È la prima volta che sentiamo Vittorio Ondedei, cioè Ruben Camillas, dalla scomparsa di Mirko "Zagor" Bertuccioli, avvenuta il 14 aprile 2020 a causa del Covid-19. Una notizia talmente inaspettata e surreale da lasciarci letteralmente senza parole. Ne abbiamo scritto, abbiamo visto i vari tributi, abbiamo letto il secondo libro dei Camillas, intitolato La storia della musica del futuro (di cui potete leggere un estratto qui), e comunque siamo ancora increduli.
Nel descrivere Mirko, la parola che viene fuori più spesso è "purezza", insieme alla sua spontaneità e alla voglia di giocare col pubblico. Doti che hanno fatto apprezzare in luoghi e ambienti diversissimi tra di loro, dal bar di provincia con 50 persone tutte sudate alla platea televisiva di Sky, per quell'Italia's Got Talent che li ha fatti conoscere fuori dalla bolla indipendente.
Dal 2018 la band era diventata un quartetto e suonava nei posti più grandi, fino a pochi mesi fa era un gruppo vivo e ispirato, poi la malattia di Mirko e tutto ciò che è successo. Fa ancora più arrabbiare, in questi tempi particolarmente bui, sapere che non ci tirerà più su il morale e non ci alleggerirà fino a farci volare quel che basta per non soccombere. La musica dei Camillas però rimane. Ripartiamo da lì.
Ciao Vittorio, come stai?
Beh, ancora io faccio fatica a guardare i video, perché mi viene il nervoso, come se fosse andata sprecata una cosa rara.
Mi imbarazza domandarti una cosa così personale, perché per noi la notizia della scomparsa di Mirko è arrivata all'improvviso, come una doccia fredda...
Ma certo, in questo periodo la do come implicita la domanda, a tutte le persone con cui parlo. Lo so, è una cosa naturale. Molte persone lo sapevano, perché contattavano Mirko e, vedendo che lui non rispondeva, sentivano me. Anche chi sapeva cosa stava succedendo non andava a raccontarlo in giro, tutti percepivano la delicatezza della cosa e ognuno se la teneva per sé. Quando è scomparso, la notizia è esplosa in maniera velocissima, non so neanche da dove, non sono stato io a far partire la comunicazione, lì per lì ero abbastanza lontano dal telefono. Poi l'emozione è cresciuta a dismisura, comprendo la sorpresa di chi non sapesse niente.
Dopo la scomparsa di Mirko è arrivata un'ondata d'amore da tutte le parti.
È stato strano. Io me l'aspettavo, ma è arrivato più affetto di quanto potessi credere. So a livello reale quanti contatti avessimo con le persone fisiche, quindi immaginavo che quando tutti avrebbero saputo, ci sarebbero state reazioni, ma poi la cosa è andata molto più in là della conoscenza reale con noi. È arrivato anche in luoghi inaspettati, non sono ancora riuscito a capire come siamo arrivati fino lì.
Quella forse è davvero la potenza della tv che cristallizza un'esperienza che poi ritrovi nel futuro sotto forma di affetto?
Sì perché nel corso degli anni, l'unica performance in chiaro che tutti possono vedere da Italia's Got Talent è Bisonte, ed è diventata piuttosto iconica, come se in quei pochi minuti, nella presentazione e nel pezzo, ci fosse tutto il carattere dei Camillas. L'approccio alla canzone che c'è nel video, ma anche il modo in cui ci poniamo di fronte ai giudici: per gli spettatori, quelli siamo noi.
Certo, ricordo le provocazioni di Bisio!
