"Un disco suonato e suonabile, poco di moda ma che resterà per me come una delle cose più belle di cui andare fieri": così racconta Bianco il suo nuovo album "Quattro" (in uscita oggi per Etichetta INRI), a tre anni dal precedente "Guardare per aria". Quarto lavoro in studio di un artista delicato e ispirato, che ha sentito il bisogno di staccarsi dai propri pensieri per guardarsi dentro. E ritrovarsi.
Da quest'analisi introspettiva è nato un album denso, fitto di emozioni e immagini. Un disco che parla di amicizia. Amicizia tra due uomini, tra uomo e donna, tra due amanti, tra una donna e un barbagianni, tra madre e figlia e non solo. E ripercorre le tappe della sua vita, intrecciata a quella di chi gli è accanto. Scritto sull'isola di Ortigia e registrato in una sala di 200 metri quadrati piena di strumenti e "di aria che suona forte nel disco", l'album è stato anticipato dal singolo "Felice" a novembre e da "30 40 50", che Alberto ha suonato live nella redazione di Rockit quando è passato a trovarci. E ci ha raccontato le cose belle successe in questi 3 anni.
Dato il primo singolo che a novembre ha anticipato l’uscita di “Quattro” una domanda sembra d’obbligo: “Sei felice?”.
Assolutamente sì. Quando si inizia un percorso di un nuovo disco è sempre un momento ricco di emozioni positive.
"Quattro" è pieno di riflessioni, sentimenti e immagini. Come un gomitolo da districare, ricco di domande a cui rispondere, molto lontano da “Guardare per aria”. Quanto ti senti cambiato a livello musicale?
A livello musicale parecchio, con una precisa intenzione. Il mio gusto musicale è molto ampio, un range molto aperto. In ogni disco mi piace approfondire una certa parte dei miei ascolti, del mio gusto. Mentre in "Quattro" quello che mi andava di fare era proprio non darsi un genere o delle regole, ma di esplorare tutto lo spettro sonoro che piace a me e alle persone che mi hanno dato una mano a costruire il disco. Per cui c’è stata una crescita ma è cambiata soprattutto l’intenzione iniziale, l’incipit da cui siamo partiti. Questa la grande differenza.
Prima di analizzare il disco, vorrei che ci raccontassi della copertina. Ci sei tu dal barbiere durante uno shampoo, coi capelli pieni di schiuma. Un’immagine che mi ha fatto pensare al “rinfrescarsi le idee”. Come l’avete pensata e come si rapporta al concept del disco?
La copertina ha infatti questo senso anche se l’idea iniziale era quella di un’immagine da legare alla sensazione che vorrei che l’ascoltatore provasse quando mette su il disco. Il momento dal parrucchiere che ti lava i capelli è un momento rilassante, di goduria vera. E quindi visto che non potevo mettere immagini pornografiche in copertina (ride) mi è venuta in mente quest’idea del massaggio della testa con l’acqua calda.
I brani sono 11, per lo più nati a marzo 2017 a Ortigia. Qual è stata la genesi di queste canzoni e quali secondo te rappresentano meglio l’intero album?
Sicuramente "In un attimo", "Padre", "30 40 50", "Ultimo chilometro" e anche "Fiat", perché sono quelle che più esprimono quello che mi andava di raccontare e cioè un dialogo con dei miei amici. Volevo che ogni canzone fosse come una lettera a un amico. A Ortigia quel momento solitario mi è servito per allontanarmi da una certa abitudine, da delle cose fisse che succedono tutti i giorni e da quelle persone che dai per scontate. Solo così capisci che di scontato non c’è nulla, perché basta allontanarsi un attimo e un sacco di equilibri saltano.
Un rompere la routine positivo?
Assolutamente. Un modo anche per togliere l'attenzione da me stesso e concentrarmi sulle persone a cui voglio bene, quelle che ammiro e adoro. Con la lontananza mi è venuto automatico raccontare gli altri o meglio la mia visione della loro vita, della loro esistenza.
"Quattro" parla di amicizia ma anche della tua crescita. Di giocare a fare il grande, della bellezza di certi momenti e anche della voglia di distacco dai propri pensieri. Nel primo brano "30 40 50" parli anche del ricordarsi chi si è. Qual è quindi il significato di questo brano e, soprattutto, ti sei ritrovato?
"30 40 50" è a livello di concetto quello più legato al disco precedente, il primo vero singolo del disco: mi sembrava un bel modo per legare le fasi. La canzone arriva da una riflessione, nata in una di quelle classiche domeniche mattina in furgone di rientro dalla data. Avevo quest’immagine del tramonto, del sole che ci mette un secondo a sparire. Era qualcosa che fino ad allora non avevo mai notato. Quando arrivi all’età adulta è un attimo che ti succedono le cose: ho molti più ricordi di me da bambino fino ai 18 anni. Dai 20 anni ad adesso è tutta una roba velocissima. Questo è il concetto: cercare di rallentare. Chi vuole che vada più in fretta lo faccia ma chi vuole deve potersi fermare per ricordarsi chi è. Magari molti pensano tu sia una persona molto buona, senza fantasmi e invece poi ti rendi conto che come tutti gli altri ce li hai anche tu.
