Come spiegare il business della musica a tutti

Andrea Pontiroli, fondatore del Circolo Magnolia e amministratore delegato di Santeria conosce talmente bene il business della musica di oggi al punto da aver riassunto tutto in un libro perfetto per gli addetti ai lavori ma non solo. L'abbiamo incontrato alla presentazione alla MMW

Andrea Pontiroli
Andrea Pontiroli

Andrea Pontiroli, fondatore del Circolo Magnolia e attualmente amministratore delegato di Santeria S.p.A., pubblica il suo secondo libro Nuove economie della musica, chiara e lucida analisi dei nuovi ruoli e delle nuove economie tra loro interconnesse nel mondo della musica. Studiando i nuovi andamenti, come lo streaming, le tendenze social, i sistemi di prevendita e l’evoluzione dei club per la musica dal vivo, il libro si rivolge sia a chi già si occupa di musica e ne ha fatto il proprio mestiere, sia a tutti coloro che sono interessati a comprendere più a fondo quello che sembra un lavoro sommerso, ma ambito da tantissimi.

Con la prefazione di Tommaso Colliva, Nuove economie della musica è un’opera unica nel suo genere che si avvale di preziosi contributi e testimonianze di alcuni dei più autorevoli esperti di settore, intervistati e interrogati su precise tematiche. Abbiamo fatto una chiacchierata con l’autore il giorno dopo la presentazione del libro durante la Milano Music Week.

 

Il più grande intento di questo libro è trasferire la tua esperienza ai più giovani, però ti devo dire che è utilissimo anche per i più vecchi, per quelli che in questo ambiente ci lavorano da un po’.

Anche per me è stato utile in verità, perché molte cose le ho scritte grazie ad altre persone che mi hanno aiutato molto; soprattutto su alcuni capitoli non è che fossi proprio ferratissimo, e quindi mi è servito molto indagare per scrivere, perché anche io non sapevo esattamente tutto di tutti gli argomenti trattati nel libro.

Ci sono molte pagine dedicate alle tante e nuove figure dell’industria musicale. Tutto questo proliferare di professioni aiuta o complica le cose e il lavoro?

Credo che in alcuni casi aiuti e in altri casi complichi, dipende dal lavoro e del progetto che si sta portando avanti. Per esempio va bene che le etichette indipendenti e più piccole raggruppino in una sola figura più mansioni differenti, ma quando sei a livello major ognuno ha uno specifico ruolo e uno specifico compito. Spesso questa molteplicità di persone rende un po’ rigida la risoluzione dei problemi perché ci sono sempre approvazioni da avere a vari livelli, è un po’ il problema delle multinazionali, dove tutto deve passare attraverso l’approvazione di diversi uffici. È anche vero che, essendo così complicato il lavoro e così grandi i numeri, per forza ci deve essere un job title per ogni singola mansione.

Tu hai fatto di tutto nella tua carriera in questo ambiente per arrivare dove sei, ma vista la specializzazione delle figure richieste oggi, cosa consiglieresti ai più giovani, di fare un po’ di tutto oppure di partire focalizzandosi su una cosa?

Credo che provare un po’ tutto sia il segreto per capire per cosa si è esattamente portati, perché uno sperimenta, fa delle cose, vive l’entusiasmo del primo periodo, ma poi inevitabilmente alcune cose ci piacciono di meno e altre ci piacciono di più; sperimentando all’interno di una struttura ci saranno dei compiti che ci si addicono e altri per cui si fatica di più e soprattutto si capiscono le cose in cui si è molto più portati Fare più cose offre il modo di interfacciarti con tutti e capire di cosa stai parlando, altrimenti il rischio, quando si è troppo focalizzati solo sul proprio lavoro, è anche che non ti accorgi di cosa succede al vicino di scrivania, e non puoi non sapere cosa sta succedendo di fianco a te. Sapere un po’ di tutto è la base, è un consiglio sempre valido.

Come sei cambiato in questi anni, anche solo negli ultimi dieci, a distanza dal tuo primo libro, Un concerto da manuale, e cosa ti piace fare di più oggi?

Sono leggermente ingrassato e ho più capelli bianchi di dieci anni fa. Professionalmente invece, per esempio, lavorare in produzione diretta ogni sera con costanza è una cosa che non faccio più, perché a un certo momento non riesci più a essere anche la mattina dopo in ufficio, e quindi è cambiata l’attitudine verso il momento serale. Non è che non lo vivo più, ma non ci lavoro praticamente più. Ho un lavoro di management, quindi di supervisione, di organizzazione ed è quello che mi piace fare; creare strategie, approfondire, provare a beccare qualcosa di nuovo mi piace molto e devo dire che è il ruolo in cui mi sento più a mio agio perché mi spinge costantemente a non fare nulla in replica e a provare a trovare nuove soluzioni, nuovi partner, inventarmi un nuovo tipo di collaborazione, sviluppare un nuovo locale. Il management della società è una cosa che mi piace molto.

