Dieci anni di Bud Spencer Blues Explosion

L'intervista a Cesare e Adriano per i dieci anni del loro primo album

Dieci anni fa esce il primo disco dei Bud Spencer Blues Explosion. Titolo del disco: Bud Spencer Blues Explosion. Da quel primo album colano chitarre, pedalini, corde, legno che sbatte sul ferro che sbatte sul legno. Alex Britti, Elliott Smith, Beatles, di nuovo Elliott Smith. Io non me lo ricordo quel mondo, non c'ero. Stacco, dieci anni dopo. Il mondo va da un'altra parte mentre corre tutto e i Bud Spencer continuano a fare la stessa cosa, prendendosi a chitarre in faccia sul palco. Il mondo va da un'altra parte e loro no. Una bellissima resistenza e una questione di posizione, una lezione di stile e tecnica, l'elogio del mezzo e mai del fine. Soprattutto, come cercare di fare quello che ti piace, che se impari bene da qualche parte vai a finire. Dove? Qui, dopo dieci anni, e poi chissà.  

Cesare Tornare a suonare in due, dopo aver girato in quattro per un po’, non è facile. Ma è bello, ricominci a suonare le cose in maniera diversa. Più lucida.

Adriano Quando siamo in sala e torniamo a provare è sempre un’avventura, non ci mettiamo mai a tavolino con un’idea preparata, ci sentiremmo dei disgraziati. Le idee poi vengono se devono venire. Alla fine una passeggiata, un film, un viaggio o relazioni, sono tutte cose che vanno a finire in una scatola. Che sia il titolo di un disco, un riff o la preparazione di un live, alla fine si tratta di capitalizzare le idee.

Come si fa a mettere ordine nella scatola?

Adriano L’ordine è relativo. A volte quello che vedi ha già una sua forma. La nostra azione non è quella di costruire qualcosa che possa avere una bella forma di per sé, ma accettare la tua azione creativa e scoprirsi fluidi. Quando registri una jam lo fai in un mese, poi ti lasci influenzare da altro. Allenarsi a cambiare idea è importante. 

Dal disco passano dieci anni. Ora lo suonate ancora. Qual è il vostro rapporto ora con quelle canzoni?

Cesare Quel disco in particolare era frutto di un’urgenza, della voglia di uscire con qualcosa, eravamo reduci da esperienza con altri gruppi che di base erano andate male, ed avevamo trovato un’etichetta indipendente di Roma. Non avevamo nemmeno un’identità di band, c’era un pezzo alla Beatles e uno alla Britti, le cover e tutte il resto. È strano risentirlo, in realtà lo sto risentendo adesso per la prima volta da allora. 

Adriano Abbiamo iniziato a suonare senza il concetto del giusto o dello sbagliato. Succedeva che ci incontravamo in sala e ci divertivamo. L’unica cosa che cambia oggi è che abbiamo la consapevolezza che quello che facciamo non piace solo a noi. Poi si cresce, ci si evolve. Una cosa di cui sono molto orgoglioso è che noi siamo persone estremamente curiose, e questo lavoro non lo puoi fare se non sei curioso. 

C’è qualcosa che vi manca di quel momento?

Cesare Non è mancanza, è forse la spensieratezza del fare senza aspettarsi nulla. Più che per il modo di fare musica, che ci è rimasto, è più legata all’età. È la fine dei vent’anni, che un po’ ci manca. La vita che facevi e tutto il resto.

Adriano In realtà nulla, è andata solo a migliorare. Sarà che sono ottimista come persone. Ricordo con affetto l’eccitazione per qualcosa di nuovo, le prime volte in cui scopri qualcuno che compra un biglietto per venirti ad ascoltare è potente. Lo è anche ora, ma con una diversa consapevolezza, anche se alla fine per noi è tutto molto orizzontale. È una fortuna fare questo lavoro. 

E c’è qualcosa che col senno di poi avreste dovuto fare diversamente?

Cesare Forse no, visto com’è andata. Abbiamo lavorato tanto, soprattutto ai primi tempi, a volte però perdevamo un po’ il filo. In due è difficile portare avanti qualcosa, ad un certo punto siamo andati a vivere insieme per ottimizzare i tempi. Stavamo tutto il giorno a lavorare, registrazioni, booking, i primi social, tutto da soli. Ma zero rimpianti, forse ci sono ma se non mi vengono in mente non sono poi così importanti. 

Adriano Ci lasciammo molto andare nelle registrazioni. Se fossimo arrivati in studio magari qualche mese dopo, se avessimo avuto più tempo.. Più per una questione compositiva, non tanto artistica in generale. 

Nelle vostre interviste dopo questo disco ci sono due momenti che cambiano la vita dei Bud: la cover di Hey Boy Hey Girl che inizia a girare in radio, e il live al Primo maggio prima di Vasco Rossi. 

