Nessun altro in Italia fa le cose che fanno i Tamango

Dopo aver brillato all'ultimo MI AMI, la band di Torino non smette di fare le cose a modo proprio. Ecco "Cani", il nuovo pezzo accompagnato da un ambizioso videoclip (come mostrano queste foto di backstage). La nostra intervista a questi ragazzi magici

Tamango!
Tamango!

Siamo una dichiarazione di intenti.

Siamo cani che ululano ai lampioni.

Siamo bambini che gridano rivoluzione.  

 

A leggere i comunicati dei Tamango pare di essere cascati con entrambi i piedi in un manifesto dell'Internazionale Situazionista. Solo che loro hanno, chi più e chi meno, tra i 20 e i 30 anni. Meravigliosamente naïf, distante anni luce da ogni traiettoria predeterminata, pretenziosi solo per chi non si è preso la briga di vederli su un palco o ha prestato attenzione all'intensità della loro opera.

Vengono da Torino, sono un collettivo in cui la dimensione dell'immagine e quelle performative contano tanto quanto la musica. Sono nati nel 2018 attorno alla comune passione di Alberto, Federico e Marcello. Si sono fatti conoscere prima nella loro città, dove ai loro live si radunava un pubblico sempre più grande e fomentato, poi un po' ovunque. Anche e soprattutto grazie a un'attività live coinvolgente e originale, come sanno coloro che li hanno visti durante la Notte dei CBCR di Rockit del 2023

I video delle loro canzoni sono caratterizzati da una sceneggiatura e una fotografia visionaria e ambiziosa, come dimostrano pezzi come Baby Moon e soprattutto Sirene e pirati. A un certo punto la loro popolarità è esplosa nel modo più imprevedibile e in un certo senso meno adatto al loro percorso: un estratto di un loro live (Arrembaggio al cane pazzo) è andato virale sui social e ha iniziato a fare numeri impressionanti. Commenti entusiasti sulla loro musica sono arrivati da ogni parte del mondo, i Grammy si sono complimentati (WTF!), artisti come Salmo, Cremonini e molti altri li hanno endorsati. L'attenzione su di loro inevitabilmente è diventata enorme. Nell'unico vero live che hanno fatto quest'anno, al MI AMI Festival, la Collinetta era strapiena di gente e li attendeva come si fa solo per i veri "main eventer". Attesa ampiamente ricambiata da uno show entusiasmante, tra i più riusciti di questa edizione. 

Ora i Tamango sono tornati e lo hanno fatto a modo loro. Come si diceva una volta dei giocatori classosi e un po' scostanti, senza dare punti di riferimento. È uscito Cani, il loro nuovo brano, che ha anche un video (lo trovate qui sotto) di più di 8 minuti che è una piccola gemma capace di fondere linguaggi diversi. Più passa il tempo e più il mondo dei Tamango assume nuove forme, a dare coerenza al tutto sono loro, la loro etica, estetica e poetica. Cani è stato presentato, e proiettato, durante una serata evento a Torino, con quattro diverse esibizioni nelle quattro stanze di un palazzo di piazza Madama Cristina 2 bis.

Tutto questo si inserisce nei festeggiamenti dell'Anno del Cane, che non è chiarissimo cosa sia ma pare essere qualcosa di speciale per i Tamango, che a questa ricorrenza stanno "dedicando" tutte le ultime produzioni, come detto molto eclettiche. Per parlare di questo e molto di più, abbiamo fatto una chiacchierata (collettiva, chiaramente) con il gruppo. Nell'articolo trovate anche delle foto backstage inedite del video di Cani

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Cosa abbiamo appena visto: un videoclip, un corto, un film? Cos'è e cosa non è Cani?

Marcello Maida: Cerchiamo di non intenderlo, cerchiamo di non definirlo, ci piace che questa confusione che dà origine alla tua domanda rimanga negli occhi di chi lo guarda ma anche nei nostri pensieri. Forse è qualcosa di nuovo? Non è un videoclip, non è un cortometraggio e ovviamente non è un film. È quello che volevamo che fosse, la forma indefinita è l’espressione di questa nostra autoimposizione di tendere all’originalità. Non si innova solo nel contenuto ma anche nei bordi in cui il contenuto si muove. Quindi sì, l’assenza sincera di risposta alla domanda ce la teniamo stretta, ci rende fieri ed è un buon punto da cui partire.

