Roma sembra essere ancora quella degli imperatori che si accoltellano, è difficile farsi spazio, e peggio ancora tirare su serate che non siano con i soliti nomi. Ma c'è fermento, ci sono promoter che puntano a far tornare i suoni più deep e acid. Ayarcana ci sta crescendo in mezzo. E se sei pieno di talento e hai pochi anni sulle spalle è il momento migliore. Una piccola/grande testa pensante che vuole far riversare il disagio dell'hardcore nella techno più oscura. Marcello Farno l'ha intervistato.
Sei andato a vedere Lone ieri sera?
No, perché lavoravo e poi avevo da prepararmi la serata, che stasera (sabato 13 Luglio, nda) ho l'apertura a Space Dimension Controller, e dato che non è che c'entri molto con lui volevo pensare il set per bene.
Non mi dirai che sei uno di quelli che preferisce stare a smanettare a casa piuttosto che uscire.
Ma no dai. In realtà sto in mezzo, tra l'impazzire a casa davanti al computer fino alle 4 e l'uscire e stare fuori due giorni, sai com'è.
A Roma succede un sacco anche ora che è estate?
Guarda, io preferisco di gran lunga l'inverno. Ci sono meno cose, ma molto più fighe. D'estate nei posti tutti fanno serate, ti ci ritrovi giusto per caso, ci finisci. D'inverno ci vai. Punto.
So che negli ultimi due-tre anni la club culture lì si è mossa un sacco.
Assolutamente sì. La cosa figa è soprattutto la ricerca che c'è negli artisti da chiamare. Nell'ultimo anno quasi tutte le organizzazioni, penso al Rashomon con Others ad esempio, hanno avuto una direzione artistica da paura, con coraggio, andando spesso a perderci purtroppo. Perché poi se dobbiamo parlare di dove la gente va a ballare è un po' triste la cosa. La maggior parte va appresso ai marchi, e rimaniamo pochi quelli che usciamo con la voglia matta proprio di andare a sentire qualcuno di serio suonare, almeno nel giro club eh.
È questo che manca per fare il salto e arrivare ai livelli europei?
Il discorso è che in Italia non c'è un vero e proprio movimento, come a Berlino o piuttosto che a Londra o piuttosto che altrove in Europa. Ma non c'è perché secondo me la gente tende a rilassarsi su quello che gli dai, ad accontentarsi, non ha carattere, personalità. Quindi non va a cercare altro. Poi il nostro è un paese pop per eccellenza, la canzonetta è italiana, quindi le cose facili a livello musicale piacciono di più. Non siamo visionari. Prendi lo stesso clubbing, la sala adesso la riempi solo con la dubstep, l'hip hop e gli eventi con Marco Carola e Carl Cox. Se fai Blawan, Karenn o Joy Orbison probabilmente buchi. A meno che tu non abbia una forte rete di pr, di promoter. Se l'organizzazione che porta tanta gente inizia a fa' cultura allora lì hai vinto. Però lo fa solo chi se lo può permettere. E la gente continuerà a vedere chi la fa una cosa, piuttosto che cos'è.
Onesto: tu come te la senti addosso Roma?
Ti dico la verità, mi veste abbastanza stretta. Perché ci finisci per fare le cose solo se conosci qualcuno, se sei in un certo giro, e non per valore artistico, o quantomeno è una cosa molto difficile. Sai com'è, a Roma gli imperatori si sono uccisi a vicenda, non hanno mai fatto un impero. Mi piace Roma, mi piace fare le cose a Roma, però non è che ci sia tutto 'sto spirito collaborativo, è piuttosto 'na guerra, ci sono spesso faide tra organizzazioni. E questo porta ad avere paura di quello che sa fare di più, piuttosto che pensare a lanciarti ti tirano indietro.
Ma tu c'hai 24 anni in fin dei conti. Vai fuori, no?
In effetti c'è Londra che mi attira un sacco, che poi è la patria della scena dalla quale vengo io. Però sono stato anche un mese fa a Berlino e l'ho trovata fighissima, con un hype pazzesco, gira un sacco di musica, collaborano tutti. Mi piacerebbe andare a vivere lì. Però per ora cerco di continuare qualcosa qui in Italia, poi magari mi si aprono porte e vado subito su. È ancora tutto da scrivere.
Facciamo esercizio di memoria. Cosa ascoltavi quando ti sei detto adesso mi butto dentro a produrre pure io?
