Sbucando da via Vigevano sul ciotolato di via Corsico, a una cinquantina di metri e una ventina di locali dal corso del Naviglio, gli anni di piombo ti assalgono. Sarà la pioggerella del venerdì mattina milanese, la vecchia Fiat dedita al carica e scarica davanti al numero 12 o la lettura notturna di Figli della catastrofe. Sarà anche il sorriso sghembo e non del tutto affidabile che accompagna il "piacere, Andrea" con cui Andrea Laszlo De Simone si introduce.
Quei capelli, quei baffi e persino quel naso, quel cappotto e quella giacca sotto, il drummino in bocca, la custodia della chitarra che non può che contenere un mitra: in un attimo siamo sul set di una fiction sugli anni '70 (ehi guardà là, c'è Scamarcio). Un viaggio che il cantautore torinese interrompe all'istante, indulgendo in un cazzeggio che ha ben poco di ideologico.
Se siamo qua accanto a lui è perché il suo nuovo disco, Immensità, uscito da poche settimane per 42 Records, ci ha stregato. La sua parabola artistica, dalle botte sulla batteria nei Nadàr Solo al duo Anthony Laszlo, fino alle prime cose da solista, ha assunto negli anni connotati sempre più intriganti, e ora è arrivata questa suite che riempie il cuore. Insomma, il ragazzo ha qualcosa. Se non lo avete capito il piombo ce l'avete voi da qualche parte nei ventricoli.
Ci accomodiamo sugli sgabelli di Radio Raheem (nei cui locali sono scattate anche le fotografie di questo servizio, ad opera di Gabriele Mastrapasqua, ndr), dove tra poco presenterà il suo disco e annuncerà i live che, dopo la data di Roma, lo porteranno sul palco di Torino, Padova e del Serraglio di Milano tra il 22 e il 30 novembre. Accendiamo il registratore, come facevano le guardie.
Lascia indovinare cosa diceva il tuo oroscopo: periodo di grandi cambiamenti...
In effetti... Sto per diventare padre bis, e questa volta è una bambina. Sono straemozionato, e voglio dedicare un po' di tempo alla mia famiglia dopo queste fatiche. Motivo per cui farò solo quattro live di presentazione del disco: poi mi dovrò calare nella nuova realtà, con i suoi ritmi.
Ora non vorrei portare sfiga e forse guardo troppe serie tv da quattro soldi, ma se tua moglie ti scrive che il momento è arrivato proprio mentre sei sul palco...
Corro da lei, ovviamente, lo farei anche se fossi in ricevimento dal papa. In realtà ho fatto dei calcoli super scientifici per evitare il rischio che questo accada. Tipo le lune, quelle robe lì.
Hai fatto un disco assieme a un figlio o un figlio assieme a un disco?
Devo rispondere davvero?
Sì, con disinvoltura se riesci.
Diciamo che in generale non è per nulla semplice tenere assieme esigenze familiari e musica. Per me è meno complesso che per altri, perchè io mi faccio l'album da solo nella mia stanzetta: lo suono, lo registro e sono del tutto indipendente da orari ed esigenze altrui. E poi va detto che Immensità ha solo quattro pezzi.
Ecco, perchè?
Perché se avessi voluto fare un concept vero, di 12 canzoni, ci avrei messo un anno e mezzo. Avevo questa suite di 25 minuti in mente da tempo ed era il momento buono per buttarla fuori. In realtà avrei voluto fare un disco "vero" prima, ma ho fatto un figlio e questo ha cambiato un po' i piani.
E il disco quando esce?
Eh, si vedrà. Primo devo capire come funziona questa cosa di avere due figli e quanto tempo avrò ancora a disposizione. Il primo bambino è stata una rivoluzione straordinaria, che mi ha dato una gioia immensa. Ora ho la speranza, ma potrei anche dire la convinzione, che accadrà la stessa cosa. Io amo profondamente il concetto di balia, e fare figli è la balia più bella che ci sia.