Cesare Quel momento è stato fondamentale, dal giorno dopo è tutto un po’ cambiato. Da lì è arrivata la proposta di DNA come booking, Repubblica parlava di noi, avevamo una distibuzione. Noi abbiamo solo fatto quello che facevamo già da un anno e mezzo, in due e senza nessun tipo di velleità. Allo stesso tempo anche con la consapevolezza un po’ sborona di andare avere questi ora di noi che dicono. 

La radio e il primo maggio che ti cambiano una carriera. Solo dieci anni, sembra un mondo diverso. 

Cesare All’epoca quel concorso per suonare al primo maggio era la cosa più figa che c’era. La finale era il giorno prima del check, una cosa assurda, e i trampolini di lancio erano quelli. È cambiata la musica, il mondo, le cose vanno in un modo ed è giusto che vadano così. Se una cosa trova il modo di arrivare alle persone, vuol dire che in qualche modo lo sai fare. 

Adriano Due giorni prima stavamo in un centro sociale di provincia. È stato forte. Noi siamo persone molto semplici poi, ci fai contenti con poco. 

Anche questo vi distingue dal momento storico. È bello farsi bastare poco. 

Adriano È che a me piace suonare la chitarra. Sono uno che dopo pranzo si mette in giardino e suona, perché mi piace e basta. È tutto molto semplice. C’è una citazione di un’artista che adesso non ricordo ma ricordo che mi piaceva. Parlava di una visione semplice dell’arte, io santificherei di meno il ruolo dell’artista.

La citazione non te la ricordi?

Adriano Parlava di un modo di vedere l’arte, non come una statua, rifinita e cava, ma come un sasso. Un sasso come tanti, semplice, denso, pesante, pieno. Un sasso che viene lanciato nello spazio. La musica, come tutte le cose in cui credo, ha una forte componente cinetica. Più che la celebrazione di un uomo per me è la condivisione di un’energia. Non c’è nient’altro che mi importi. 

La prima cosa che associo a voi è che siete una band che suona. Prima dei dischi, dei brani, delle canzoni, la cosa che viene in mente è il live e una dimensione analogica della musica, fatta di dita sulle corde e cose di legno che sbattono contro cose di ferro.

Adriano C’è tutto un filone in America di quelle che chiamano le Jam Band, cioè i gruppi che principalmente si esprimono con i live. Sono band che non ascolto, ma so che hanno quell’attitudine. Siamo molto fortunati, anche perché siamo gli unici oggi. 

Oggi il mondo infatti va da un’altra parte.

Adriano Sono tra felice che le cose siano andate così, non per gli altri ma per noi. Un gruppo rock che oggi ha la funzione di poter improvvisare è impensabile. Bud e IHMV sono due outsider, hanno una visione diversa e unica.

Le rock band ci sono ancora, ma hanno tutte degli elementi pop, anche solo nella scrittura. Non vi fa sentire orfani?

Cesare Mi piace andare ai concerti, mi piacerebbe vedere in giro un po’ più musica suonata. Ma anche quello penso sia una questione di epoche. Anche nei ragazzini che fanno trap ci vedo dell’artigianato, fare dei pezzi anche se non conosci mezza nota vuol dire produrre qualcosa di artistico. 

Alla fine resta l’attitudine.

Adriano È quello il punto, per noi resta lo stesso.

L’hai sentito il nuovo di Post Malone con Ozzy Osbourne?

Cesare No, non ancora, ma capisco cosa dici. Qui viviamo in un piccolo paese che sembra una scarpa, lì inventano i generi. Lui se non sbaglio è texano, viene dal metal. I generi li inventano così, prendendo quello che c’è intorno e mettendolo insieme. È come i napoletani, Tullio De Piscopo e Napoli Centrale, che prendevano la musica partenopea e ci mettevano altre cose. Quando sperimenti con quello che hai intorno, in vere contaminazioni, è una cosa importante. È bello che stia accadendo questo. 

Nella prima intervista parliamo di come chiudevano posti a Milano e fioriva Roma. Milano negli ultimi anni invece sta benissimo, e Roma?

Cesare A Roma vedo molta più gente di prima che suona. Negli ultimi quattro anni, nel post Calcutta che di base è stato un po’ un anno zero per nuove strade. E una ondata di cloni, ma questo è un altro discorso. Roma ha tanti disastri, ma sulla musica è un bel periodo. Poi la gente quando le cose vanno bene se ne va a Milano. Noi siamo nati al Circolo degli Artisti, ora ci sono il Monk e Largo Venue. Quello che manca è un po’ più di roba diversa, magari dall’estero. A Milano c’è più diversità, ultimamente sono sempre un po’ troppi italiani, per cui alla fine le cose si assomigliano. Io poi sono uno che vede i cartelli in mezzo alla strada e non sa chi sono i gruppi la maggior parte delle volte, ma questo è un mio problema.

È bello fuggire dalla FOMO. 

Cesare Vedremo tra 5 o sei anni chi rimarrà. Sono sempre più convinto che se non hai le canzoni non duri poi. 

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L'articolo Dieci anni di Bud Spencer Blues Explosion di Vittorio Farachi è apparso su Rockit.it il 2019-09-11 17:16:00

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