In realtà io è da quando avevo 8 anni che mia madre mi ha un messo un casino di strumenti in mano, quindi con la musica ci sono proprio cresciuto. Poi, quando ancora stavo a Pescara, per un periodo ho suonato dentro questo gruppo che faceva post-metal, alla Tool. Io vengo da quel suono lì quindi, Isis, Neurosis, l'industrial, il post-hardcore. Le uniche cose di elettronica che mi piacevano erano le robe della Warp. Poi sono venuto a Roma a studiare, ho iniziato a lavorare per quest'organizzazione, la Deepsession, che faceva roba electro, fidget, ed è successo che una sera avevamo organizzato la Night Slugs, erano venuti a suonare L-Vis 1990's e Bok Bok, e il giorno dopo quando dovevano ripartire era successo tutto il casino del vulcano islandese (l'eruzione dell'Eyjafjöll nel 2010, nda), coi voli cancellati in tutta Europa, e Bok Bok dovette rimanere a casa mia. Il giorno dopo l'ho visto lavorare, mi ha affascinato, mi sono fatto passare dei campioni, delle tracce, e da lì mi si è aperto tutto un mondo e ho iniziato a produrre, dal grime alla UK, alla dubstep.
Adesso pare che ti sia più incattivito, è tutto diventato più scuro.
In realtà è stata abbastanza inconscia come cosa. Sono partito da quel tipo di suono perché era quello che in quel momento lì mi circondava, ascoltavo. Mi è servito come training autogeno per arrivare al modus operandi di adesso. È come se ora fossero tornati a galla tutti i dettagli scuri che mi hanno cresciuto, tutti i fantasmi, sono tornati a farsi sentire.
Anche i synth, che prima erano molto velluto, nell'ultima release sono proprio ignoranti.
Si, questo è vero. Ma ti ripeto, è un discorso generale, tanto è vero che ero anche tentato di cambiare moniker a un certo punto. L'attitudine che ho ora è molto più UK, vicina a questo nuovo suono techno che sta tornando a farsi sentire. Il bello è che questa ondata, io la chiamo industrial pesante, è come se m'avesse fatto risalire i trip del '92 (ride, nda). Mi ha fatto tornare a casa in un certo senso, a quel background che ti dicevo prima.
Come ti accorgi quando un pezzo è finito?
Un pezzo finisce quando lo risenti tutto ed è come ce l'avevi in testa. A parte che non è mai finito secondo me, non c'è mai una fine. Poi ovviamente una persona si risente una traccia intera, gli gira come girava in testa e buona la prima. Soprattutto nelle produzioni house, techno, dove non ci sono grossissime pretese, non stai facendo un pezzo IDM, una volta che lo senti, gira, ci sono tutti gli stacchi, i suoni, è finito e lo mixi. Ti aspettavi ti dicessi qualcosa di più romantico, eh?
Ma no dai, alla fin fine è romanticismo nero. Qual è invece la parte più importante nel processo di composizione?
Le drum devono essere serie, quando mixo le drum è la parte più importante, nella quale mi concentro di più. Ma forse ancora di più quando assemblo i suoni della drum, che poi è la cosa dalla quale parto. Lì vai a determinare tutta la traccia. Quando accordi la batteria, come la accordi, perché poi ti andrà a segnare tutto il pezzo, tutto il mood.
Sulla tua pagina Facebook citi Burroughs. Volevo capire se c'era anche qualche riferimento extramusicale dietro Ayarcana, qualcosa di culturale, di visivo
Burroughs è uno dei miei pensatori preferiti, legato a tutto quel filone anche di rock alternativo che ascoltavo, dai Nirvana ai Sonic Youth. Tutto il discorso dell'alienazione in letteratura mi interessa un sacco. Perchè poi si lega a quel concetto lì, quella visione che ho, di riuscire a portare nella techno tutto il malessere, il disagio proprio di un suono più hardcore. Per le cose visive in realtà vorrei pensarci bene quando magari uscirà l'album, modellare una certa estetica sulla base di un concept, vediamo
Quindi c'hai della roba nuova pronta?
Si, ora ci sono in lavorazione più cose, un EP in 12” sempre su una label italiana per l'inizio dell'anno prossimo, e poi quest'altro progetto, Idèe Fixe, assieme a Valerio Zerø, resident e fondatore della serata Rebel Rebel a Roma, col quale siamo appena usciti su Concrete Records. La musica è sempre oscurissima, meno techno, più deep. Abbiamo ricevuto feedback pure da Nina Kraviz e altri artisti, pare stia andando bene.
Chi apprezzi in Italia?
Meze, che è un ragazzo di Roma uscito su Hidden Hawaii, etichetta berlinese fortissima che fa tutta roba techno stranissima, super sperimentale; Misery Peat, di Pescara, uscito sulla label di Altered Natives, suonato da Oneman, da Loefah, è stato contattato da Mary Anne Hobbs per la BBC, però ora si è fermato perchè è un cretino; e poi ci sono Massimo Di Lena, NT89, gli Aucan...
...hai pure la volonta di implentare il live set di macchine e strumenti col tempo?
Si, ma non come Ayarcana. E una cosa che so fare, potrei fare, e infatti stavo pensando di tirar su una band post-hardcore, post-rock. A me mi è rimasta sta fissa, l'avrai capito.
---
L'articolo Ayarcana - Technocrazia di Marcello Farno è apparso su Rockit.it il 2013-07-22 16:16:40
COMMENTI