Dopo Ecce Homo e Uomo Donna, Immensità. Sei passato dal particolare al generale, dal terreno al cosmico?
Ho allargato i confini, senz'altro. Dopo i primi due album avrei dovuto fare altri due concept, uno dal titolo Figlio e l'altro Padre: un mio discorso a un figlio, e un mio discorso a mio padre. E invece ho fatto prima Immensità, che vuole essere una riflessione sulla circolarità del tempo.
Che ora ci esporrai.
Quello che cerco di raccontare, probabilmente in maniera un po' ermetica, è la venuta al mondo dell'essere umano e il suo percorso, fatto di eventi dolorosi come il distacco e la fine, di esplorazione di se stessi, di smarrimento e poi di rinascita. Nel disco è rappresentata dalla canzone Conchiglie, che vuole suggellare l'importanza di quel cammino, che comprende anche parecchie sofferenze necessarie.
C'entra il momento che l'umanità sta vivendo nel fatto che tu faccia pensieri così decadenti?
Sicuramente sì. Ma c'entra anche l'età che ho, e il fatto che fare figli ti porta a strutturare mentalmente degli antidoti. Viviamo in un mondo in cui siamo martellati della percezione collettiva del mondo stesso, che si racconta di continuo tramite i mezzi di comunicazione moderni. Siamo soggetti a una serie di sollecitazioni tali per cui, ciascuno nel proprio ambito, si finisce per essere reazionari, per chiudersi in una bolla.
Questo disco è una bolla?
Eccome. Mentre lo facevo cercavo di proteggermi, era un incrocio tra una consolazione e una custodia. Questo disco parla da dentro la bolla e ti dice "stai tranquillo, le cose vanno così". La nostra non è una lotta, al più una resistenza passiva: le tappe della vita sono e rimangono la nascita, la riproduzione e la morte.
A te, come a me, ne manca solo una.
Ma ci sto navigando col vento in poppa verso l'ultima tappa (ride)! Voglio solo dire che non è che finisca male per davvero la vicenda dell'uomo, o almeno non più di quello che è già previsto in partenza.
E dove sta l'immensità?
Proprio qua, in mezzo a noi. Ho sempre l'immagine del primo astronauta in orbita, che guarda la Terra da lontano e ne ha una percezione del tutto diversa dalla nostra. Grazie alla sua esperienza lui ha potuto relativizzare l'importanza del percorso umano, contestualizzarlo. Noi siamo nell'immensità, anche se viviamo nel nostro piccolo assoluto in cui diamo tanta importanza alle cose che ci capitano. Bla, bla, bla.
Credi in Dio?
Proprio no.
L'immagine delle conchiglie come ti è venuta?
Non lo so, io faccio la musica e ci improvviso sopra delle parole. Per me le conchiglie rappresentano la balia, il fatto che per quanto noi ci possiamo muovere e affannare il tempo scorre lo stesso e le cose capitano al di là della nostra volontà. Si può lottare per tante cose, ed è giusto farlo, ma non si può lottare contro certe cose. Se no si chiama adolescenza.
Di Uomo Donna ti eri augurato finisse nello scaffale delle "nuove proposte". Umanità dove deve andare?
Su Spotify. In una playlist di rap francese.
Ti hanno detto che sei un mix tra Verdena, Battisti, Modugno e Radiohead. Non mi è del tutto chiaro come tu abbia fatto a metterli tutti quanti assieme.
Figurati a me, che non conosco manco una cover. Se uno mi dice che somiglio a qualcuno avrà sicuramente ragione, perché io probabilmente quell'artista non l'ho mai ascoltato e quindi non posso saperlo.
Non ci credo che non ascolti musica.
Non ho mai comprato un disco in vita mia. Però ricordo perfettamente il giorno in cui mia madre tornò a casa con Kid A dei Radiohead, lo mise su e io mi misi a piangere. Pensai "o mio Dio, ma cos'è questa cosa qua?".
Come sei finito a fare il musicista, allora?