In “Ultimo chilometro” canti di “fare molta attenzione a chi ti dice ti voglio bene”. Ancora ne “La persona innamorata” descrivi una donna e concludi con “L’amore non ti innalza ti radica a terra”. Quindi nella concezione dell’amore di Bianco di oggi non c’è più voglia di idealizzare e “Guardare per aria”?
(ride) In quelle due canzoni parlo di due persone completamente diverse. Il mio concetto di amore e innamoramento si è evoluto stando tanti anni insieme a una persona. Le cose cambiano. Alcune in meglio, altre inevitabilmente mutano l’idea dell’amore.
“In un attimo” è una bellissima ballad armoniosa, buon esempio della voglia di costruire un disco suonato e suonabile. Nel testo canti “Le crisi servono a pensare, la soluzione è camminare e in un attimo passerà tutto”. Un vero e proprio elogio della pazienza?
Questo pezzo in particolare è dedicato a un mio amico che ha avuto problemi di dipendenza da sostanze. E il ritornello mi sembrava, in maniera molto banale e semplice, dato che si tratta di discorsi complicati da affrontare, un buon modo per tradurre questo suo percorso durato più anni. Quello che ho capito è che non bisogna aver fretta perché più lasci andare le cose più si risolvono da sole. Camminare è il senso di non stare molto a ragionare su come risolvere le cose. E poi la frase mi è venuta in mente perché in quel periodo mi avevano ritirato la patente (ride) quindi la soluzione era banalmente proprio camminare.
In un’intervista del 2015 per Rockit raccontasti che ti sentivi più parte della scena torinese che di quella italiana. Tu, Levante, Cosmo, Willie Peyote, siete tra gli esempi più rappresentativi di questo scenario. Com’è farne parte e soprattutto se e quali sinergie stanno nascendo a livello di suoni? Potremmo parlare di una scena vera e propria?
Questo è proprio un discorso che noi musicisti torinesi stiamo affrontando in questi giorni, perché stiamo vedendo che la scena romana sta crescendo in maniera velocissima, sia perché alla gente piace quello che stanno facendo ma anche perché c’è un senso di appartenenza. Come se fossero tutti di una stessa famiglia, che è una roba che fino a due-tre anni fa era molto forte. Poi un pochino ci siamo allontanati tutti quanti perché, combinazione, ognuno aveva i propri progetti. Spero che sia solo un effetto elastico e ritorneremo a rappresentare la nuova scena torinese. E dico nuova perché a Torino c’è sempre stata una scena che ha fatto la storia della musica italiana, tipo Africa Unite, Subsonica o Linea 77 che hanno scritto una pagina importante. Poi c’è stato un buco, non perché non ci fossero musicisti in città ma semplicemente perché se ne parlava meno, fino alla bomba Levante che ha riportato Torino sui giornali di musica. Tutti insieme abbiamo cercato di sostenerla il più possibile quando questo successo le è esploso tra le mani col primo pezzo e abbiamo subito cercato di crearle una band per farla suonare dal vivo perché lei non ne aveva una. Si è creata così la nuova scena torinese. E torneremo! Più incazzati di prima (ride).
Hai citato anche il cantautorato romano prima. Dal 2013 ti sei avvicinato anche a Niccolò Fabi con cui hai instaurato un vero e proprio sodalizio. Com’è stato condividere con Niccolò la celebrazione del suo ventennale? Questo ti ha portato a fare delle riflessioni sulla direzione che vorresti dare alla tua carriera artistica?
Festeggiare con lui il ventennale è stata un’emozione molto forte perché era una vera e propria festa. Tutti erano lì per celebrare quel momento. Non Niccolò in sé ma quello che lui rappresenta da parecchi anni. La cosa più figa è stata vedere le varie epoche di Niccolò, i vari suoni con i musicisti tutti sullo stesso palco e tutti felicissimi di essere lì. E anche il pubblico è stato meraviglioso. Per quanto riguarda la mia direzione artistica dal punto di vista musicale, prettamente tecnico, come prima intenzione c’era quella di allontanarsi dal suono di Niccolò. E così lui in questi due anni è partito da voce e chitarra, noi invece da dei groove di batteria.
Questo si nota anche nel distacco dal disco precedente.
Sì, avessi continuato così sarei stato come il cuginetto di Niccolò. Invece lo ringrazierò per tutta la vita ma seguendo un percorso mio lo faccio in maniera indipendente. Per il futuro, la cosa che mi ha fatto impazzire di quelle che ho imparato da lui è come lui vede il mestiere di musicista. Una lezione molto preziosa. Bisogna ringraziare di poter fare questo tipo di lavoro perché ci permette di vedere posti pazzeschi, di conoscere un sacco di gente e di autocurarci e analizzarci.
Cosa devono aspettarsi i tuoi fan dal live di questo disco?
Sicuramente cinque musicisti che suonano, e quello che sentiranno sarà perché qualcuno lo sta producendo in quel momento. Se c’è un coro, bello o brutto, lo stiamo facendo in quel momento. Sarà una vera e propria performance, termine che di solito non mi fa impazzire. Ma ultimamente la tendenza è di supportare il suonato con parecchie basi. Questa roba qua non accadrà. Sarà un live, semplicemente.
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L'articolo Il piacere di rallentare: Bianco racconta "Quattro" di StefaniaBarbato è apparso su Rockit.it il 2018-01-19 10:00:00
COMMENTI (1)
Volevo fare i complimenti a Bianco per la canzone "fiat", davvero un'emozione pura, meraviglia!