Che poi in quello che si vede nel video non c'era niente di preparato: lì è una specie di fabbrica, no? Stavi in uno scantinato con altri 5000 artisti, poi ti chiamavano, dovevi andare in un punto, poi ti facevano spostare di 10 metri. A noi ci hanno mandato via perché non stavamo fermi e facevamo ballare le telecamere dietro il palco, quindi il regista ha bloccato la registrazione con 1200 persone di pubblico per capire chi cazzo fosse! A un certo punto ci chiamano, ci dicono (Fa la voce dura): "Dovete entrare, scambierete due parole con la Incontrada e poi mettetevi in quel punto, fate la vostra cosa e andate via quando i giudici vi dicono di andare via." Lo scambio coi giudici nella realtà è stato molto più lungo, perché eravamo entrati in sintonia, qualcuno sapeva già chi eravamo, Bisio ci conosceva già perché avevamo condiviso il palco in un festival in Sardegna, quindi eravamo molto tranquilli qualsiasi cosa succedesse. Quella performance è diventata iconica dell'approccio che avevamo alle cose, perché è reale. Ci siamo molto riconosciuti in quel video, alla fine.
Anche l'attitudine dei Camillas è stata imitata da quando siete andati in tv...
La tv è un mezzo potentissimo che ti dona visibilità immediata e trasversale, entri sul serio nelle case di tutti gli italiani. Il nostro modo di fare musica in realtà è sempre esistito: la dimensione giocosa, utilizzando un approccio ai testi che non sia il classico "scrivo questo per alludere a qualcosa", con significati impliciti che siano d'amore o di altre emozioni in cui ognuno si possa riconoscere. I nostri testi sono abbastanza aperti, non sono unilaterali. Coi Camillas, in tv, abbiamo semplicemente mostrato questo approccio possibile, ma non è certo una nostra invenzione.
Tu e Mirko sembravate in perfetta simbiosi , come se uno potesse finire la frase dell'altro. Come scrivevate libri e canzoni?
In realtà utilizzavamo delle modalità di produzione sempre diverse, non c'era una regola. Storia della musica del futuro è andato così: scrivevamo cose e ce le scambiavamo, poi dopo un paio di mesi abbiamo individuato alcuni compositori della musica del futuro e abbiamo iniziato a lavorare su di loro. Abbiamo isolato dei temi e ognuno di noi ne sviluppava uno. È stato un lavoro di scambio fatto molto sui treni, viaggiavamo parecchio.
Come lavoravate alla musica?
Ognuna ha un suo modo. Per l'ultimo album, Discoteca Rock, abbiamo detto "Facciamo un disco che abbia questo immaginario qui", e per un po' di tempo abbiamo parlato di quel mondo, che veniva da feste sfinite, dalle mattine con la gente ancora nel locale, dalle vomitate in giro, e da lì mille fantasie, ricordi, citazioni. Poi ci siamo messi a scrivere le canzoni, che suonavamo in tre, perché in quell'album c'è anche Michael Camillas, il batterista che è entrato molto nel processo compositivo. Qualcuno portava un pezzo, magari insieme decidevamo di cambiare tutto il testo: "Senti bello 'sto giro?" - "Uh, ho le parole!". In tre secondi. Altre sono nate dal vivo: durante il concerto succedeva qualcosa, un'improvvisazione, e poi una volta finito il live facevamo riunione e tenevamo alcune cose, registrandole sul telefono al momento per non scordarcele. L'anca è nata così. Bel pomeriggio è nata nel bagno di un locale. Volevamo suonarla subito, per capire che effetto faceva dal vivo, la misuvaramo lì.
Tutte canzoni urgenti!
In qualche modo sì. Bisonte è nata dopo le prove in casa mia, eravamo tutti un po' alticci e tutta la sera abbiamo lavorato su una canzone che ci sembrava bellissima. Eravamo felici, l'abbiamo registrata, poi ci siamo messi a giocare coi versi degli animali, per poi passare ai versi degli oggetti, ai versi delle forme, per ridere fra di noi. Alla fine, l'altra canzone è durata un giorno e l'abbiamo buttata, mentre Bisonte l'abbiamo strutturata ed è diventata quello che è. Una delle caratteristiche di quella canzone è che, come la sentite registrata e come la si sente nel video a Italia's Got Talent, quelle sono le uniche due volte che è stata uguale. Mirko non era mai uguale nelle ripetizioni e io, dipendendo da lui nel pezzo, mi adattavo alle cose diverse che gli venivano fuori. Una roba bellissima.