Una cosa bella e importante da sottolineare è che Nuove economie della musica è stato tradotto anche in inglese. Quanto ci manca per esportare un vero e proprio Made in Italy musicale in Europa o nel mondo?

Noi italiani siamo bravi a organizzare i concerti, i festival, siamo bravissimi ad accogliere artisti e pubblico e questo pubblico in generale l’Italia la adora, perché ha come un marchio di qualità, è riconosciuta con un livello qualitativo alto in molte discipline legate all’intrattenimento; quindi se noi riusciamo ad esportare la nostra visione della musica, non tanto quella mainstream, che non ci appartiene, ma riusciamo a esportare l’idea di come facciamo le cose qui in Italia, senza paura di farlo, allora credo che manchi poco.

La Milano Music Week di quest’anno lo sta dimostrando, è stata un grande successo.

Sì, è stata davvero bella quest’anno e Nur (Al Habash, direttrice artistica MMW 2022) ha fatto un lavoro bellissimo, che si vede e si tocca.

Alla fine questa pandemia per la musica e il settore dello spettacolo ha fatto tanto male ma anche tanto bene, il settore è rinato più forte e forse le istituzioni si sono accorte dell’importanza economica e non solo dell’intero settore. Ma c’è da fare ancora tanto, dove c’è più urgenza secondo te?

Intanto ci siamo accorti tutti quanti che non possiamo rinunciare all’intrattenimento, a uscire di casa, andare a un concerto, incontrare gente; questi due anni ci hanno fatto dire mai più una situazione così. Dobbiamo e vogliamo per forza goderci la vita e questo lo percepisco in tutti i festival, i concerti, in ogni situazione che vivo c’è grande partecipazione, c’è la voglia di non perdersi più nessuna possibilità. Non era immaginabile una cosa simile, ma ora sappiamo che può succedere, ma anche che possiamo affrontarla e superarla. Sulla questione delle istituzioni è un lavoro lungo, ma fino a che continuano a cambiare persone e a entrare nel sistema organizzativo forze fresche, che credo siano essenziali, e fino a che i numeri sono positivi e fanno capire che c’è indotto, c’è economia, ci sono posti di lavoro, allora le cose vanno per il verso giusto. Inoltre le città vive, con socialità e che propongono eventi e attività, hanno meno problemi di quelle che non propongono nulla.

Scrivi nel libro che musica e spettacolo premiano talento e passione, che hai trovato grande amore per la musica in tutte le interviste e gli incontri con i professionisti che hai fatto. Da dove viene secondo te tutta questa passione, questo amore per la musica?

Secondo me va oltre la musica in sé, la singola canzone, io intendo tutto quello che gira intorno all’ambiente, allo spettacolo musicale e a cui non possiamo rinunciare. Non possiamo pensare di fare a meno di tutto questo; tutti quelli che ho intervistato, persone che reputo di talento o molto brave, non parlano mai di economie, di soldi diretti, la capisci anche da questo la potenza di questa passione. La musica spesso ti pone in situazioni di non avere ritorni economici se paragonati alla vita che si fa, sai che non ci sono straordinari per esempio, ma ci si accontenta pur di farne parte, pur di stare dentro alla musica. Questo l’ho sentito da parecchie persone, che non cambierebbero mai il loro lavoro con un altro, anche magari meglio retribuito.

Ma allora, la spinosa domanda, ci si mangia e ci si vive con la musica, si o no?

Ci si mangia e ci si vive anche bene, nel senso che si è anche appagati dal punto di vista della soddisfazione professionale, ma anche emotiva e umana.

E questo libro è una bella soddisfazione, un bel punto di arrivo, o di partenza, per la tua carriera?

Devo dirti sinceramente che quando l’ho finito ero contento perché ero riuscito a centrare quello che era il mio obiettivo e cioè dare una guida ai più giovani che devono comprendere questo mondo che non è proprio semplicissimo; mi sento di aver centrato questo obiettivo e sono contento. Poi abbiamo scelto di uscire indipendentemente come Santeria proprio per avere totale e massima libertà e poter gestire il libro più come un testo didattico. Le esperienze invecchiano velocemente, ma il bello di conoscere delle cose è dirle a gli altri e condividerle, anche perché non puoi fare niente da solo, in questo ambiente soprattutto.

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L'articolo Come spiegare il business della musica a tutti di Carlotta Fiandaca è apparso su Rockit.it il 2022-12-16 09:41:00

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