Avevo un fratello che suonava (il cantante dei Nadàr Solo, suo ex gruppo, di cinque anni più grande ndr) e mi "costringeva" a suonare e io per questo ancora lo ringrazio. Così ho suonato la batteria con lui per 14 anni, anche se a me è sempre piaciuto giocare a pallone e cucinare, tanto che faccio un ottimo coniglio in agrodolce. Anche dopo Uomo Donna io non volevo fare il musicista, solo che Daniele (suo manager e bassista, ndr) ha insistito tanto e alla fine sono arrivato qua. Io l'ho sempre vissuto come un hobby, un gioco, e non ritengo nemmeno di essere particolarmente bravo.
Ora senti che stai facendo quello che volevi fare nella vita?
No, cioè di certo non ho mai sviluppato quella passione che mi fa dire "wow, sono un musicista". C'è una cosa però che mi fa godere da matti: la parte produttiva del mio lavoro. Amo registrare i dischi, per me è un'isola felice. E penso che tutti i riferimenti cui mi associano ogni volta siano legati al fatto che io produco la mia musica da solo, con grande empirismo e affetto nei confronti di ciò che faccio. Alla fine vengono queste canzoni e questi dischi a totale gusto personale, anche sgangherati tecnicamente, ed è quel tipo di libertà che c'era negli anni '60 e '70. Per questo, forse, mi dicono che somiglio a questo o quell'altro.
Quindi non c'è l'algoritmo De Simone?
Se c'era, si è rotto. Io faccio musica infantile, ma trovo assurdo che ci sia qualcuno, e oggi sono tanti, che ritengono esista un modo giusto di esprimersi e lo segua alla lettera per arrivare a un prodotto che funzioni.
Ti abbiamo fatto una recensione mega positiva a Immensità. Leggo il primo commento e ti si imputa di guardare però troppo al passato. Come rispondi?
Trovo affascinante che ci siano persone che temporalizzano l'espressione. I bambini piccoli vedono il futuro come qualcosa di radicalmente nuovo, che non c'è ancora. In realtà tutto è circolazione di saperi, condivisione. I lampioni per strada li spegniamo perché sono di un'epoca passata? La musica o trova un'ottava nota o non ha più senso di esistere? Forse che Mozart è il passato della musica? Passano le persone, non la musica e non Mozart. Stiamo parlando di nulla.
Dal vivo farai musica vecchia?
Per qualcuno immagino proprio di sì. Ma per me sarà solo una grande gioia, perché saremo in nove elementi sul palco e avrò con me gli archi e i fiati. Il mio sogno è scrivere musiche per un'orchesta. Il che fa di me un anziano, indubbiamente.
Hai suonato in più di un gruppo. Qual è la differenza principale rispetto a un progetto solista?
La differenza è enorme. Nelle esperienze collettive ci sono dinamiche davvero spiacevoli, che inneggiano alla democrazia, ma sono deformate dalla dittatura. Il peso e la responsabilità di chi ha scritto una canzone è superiore a chi sta solo suonando gli strumenti, perché è lui che dà la visione d'insieme a ciò che si sta facendo. Se c'è più gente che scrive le canzoni, invece, si rischia di far perdere coerenza al progetto. Quindi si litiga o si finisce frustrati. Nei progetti solisti non può succedere, perché c'è un'adesione totale a ciò che si fa. Una tacita dittatura con se stessi.
A chi devi i tuoi baffi?
A mio zio Antonio, un personaggio molto bizzarro.
Come mai sei vestito come in un film di Michele Placido?
Ho solo iniziato a vestirmi da adulto. Quando fai un mestiere pubblico è meglio che ti svegli per tempo e metti da parte i pantaloni strappati, se no si crea un'affezione nei confronti dell'immagine di te da giovane, che poi tu riproduci nel tempo. E nel giro di un attimo sei solo imbarazzante.
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L'articolo Andrea Laszlo De Simone: "La mia musica parla da dentro una bolla, è una consolazione" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2019-11-23 00:32:00
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