Qualche tempo fa Pluggers – etichetta che ha nel suo roster Massimo Pericolo e Bigmama – aveva organizzato a Milano un incontro dal titolo Cosa bolle in pentola. Una cosa molto figa, con artisti della label che presentavano inediti dal vivo, altri che si raccontavano un po', qualcuno che faceva ascoltare il materiale a cui ancora stava lavorando. Se a chiudere la serata arrivava, attesissimo, l'annuncio dell'imminente nuovo disco di Alessandro Vanetti aka Massimo Pericolo, era l'apertura dell'evento a catturare la mia attenzione.
Sul palchetto di Dopo? – una grande officina nel Sud di Milano divenuta spazio culturale – saliva una ragazza giovane, capelli ricci neri e chitarra elettrica bianca e azzurra in braccio. "È la sua prima uscita, questi pezzi non li ha ancora mai sentiti nessuno", dice nel presentarla Olly, fondatore di Pluggers e anima del progetto assieme a Koki, che da lì a poco sarebbe stato protagonista di un infiammato djset cumbia.
In una dozzina di emozionati minuti la giovane, nome d'arte Anna and Vulkan, cambiava registro più volte, passando dal funky a brani più cantautorali, una ventata di disco e attitudine jazz. Su questi suoni si innestava il suo cantato in napoletano, a rendere il tutto molto fresco, attuale. E davvero notevole.
Catturato, mi sono infomato su Anna. Nata in provincia di Napoli, il vulcano è chiaramente il Vesuvio, la prima cosa che vedeva ogni mattina dala finestra di casa. Suona da quand'era piccola, prima la batteria, poi anche chitarra e voce. Inizia a prodursi, e si impratichisce anche con basso e tastiere. È una grande appassionata di musica italiana dei decenni passati. Al momento di scegliere l'università lascia Napoli, poi lascia pure l'Italia. Ed è proprio in questa dimensione di "esodo" che il suo progetto solista prende forma, grazie alla "saudade" del golfo e a una mail con risposta immediata.
Visto che venerdì è uscito il suo primo singolo, molto bello, dal titolo Comm'è, vi riportiamo la chiacchiera che abbiamo fatto con lei.
Ami Napoli, ma vivi a Vienna. Come ci sei finita?
Ho sempre avuto difficoltà a starmene ferma, e avevo voglia di lasciare l’Italia per un po’. Ho studiato a Trieste e da lì a Vienna il passo è stato abbastanza corto. Mi sono laureata alla Scuola Interpreti, ma ero abbastanza confusa su cosa volessi fare, e Vienna si è presentata con la possibilità di esplorare un mondo che ho sempre sfiorato e che è diventato il mio lavoro: quello della grafica e del design.
E come ti trovi?
Dopo pochi mesi dal mio arrivo hanno chiuso tutto per la pandemia, sento ancora di non aver avuto la possibilità di familiarizzare con la città in maniera organica. È una città davvero bella e tutto funziona perfettamente (nel bene e nel male). Però non riesco a sentirla come mia, e il clash culturale è davvero forte. Riesco a tornare a Napoli abbastanza spesso, ne ho bisogno. Mi piace tanto questa pubblicità in aeroporto che dice “Finalmente a casa”.
Come riesci a lavorare a distanza con l'Italia?
Credo che quando c’è comunicazione la distanza non rappresenta un grosso problema. È a livello sentimentale che è frustrante: quando la tua famiglia è lontana e i tuoi amici sono sparsi per il mondo. In più, credo che personalmente la distanza mi abbia dato prospettiva. Il mio rapporto con la mia città, con Napoli, si è trasformato diverse volte da quando sono andata via. Ed è di questo che parla Comm’è. È proprio vero: sai cosa lasci, non sai cosa trovi.
Com'è entrata la musica nella tua vita?
La mia è il tipo di famiglia che non vorresti ti vivesse accanto… Mio padre è un musicista e compositore di professione, mio fratello suona il violino, mia mamma ha sempre messo e cantato musica anni '80 a palla. Il mio primo ricordo legato alla musica è il tentativo di mio padre di insegnarmi, da piccola, My Heart Will Go On al pianoforte. Non penso ne fossi troppo entusiasta, ma qualche anno dopo ho iniziato a desiderare di suonare la batteria, che era più o meno l’unico strumento assente in casa. Lui si è subito mosso per farmene avere una, era rossa, di una marca semi-sconosciuta, ed è stato amore a prima vista.
