Calcutta - Viva il mainstream

L'intento di Calcutta era arrivare a più gente possibile e provocare quei giornalisti che speravano rimanesse nella nicchia. Ci è riuscito?

calcutta cantautore romano mainstream
calcutta cantautore romano mainstream - Foto di Francesco Locanto per Rockit

Per i fan che l'hanno sempre seguito, il suo nuovo album è una merda. A tutti gli altri (Rockit compreso) è piaciuto tantissimo. Era l'intento di Calcutta: arrivare a più gente possibile e contemporaneamente provocare quei giornalisti che speravano rimanesse un fenomeno di nicchia. È riuscito a scrivere un disco davvero mainstream? La risposta la trovate in questa intervista.

C'è stato un cambiamento notevole dal disco precedente, che è successo?
Mi sono trovato a scrivere canzoni un po' più complesse: vuoi perché tra un disco e l'altro ho studiato un po' di pianoforte, vuoi perché mi sono rapportato con altri musicisti, cosa che prima non facevo mai. Il risultato è che i nuovi pezzi hanno assunto un atteggiamento diverso: più ordinato, più completo. Il fatto che sia uscito un disco più curato, più pulito se vuoi, è stata fondamentalmente la conseguenza di una scrittura diversa.

Pur raccontando cose piuttosto pesanti, io ci sento una certa allegria di fondo. Una frase come “Vestiti da Sandra che io faccio il tuo Raimondo” non l'avresti messa nel disco prima, giusto?
Anche se parla di cose non proprio felici non c'è quella mestizia di fondo, è vero. E non c'è più quella noia da cameretta che era più tipica di “Forse...”. È romantico, non trovi? Intendo il mettere in mezzo Vianello e Mondaini. È quasi nazionalpopolare.

La Pausini è ancora distante, direi.
È chiaro. Non era manco quella la mia intenzione ma credo sia interessante riflettere sugli obiettivi che ti dai. Mi sono accorto che c'è sempre un gap tra quello che vuoi fare e il risultato che ottieni. Il fatto che tu non produca il messaggio esatto che avevi in mente, virgola per virgola, ti fa scoprire aspetti di te che non pensavi di avere ma che sono comunque inerenti a quello che volevi dire. Non è poi così diverso da quando un altro ascolta una tua canzone e trova dei significati a cui tu non avevi pensato ma che sono comunque “tuoi”.



Quindi volevi davvero fare un disco mainstream?
Il titolo non è ironico, se è questo che intendi. Per prima cosa c'è stato cambio di scrittura e poi c'era l'idea di fare qualcosa che arrivasse a più gente possibile. È un discorso in cui, però, mi sono perso: un po' perché non ero capace, un po' perché volevo anche altro. La distanza tra queste due cose, il cosiddetto gap a cui ti accennavo prima, ha portato al risultato che senti nel disco. È anche sopraggiunto un istinto un po' nichilista del tipo: 'sticazzi l'arrangiamento deve essere una cosa funzionale. Mi andava di rompere le palle ad un certo tipo di giornalisti che avevano sempre tifato per me. Volevo piantarla con tutte quelle menate sperimentali, eleganti e raffinate che erano piaciute a tutta una serie di persone con il primo disco.

Non per offenderti, ma 'raffinato' è un parolone. Per dire, Calvin Johnson lo definiresti elegante?
Son d'accordo, infatti la mia era quella roba lì ma fatta a Latina e non a Olympia. “Forse...” era piaciuto a quel pubblico lì e ora mi andava di provocarlo. Quando ho sentito i primi che mi dicevano che “Mainstream” era una merda io ero contento.

Va bene la provocazione, ma perché dare peso al parere di, al massimo, 50 persone?
Magari per far capire loro che sono solo cinquanta persone (ride).

Ti droghi?
Non mi drogo.

Nemmeno ai tempi di “Forse...”?
Non ricordo (ride).

Mi dovessi descrivere Latina in una frase sola?
Un posto tranquillo.