Discoteca Rock è l'ultimo album dei Camillas. Cosa ne pensi dopo due anni dalla sua uscita?
Gli voglio bene, come a tutti gli altri dischi che ho fatto, ognuno col suo progetto, anche se la parola "progetto" mi sembra un po' una cosa che faccio per il mio lavoro. Tutti i dischi nascevano dal fatto che noi vedevamo qualcosa di comune e iniziavamo a raccontarlo. Per noi, dischi e concerti erano due mondi paralleli, non ci ponevamo il problema di fare cose diverse nelle registrazioni che mai avremmo suonato dal vivo. In quel senso Discoteca Rock mi piace come album, ricordo bene le parole che ci scambiavamo, l'idea che avevamo, di come volevamo essere, infatti dopo è entrato anche Theodore Camillas al basso, perché ci serviva un suono ciccione che riempisse lo sfondo.
Alla fine eravate una band vera e propria...
Da fine 2018 siamo stati una band classica che girava in treno, e non nel furgone, con un approccio diverso nei volumi, perché suonavamo nei posti più grandi, in cui in due non avevamo mai suonato. Club o festival con impianti giganteschi, con la gente sotto che faceva più festa. Si suonava bene.
Quanto sono stati importanti i Camillas per i musicisti di tutta Italia?
Guarda, è una cosa che mi piace pensare quando me la dicono i ragazzini che suonano nelle prime band. Certi nostri modi di fare, per alcuni sono diventati un vero e proprio approccio di libertà da schemi e modelli. Noi abbiamo davvero sempre fatto quello che volevamo. Ogni volta che entravamo in situazioni che ci chiedevano troppo o che chiedevano di ripeterci troppo, andavamo in tensione. Usandolo come paradigma, Bisonte non riuscivamo mai a farlo uguale, e in certe cose che abbiamo fatto dal 2015, dopo la tv, ci chiedevano di farla esattamente come nel video. Non era ciò che volevamo, quindi è bello che ci siano alcune esperienze che non puntano alla perfezione come ripetizione infinita della stessa cosa, ma semplicemente che venga bene ciò che fai, nel momento in cui lo fai, che ti trovi davanti due persone o centomila.
Nel vostro nuovo libro vedete il futuro della musica italiana. Dimmi che in futuro non ci saranno i mille cloni dell'itpop...
Non so mai se la mia è un'attesa, quindi un desiderio, o più una valutazione su dati raccolti. Di certo vorrei che questo momento di stacco facesse riemergere certe tendenze creative e produttive che negli anni ci sono sempre state, tra quelli che creano e ascoltano la musica non passata dalle radio mainstream. Alla fine c'è stata la coincidenza, quindi o l'underground ha vinto, andando direttamente a conquistare il podio del mainstream, oppure per la vittoria è stato pagato un prezzo tale da far perdere le caratteristiche fondanti, i tratti distintivi, musicali e sociali della musica underground. Quello che una volta era il nemico, a cui ci si contrapponeva con autoproduzioni e tutto il resto, col passare del tempo lo abbiamo fatto nostro e a sua volta ci ha modellato, fino ad arrivare al gioco dei cloni, che sembra quasi volontario. Non più una semplice imitazione per affetto, ma quasi una catena di montaggio: "Ci vuole un bel clone di Calcutta" - TUTUM - "Anche il prossimo anno dai!" - TUTUM.
Io Edoardo l'ho sempre visto come un possibile Camillas...
Sì, quando l'ho conosciuto era davvero giovane di età, ma era esattamente come adesso: aveva già certe idee chiare, certi approcci rispetto al gusto e alle scelte musicali. Ovviamente il suono si è sistemato e ripulito, ha creato uno spettacolo vero, il suo set è una macchina gigantesca e tutto quello che vuoi, ma l'attitudine sua è molto lineare e ha conquistato il pubblico con le sue cose, non si è adattato. Ha creato assolutamente un genere.
I cloni senza storia alle spalle, non piacciono a nessuno...
