacque subito! In casa dunque sono sempre girate quelle sonorità e mi ci sono affezionato. Ecco, due anni fa, frugando nelle schede del campionatore ho notato che i sample erano tutti figli di quelle cose: i rullanti secchi, i mellotron, le svisate di moog con il portamento a manetta. Sono partito da quei campioni per abbozzare i pezzi, col tempo ho iniziato a sovrapporci altre cose, da cori registrati nelle improvvisazioni con i coinquilini di Torino alle colonne sonore dei primi documentari sui popoli dell’Asia. Per i beat ho voluto qualcosa di meno plasticoso dei suoni della 808, alcuni kick, ad esempio son stati tamburelli giocattolo registrati in casa, filtrati e ricampionati, per altri ho buttato sezioni ritmiche intere nel sampler di Ableton per suonarle a ottave molto basse e ingrossarle con eco cortissimi. Per i pezzi avevo bisogno di una precisa strumentazione: synth orchestra, echo a nastro, filtri analogici e preamp. Per ottenere questo ho usato il buon vecchio metodo del baratto: usavo parte dello stipendio per comprare strumentazione di vario genere nei mercatini dell’usato, la sistemavo e barattavo in rete per avere quello che realmente mi interessava.
In questi due anni ho accumulato un sacco di materiale, sessioni, improvvisazioni. Ho fatto una cernita delle cose che mi piacevano di più e ho scelto una decina di tracce. Quello che è venuto fuori è un suono molto saturo e sporco, a volte rozzo ma è esattamente quello che stavo cercando.
Nelle tue produzioni si percepisce la fascinazione per l'afrobeat, che tra i produttori italiani degli ultimi anni è stata forse l'influenza maggiore. Cosa ti attira di quei tipi di ritmi e armonie?
Vinz dei Movie Star Junkies tempo fa mi passò una compilation afrobeat di gruppi quasi sconosciuti, qualche campione è stato subito buttato dentro l’SP e ci ho lavorato su. In realtà, nel quotidiano, ascolto pochissimo afrobeat. Sia chiaro, mi affascinano da sempre i suoni percussivi larghi di certi strumenti e i ritmi tribali strascicati ossessivi ma sono tutte cose a cui (forse per caso) sono arrivato con altri ascolti.
Per esempio in certe produzioni di Joe Meek ci sono alcune idee di suono che mi hanno proprio cambiato la scala di valori.
"Dinghy" è il pezzo più afro del disco ma i sample che usato in realtà derivano da gruppi della scena psichedelica iraniana degli anni '60.
Mi ha colpito molto il tuo immaginario: foto soleggiate ma sfocate, gente che sta attenta a non bucarsi i piedi sugli scogli, gambe nude, comitive estive. È un'atmosfera che viene dalla Sardegna?
Si tratta di Buggerru, un paese di ottocento anime nella costa ovest della Sardegna circondato da due monti sui lati e il mare davanti. Lì è nata la mia famiglia e lì vado ogni volta che riesco a tornare a casa.
Questa estate ho trovato alcuni filmati in super8 delle vacanze dal 66 al 77. Alcune persone che compaiono sono miei parenti, altre non le ho mai conosciute, quello che mi ha sorpreso nel vederli è stato il mood delle sequenze, rispecchia perfettamente quello del disco. Ho subito deciso di usarli per montare i video dei primi tre pezzi che anticipano il mio lavoro.
Ho letto che a breve farai un remix di un pezzo appena uscito di Matilde Davoli, "Dust". Come sarà? Con quale altro artista italiano ti piacerebbe collaborare?
Ci sto lavorando proprio in questi giorni, sta venendo su bene. Sono partito dalle tracce delle voci e ci ho semplicemente suonato sopra. La voce di Matilde è qualcosa di incredibile, mi piacerebbe moltissimo poter fare qualcosa da zero con lei!
Un artista italiano con cui vorrei collaborare è senza ombra di dubbio Franco Falsini dei Sensations’ Fix.
Nei prossimi mesi uscirà il tuo disco di debutto. Puoi anticiparci qualcosa?
Sarà un disco di 10 tracce tutte collegate tra loro, ma non so ancora in che modo uscirà e per chi. Appena avrò il master lo girerò a qualche etichetta e si vedrà. A quello che ho già detto prima posso solo aggiungere che l’artwork è stato curato da Neeva e Nicola Lotta che hanno fatto davvero un lavorone partendo da una mia foto.
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L'articolo Foto Profilo: Alek Hidell di Nur Al Habash è apparso su Rockit.it il 2015-04-22 10:47:00
COMMENTI (1)
Bravo figlio mio