Da quanto ho letto, “Forse...” era un disco molto legato a Latina. “Mainstream” invece?
Non solo Latina, “Forse...” raccontava della noia di quando stavo allo studentato della Sapienza a Spinaceto. Era un periodo che me la bazzicavo sulla Pontina, che è questa strada che collega Terracina a Roma. Eravamo fuori dal raccordo anulare, praticamente nel nulla. Ma è un periodo che adesso ricordo con affetto, potessi tornare indietro lo farei subito.

Tu sei uno che la noia la patisce parecchio?
In realtà no. L'unica cosa che non patisco, oggi, è la noia. Non è più un mio problema, anzi, non riesco a intrattenere rapporti con persone che la subiscono troppo. Probabilmente è per via di tutte le attese ed i treni in ritardo, mi hanno insegnato che la noia è una cosa bella: sei tu che la vuoi vedere ma puoi anche non vederla, puoi pensare, fare altro.

Come usi i luoghi nelle tue canzoni? Sembra quasi che tu voglia confondere chi ascolta nominando ogni volta un posto diverso.
Prendiamo ad esempio I Cani, si capisce subito che sono di Roma: la loro è una geolocalizzazione, quasi da social network. L'uso che ne faccio io è diverso: è un po' quello della persona che preferisce sfogliare l'atlante invece che viaggiare, oppure di chi prende i posti che ha realmente frequentato ma li trasforma in luoghi mentali, come se ne volesse ricavare molto di più di quello che è in realtà. C'è sempre un'idea di lontananza, non è mai “sono qui”.

Hai viaggiato tanto?
Ho girato tanto, ho avuto esperienze sentimentali e d'amicizia che mi hanno portato in tanti posti. Ho suonato tanto: mi sono fatto un sacco di viaggi in treno da solo e quando sei da solo conosci più gente, che poi magari vai a trovare. È come se avessi una seconda casa a Pesaro, ad esempio. Sono tutti luoghi che sono poi finiti in “Mainstream”.

In “Che cosa mi manchi a fare” Pesaro diventa addirittura una persona: Pesaro è una donna intelligente.
Ad essere sincero non mi ricordo bene come è nata quella frase. Quella canzone l'avevo scritta molto tempo fa, me la sono dimenticata e poi l'ho ritrovata in un video che avevo registrato per caso. Penso che ai tempi volessi dire “Pesaro è una donna intelligente” allo stesso modo di “Roma nun fà la stupida stasera”.

Vuoi dirmi che ti eri dimenticato di una canzone come “Che cosa mi manchi a fare”?
Diciamo che non era un periodo felice. Davvero mi ero dimenticato, era un'improvvisazione fatta con la tastiera sui cui avevo scritto il ritornello, la strofa l'ho scritta più avanti. L'idea di fondo era che Pesaro, nonostante, la nebbia o il tempo grigio, è una che non si fa fregare. Non che le ragazze non siano intelligenti, ovvio, una una volta è pure venuta a lamentarsi dopo un concerto.



Sono tutte canzoni d'amore?
Se non sono tutte d'amore c'entra, comunque, l'amore.

E com'era l'amore ai tempi in cui l'hai scritte?
Che è un po' una domanda da giornale scandalistico, bravo.

Sono le mie preferite.
Secondo me Rockit dovrebbe avere la sua rubrica di gossip, sarebbe fighissimo. Pensa una cosa tipo: le nuove foto di Giovanni Imparato e Maria Antonietta che vanno al mare a Senigallia, prendono un gelato... (ride)

Dicevamo, le canzoni.
Le canzoni sono nate in un periodo piuttosto confuso. Molte parlano di una storia che finisce, “Cosa mi manchi a fare” parla dell'amore finito e basta. In “Limonata” me la prendo con i genitori della mia ex ragazza al posto che con lei: sono deluso ma c'è ancora talmente tanta dolcezza nei suoi confronti che preferisco attaccare quel tipo di sinistra borghese un po' radical chic al posto di accettare il fatto che mi ha trattato male. Del tipo: sei cresciuta così ed è colpa dell'educazione che ti hanno dato i tuoi se è finita tra di noi. È uno sfogo, ovviamente, ma quel tipo di tenerezza riciccia anche in altre canzoni.

Quando ad esempio in quel pezzo dici Celestini, ti riferisci all'attore o ai preti?
Se vogliamo chiamarlo attore. È una bella icona di intrattenimento borghese di sinistra, non trovi? È il circo per quelli di sinistra.