È a quel punto che hai messo su un gruppo?
Sì. Ho messo su un gruppetto che, dopo aver subito varie trasformazioni, è diventato Sonder. Abbiamo pubblicato un EP, Come ti senti. Quella è stata la mia prima esperienza come produzione, era un armeggiare collettivo ma è uscito fuori meglio di quanto pensassimo. A Vienna ora suono la batteria in un progetto locale.
Come definiresti il tuo rapporto con la musica?
Particolare. Se mi paragono a mio fratello, che ha iniziato a studiare sin da piccolo e ora è al conservatorio, il mio è più un approccio di pancia e decisamente meno metodico, un po’ come per tutto. Mi vergogno abbastanza, ma non so leggere la musica. Però sto provando a rimediare. Ho un buon orecchio e faccio musica in maniera molto istintiva, quasi come se causa-effetto fossero inverse, ma sicuramente una padronanza diversa renderebbe alcune cose più semplici e più solide. In ogni caso è il modo più efficace e naturale per me per sentirmi ed entrare nella mia dimensione.
C'è parecchio Pino Daniele, anche citato, nella tua musica, ci sono sicuramente i Nu Genea (anche nella copertina del pezzo). Quali sono i tuoi ascolti?
I dischi di Pino Daniele sono sempre stati i protagonisti dei viaggi in auto da piccola, insieme a Lucio Dalla. Da quando sono a Vienna, sarà per nostalgia, ho iniziato ad ascoltare un sacco di musica italiana, specialmente dei decenni scorsi, apprezzando particolarmente funk psichedelico e italodisco fino ad arrivare ai Nu Genea, che mi piacciono un sacco. E Liberato è nelle mie playlist da quando esiste. Nello stesso periodo ascoltavo molto gruppi come i Khruangbin e gli Altın Gün (una band turca che ha abbastanza seguito in Austria), mi piacciono le loro sonorità trasportanti. E poi un sacco di musica in lingua francese e spagnola.
Che ne pensi di questo "napolismo", dilagante nella musica e non solo?
Credo che Napoli stia avendo la spinta che si merita. Si è parlato solo dei suoi problemi per troppo tempo, spesso in maniera ignorante. Ma sono felice che si stia iniziando a prendere sempre più consapevolezza dell’anti-meridionalismo (anche interiorizzato). A Napoli c’è una creatività instancabile in tutti i campi, non solo in quello della musica. Una voglia di creare smaniosa, e c’è sempre stata. Solo che il mondo adesso se ne sta accorgendo. E più si espande, più si crea un ambiente che invita chiunque a partecipare a questa grande festa.
Hai trovato etichetta, Pluggers, con una mail. Com'è andata?
A marzo di quest’anno, dopo mesi in cui non riuscivo a trovare la giusta dimensione, ho iniziato a scrivere e produrre per due settimane di fila. Ho scritto Comm’è di getto e mi ha dato fiducia, mi piaceva come suonava e mi sembrava si sposasse bene con altri brani più vecchi che avevo nel cassetto. Ho deciso di provare a mandare una demo di quattro brani a qualche etichetta. Non sapevo (e neppure ora lo so) come ci si muove in questo ambito, né pensavo che le email si leggessero ancora. Pluggers l’ho scoperta per caso su Instagram e da designer mi ha affascinato un sacco la loro identità visuale basata sul Comic Sans. Dopo aver mandato la demo mi hanno risposto quasi subito, e io ero felicissima. Olly e Koki sono due persone estremamente genuine, e sanno metterti a tuo agio. Sono rimasta colpita dalla loro personalità, e dalla loro visione: non sono persone che si impongono, ma anzi cercano di mantenere l’autenticità dei progetti. Ti guidano, ti consigliano ma lasciano tanta libertà. Comunicano in maniera trasparente, e questa secondo me è una cosa rara.
Che vuoi fare da grande?
La musica.
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L'articolo Con Anna and Vulkan Napoli ha una nuova affascinante voce di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2023-11-20 12:06:00
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