Eh se non hai la storia dietro, prendi la maniera finché non arriva qualcuno, come succede sempre nei processi culturali, che rompe, che spacca tutto e rimette in gioco le componenti. Tornando al discorso iniziale, è quello che mi aspetto che torni una certa urgenza espressiva, meno "lacca". Hai presente la lacca per capelli? Ecco, la musica italiana adesso è un po' lacca. Viene tutto un po' truccato, anche i concerti dal vivo: ho diviso il palco con molti musicisti e c'è questa tendenza al confezionato. Negli anni si è abbassata anche la partecipazione fisica del pubblico, che ascolta, canta, ma tende a star fermo. C'è poco contatto. Forse è cambiato anche il pubblico, perché quelli che spingevano sono diventati grandi, hanno i figli e non vanno più ai concerti, non so.
Sono spariti anche i palchi piccoli?
Sì. Pensa a quelli belli rettangolari, stretti, con poco spazio, tipo il palco interno del Magnolia per esempio, in cui senti la pressione del soffitto, da cui la musica ti arriva a onde e ti senti preso da qualcosa che ti sostiene. Sono rimasti pochi i club con questa struttura.
Forse è il problema della mancanza di gavetta della musica italiana al momento: hai una canzone di successo e salti i palchi piccoli per quelli subito più grandi...
Si è creato un meccanismo all'inglese, in cui c'è tutto questo fermento gigantesco e ogni tanto spuntano come funghi le nuove sensazioni del momento, solo che Londra è strapiena di posti piccoli dove trovi band di ragazzini di 20 anni si scatenano con davanti magari 30 persone che fanno festa. Da noi è già tutto strutturato, i locali di questo tipo sono pochi, infatti spesso noi suonavamo in locali non adatti, tipo i bar col palco alto 20 centimetri e l'impianto sbagliato.
Concerti con la vera azione e reazione da parte del pubblico!
Io ho frequentato un sacco di locali in Svizzera, non solo nel Canton Ticino ma anche nelle zone di Zurigo, Berna, Friburgo, e lì c'è ancora questo approccio, a seconda della situazione. Se c'è la musica ritmata coi musicisti che ti vengono un po' addosso, balli e ti agiti. Abbiamo fatto dei concerti incredibili lassù, mentre qui magari la gente stava ferma con le braccia incrociate e ascoltava tutto, ma con pochissimo sudore. Ecco, i due poli della situazione sono lacca e sudore.
E invece, ribaltando la domanda di prima, quali sono stati i musicisti italiani davvero importanti per i Camillas?
Allora, io e Mirko avevamo una formazione musicale diversa, per l'età, perché io ho sette anni più di lui ed ero avvantaggiato rispetto a certi fenomeni. Ho potuto vivere direttamente certi passaggi della musica diciamo underground in Italia. Quando ci siamo svegliati negli anni '70, io già c'ero. Per dire: Flavio Giurato l'ho conosciuto a 13 anni perché guardavo Mr. Fantasy, il programma in tv di Carlo Massarini. Mirko lo ha conosciuto perché gli ho fatto ascoltare un brano e si è appassionato, e poi abbiamo conosciuto realmente Flavio Giurato, siamo andati a casa sua e abbiamo registrato assieme. Abbiamo fatto un sacco di scambi di esperienze con Mirko. Io ho una formazione più esterofila, no cantautori, zero. Uno potrebbe essere Enzo Carella, che abbiamo citato spesso perché da quando l'abbiamo scoperto all'inizio del percorso Camillas, ci è piaciuto subito. Mi ricordo che eravamo impazziti per il disco che Lucio Battisti ha fatto con Adriano Pappalardo, un album assurdo, elettronico, in cui lui aveva bisogno di un cantante per provare le canzoni di Panella e vedere l'effetto che faceva (Oh, era ora! , 1983). Un disco incredibile, rimasto sotterraneo, sperimentale.
Non lo conoscevo, vado subito a cercarlo!
