Giovane Giovane ha una grande fortuna. O sfortuna, forse, dipende dai punti di vista: è molto amico del suo collega cantautore Bartolini. Così, ora che Giovane Giovane ha pubblicato il suo ultimo album "I figli degli altri", Bartolini ha pensato di mettersi in prima linea per spingere il disco – dove lui stesso ha partecipato, mettendo le chitarre in Gioielli – dell'amico, intervistandolo. Il risultato è un po' l'essenza di questo rapporto tra i due: una conversazione che mischia discorsi seri con il cazzeggio più assoluto, dove un inedito Bartolini versione intervistatore tenta varie volte di sputtanare amorevolmente l'amico Giovane Giovane. Ecco quello che si sono detti.
Bartolini: C’è un artista in particolare che ha detto di no a una collaborazione? Come l’hai presa?
Giovane Giovane: Sì, te. Te l’ho chiesto due o tre volte, negli ultimi due o tre anni, di scrivere un pezzo da zero insieme, ma per adesso niente da fare. Oltretutto non ho amicizie reali in quello che, per sintetizzare e facilità, chiameremo “giro”, quindi nessun nome noto, o riconoscibile: del 90% della roba che sento e potrebbe essermi accessibile non mi interessa niente, la maggior parte mi rompe proprio le palle. Fossi stato amico di qualcuno di grande, qualcuno che fa numeri, che mi entusiasma, avrei proposto collaborazione: ma conosco te, e ho dovuto chiedere a te. Mi interessa che vuoi sapere come l’ho presa quando hai rifiutato: ho pensato che sei un clown. Giuro. Ho pensato: ma guarda te questo clown.
B: Quanto ha influito il basket nella tua vita?
G: Ottima domanda. Percentuale realistica: 0%. Mi piacevano i giocatori, però, negli anni ’90 avevo a un certo punto mezza fissa per Michael Jordan e Dennis Rodman, proprio fascinazione estetica. Mi sembra che mio fratello avesse cappellino di Jordan, erano gli anni in cui in giro si vedeva molto brand Bulls.
B: A quanti anni hai iniziato a suonare la chitarra e perché?
G: Non ho ricordo chiaro ma mi sembra che alle medie non suonassi ancora, ipotizzo quindi in prima superiore. Il motivo: perché ce l’avevo in casa, ho sempre cantato fin da molto piccolo, in casa ascoltavamo musica e il percorso naturale era provare a farla. Mi ricordo pure che ci stavo dietro un sacco, mi fissai con questa storia che gli arpeggi fossero l’arte chitarristica elevata all’ennesima potenza, e infatti so far solo quelli. Poi io ho avuto grande tranva coi Guns, come sai, ero una specie di groupie a distanza di Slash, conta che ero proprio innamorato.
B: Ho visto da alcune storie che sei un grande fan di Dennis Rodman, puoi spiegarci meglio questa tua passione?
G: Verissimo, lo seguo, lo riempio di reaction, lo taggo, ho poster incredibile suo incorniciato. Da piccolo giocavo a NBA Live 96 – o forse 95 – e sceglievo i Bulls perché almeno potevo giocare con l’unico che aveva capelli strani, ossia lui.
B: Quali sono stati i 5 dischi fondamentali per la scrittura di sto disco?
G: Blonde e Channel Orange, di Frank Ocean. Nella scrittura di questo disco, del prossimo, in qualsiasi cosa, non c’è niente uscito negli ultimi 20 anni che a me piaccia di più. Swimming, di Mac Miller. BALLADS 1, di Joji. Songs, di Adrianne Lenker. La verità è che è stato fondamentale ascoltare un sacco di musica classica e di colonne sonore, che ascolto proprio quotidianamente.
B: Sappiamo che hai anche vissuto a Manchester, puoi spiegarmi meglio tua esperienza?
G: Mai stato a Manchester, ti dirò di più: mai stato in Inghilterra. So che però ci sei stato te, da lì la tua famosa hit, Manchester appunto. Stai usando questa intervista per promuovere le tue canzoni, voglio che tu sappia che l’ho capito dall’inizio, che era la tua intenzione. Quando dici “sappiamo” a chi ti riferisci? Quali sono le tue fonti?
B: Con chi hai lavorato alla produzione de I figli degli altri?
G: Con Valerio Bulla, che è al suo primo disco intero da produttore, ma da anni collabora con Sick Luke. È stato bello e semplice, da un certo punto di vista, perché siamo amici da prima di lavorare al disco. Zero frizioni, zero tensioni, Valerio ha una qualità super importante: è molto bravo a capire il mood di un pezzo ascoltandolo chitarra e voce, o piano e voce, e a rispettare quel mood fino alla fine.
B: Qual è stato il pezzo più faticoso?
G: Credo I figli degli altri, che dà il nome al disco. Mi sembra che sia l’unico pezzo sul quale siamo tornati indietro, a un certo punto della produzione, azzerando tutto e ripartendo dall’inizio. È l’unico nel quale avevamo mood chiaro, come per gli altri, ma non sapevamo da subito come renderlo. Ed è anche il pezzo che richiedeva più lavoro, senza entrare in questioni tecniche di produzione c’è dentro proprio un sacco di roba.
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L'articolo Amici, amici, e poi ti negano i featuring di Redazione è apparso su Rockit.it il 2022-03-28 16:00:00
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