E invece di quel “raggiungermi è un orgasmo da provare” che mi dici?
In realtà ero molto combattuto tra raggiungermi e raggiungerti. Alla fine ho detto “me la sento calla” e l'ho lasciato così. Secondo me, in queste due sillabe diverse trovi davvero il cambiamento di prospettiva che c'è stato. È più sfrontato.

Qual è la tua canzone d'amore italiana preferita?
Ce ne sono tante, ovviamente. Ad esempio: “Ho capito che ti amo” di Tenco è un pezzone pazzesco. Dei nuovi non saprei dirti.

Ma ti piacciono i cantautori?
Non ho una grande cultura per quel che riguarda il cantautorato italiano. Ho scoperto da poco Maria Antonietta, mi piace come scrive e credo che il suo secondo disco sia uno dei più bei lavori italiani degli ultimi tempi, sia per gli arrangiamenti che per i suoni. Colapesce è bravo, Niccolò (Contessa, de I Cani, ndr) mi ha fatto sentire delle sue canzoni mentre lavoravamo al disco e devo ammettere che è bravo. E poi, anche se non sono cantautori, ti devo citare i The Giovannas, sono un gruppone: due ragazze e un ragazzo, fanno questa roba un po' indie-noise anni 90, un po' Pixies, un po' più aggressivi tipo Shellac.

È vero che hai un progetto rap?
Io e Gioacchino Turù abbiamo un progetto che si chiama Bella Veneziae, ma è giusto una cosa per divertirsi. Io faccio le basi direttamente con l'iPhone e lui ci rappa sopra. Non penso incideremo mai un disco.

Ma il rap ti piace?
Si mi piace, il mio rapper preferito è Gemello. Era negli ITP/In The Panchine, una crew di rap romano del giro Truceklan. È figo perché mischia l'inglese con l'italiano, dice cose tipo: “never loose pazienza”. Diciamo che ha il suo stile.

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Niccolò è stato importante per realizzare questo disco?
Innanzitutto mi ha dato la forza iniziale per farlo, all'inizio non avevo le idee molto chiare. Avevo fatto già tanti tentativi, una volta con Pop_X, altre volte con altri, ma non si concretizzava mai nulla. E per assurdo avevo avuto tantissime proposte da etichette, circolava la voce che io avessi scritto dei pezzi nuovi molto belli anche se nessuno aveva ancora sentito nulla. Quando ho deciso di farlo con Bomba Dischi, Niccolò si è proposto di aiutarmi. Mi ha messo davvero in quella forma mentis di chi inizia un disco: per un mese e mezzo sono andato quasi tutti i giorni a casa sua a lavorare sugli arrangiamenti. Poi si è dovuto dedicare all'album dei Cani e, allora, ho dovuto seguire da solo le registrazioni dove ho scelto gli strumenti da usare in ogni pezzo. Lui mi ha raggiunto dopo per smussare e limare alcune parti.

Quindi i suoni li hai scelti tu?
Sì, molte cose me le sono inventate io. Prendi la parte finale di “Gaetano”, con quella coda dove sembra ci sia un banjo – in realtà è un synth – era una coattata che nessuno voleva mettere io invece ho insistito perché ci fosse.

Molto di maniera in effetti, sembra la classica cosa inserita dal produttore per far cambiare registro all'artista.
Ho scoperto che sono un arrangiatore decisamente di maniera, infatti la proprietaria dello studio mi ha anche offerto di darle una mano per gli altri lavori che ha in programma. “Sei un figlio di puttana” mi diceva “un arrangiatore di quelli squallidi che arrangiano qualsiasi cosa”.

E adesso che hai finito il disco con l'ansia va meglio?
Altra bella domanda, molto meglio grazie. Mi sento proprio leggero adesso. È un bel momento della mia vita.

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L'articolo Calcutta - Viva il mainstream di Sandro Giorello è apparso su Rockit.it il 2015-11-30 09:13:00

COMMENTI (1)

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  • jamdome9 anni faRispondi

    ma questi "The Giovannas" esistono veramente? volevo ascoltare qualcosa ma sono introvabili :)