Fallo assolutamente! Battisti c'è un po' nei Camillas, specie quello post-Mogol, per il suono delle parole rispetto alle melodie. Poi certo pop anni '60, quello dei complessi, tipo Camaleonti, Dik Dik, il beat italiano d'assalto, che ha tolto il melodramma alla musica italiana. Un approccio un po' fanfarone che però ha creato scompiglio, dato che da quel calderone poi sono venuti fuori anche Celentano e Mina.
Negli anni più recenti?
Quelli contemporanei diciamo che poi li conoscevamo e diventavamo amici, tipo come ho detto prima Edoardo Calcutta, ma anche Gioacchino Turù e Davide Panizza, Pop X, un'altra entità che è partita quando era ragazzino, imprendibile nei contenuti e nelle forme, con la stessa attitudine che aveva quando suonava col telefonino e Walter rannicchiato in un angolo. Era già quella cosa lì, grezza ma molto infuocata.
Tu in questo periodo scrivi canzoni?
Abbiamo riniziato da poco a fare le prove. Theodore, il bassista, sta in Emilia Romagna e benché abitiamo praticamente attaccati, lui è al di là del confine. Abbiamo già suonato insieme anche se non poteva, autorizzandolo noi, gli abbiam fatto un certificato... abbiamo chiesto addirittura a un avvocato se fosse possibile, visto che siamo una band che suona. Abbiamo fatto un pezzo nuovo. Ecco, se uno s'immagina io in camera che compongo canzoni, no, però suono la chitarra, e quindi ogni tanto registro dei frammenti, dei giri, delle storie particolari. Sono abituato a tenere la chirarra sempre in mano, è a fianco al mio tavolo.
Ma quindi uscirà nuovo materiale dei Camillas?
Le cose che usciranno da adesso in poi a nome Camillas saranno tutte cose che avevamo fatto con Mirko, completate. Abbiamo un po' di materiale, registrazioni ferme da qualche parte, che stavamo aspettando di far uscire. Cose nuove non usciranno a nome Camillas, no. I Camillas non erano solo un nome, non hanno una storia di modifiche e cambiamenti, erano l'entità che io e Mirko abbiamo costruito alla fine del 2004, che aveva determinate caratteristiche e adesso, venendo meno Mirko, il nome non è sufficiente per proseguire. Questa scelta l'ho fatta coscientemente, parlando con gli amici: tutte le cose che avevamo fatto perché uscissero, le faremo uscire. È un patrimonio che era già stato predisposto perché fosse ascoltato. Non è che abbiamo un album eh, è un modo per mantenere la vitalità del gruppo, che continua anche al di là di qualsiasi compositore, musicista o artista, continua al di là di quella che è la vita biologica.
Concludendo, cosa ha lasciato Mirko?
Quello che vorrei che fosse preso di lui, e credo sia stato raccolto dalle persone, vedendo i ritorni di questi mesi, è la libertà che devi sentire nel momento in cui affronti una situazione, che sia sul palco o in una registrazione. Quel sentimento forte di consapevolezza che ti fa dire: "Sono in questo momento, in questo punto della mia vita, sono sul palco e faccio questa cosa perché è la cosa giusta". Che sia buttarsi dal palco o nascondersi dietro i teli. Perché questo non sembri follia, essendo il confine labile, Mirko le cose le faceva insieme agli altri. Il suo non era mai un gesto individuale, era sempre di condivisione. Prima di tutto con noi sul palco, la sintonia che c'era era sempre accesa, ma poi anche con le persone che ci ascoltavano o ci guardavano. Ogni gesto comunicava qualcosa all'altro, non era mai gratuito tanto per fare il matto. Se avesse mai spaccato una chitarra, prima avrebbe fatto decine di altre cose che sarebbero state molto più importanti. Noi abbiamo capito negli anni che molte persone avevano paura di Mirko, erano un po' intimorite (e di conseguenza attratte) da questa sua libertà, da quel suo modo che aveva durante i concerti di venirti vicino, di farti partecipe. Vorrei che lasciasse la consapevolezza di essere libero di fare quello che vuoi assieme agli altri.
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L'articolo Ruben Camillas: "Mirko ci ha insegnato a essere liberi assieme agli altri" di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-06-03 11:28:00
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