Il video è il culmine delle vostee celebrazioni dell'Anno del Cane: spiegateci in cosa consiste. 

Federico Anello: L’idea dell’anno del cane nasce per decategorizzare le nostre uscite, e non parlare quindi di singolo, videoclip o album. Tutte le cose pubblicate dall’inizio dell’anno sono opere, e appartengono all’anno del cane. Potremmo definirlo come un periodo del nostro percorso artistico.

Foto di backstage del video
Foto di backstage del video

E come vi siete mosso durante questo anno?

Federico Anello: La ricerca dell’autenticità ha guidato ogni scelta presa nel corso di questi mesi, dalla scrittura, alle produzioni, alle riprese video, alla comunicazione. Volevamo che il brano suonasse crudo, verace, di pancia, urlato e sbagliato. La perfezione a cui tanto si ambisce, in primis è irrealizzabile, e poi spesso risulta poco emozionante perché troppo lontana dalle nostre vite. Nella musica si tende a perdere totalmente la connessione tra l’emozione provata mentre la si scrive, il luogo nella quale la si immagina e la totale asetticità dello studio in cui la si registra. Troppo spesso vengono fatte delle scelte a favore della qualità assoluta dei mezzi in ambienti controllati come le sale di registrazione; vivendo nella speranza di riuscire a ricordare, tra una take e l’altro, le emozioni che si sono provate o quelle che si vorrebbero trasmettere. La perfezione per noi è un po’ come la qualità: “c'ha rotto er cazzo”.

Come si restituisce l'autenticità di cui andate a caccia?

Federico Anello: Invece di cercare di ricostruire in post produzione l’ambiente della canzone abbiamo deciso di registrarla direttamente dove l’avevamo immaginata. I musicisti sono diventati attori e lo spazio sotterraneo del Mad Dog è stato il set (im)perfetto. Ogni take è stato registrato al massimo tre volte per riuscire a catturare il più possibile l’autenticità del momento, senza farsi fregare dalla ripetitività dell’azione. Ogni registrazione porta con sé i difetti della voce, dello spazio, della città soprastante, ma invece di provare a coprirli abbiamo cercato di guidarli ed enfatizzarli. Sempre nei giorni di registrazione al Mad Dog abbiamo girato Prosopopea, scritta la notte e urlata davanti al microfono la mattina. Racconta di quei pensieri, di quelle emozioni che abbiamo provato per tre giorni chiusi sottoterra in isolamento dal mondo esterno. Un solo take, nessuna prova. Anche il video segue gli stessi principi: l'audio è sempre in scena, diegetico: la curva, le canottiere, il drag king non sono ridoppiati. Cantano per davvero. Nessun effetto speciale.

Foto di backstage del video
Foto di backstage del video

C'è stato anche un evento fisico nella vostra città, Torino. Dunque raccontateci cos'è la "casa dei cani".

Alberto Tirelli: Quasi nessuno lo sa davvero e chi vi è entrato sembra non trovare le parole per raccontarlo. In un giorno di luglio, il 13 per l’esattezza, abbiamo aperto le porte della casa dei cani per festeggiare con le persone che sono venute. Erano attese da un cicerone sull’uscio della porta, pronto ad accompagnarle in un percorso di esibizioni diviso in quattro stanze diverse. Si narra ci fosse un parco giochi, in cui una drag queen insegnava a “cambiare sesso per un po”, mentre un pianista dal cappello leopardato suonava un ragtime sfrenato. C’è chi dice che nella stanza successiva ci fosse un tappeto invisibile tanto grande che avrebbe potuto ricoprire l’intera superficie lunare, era abitato da esseri minuscoli, saltavano talmente in alto che sembrava quasi che arrivassero a toccarla, la luna. Continuando il percorso si entrava in un vero e proprio stadio con tribune, spogliatoi, campo in erba inglese, striscioni, vuvuzela e cori. La curva della squadra di casa era così accanita da far tremare le gambe dei poveri giocatori in trasferta ancora prima di entrare in campo. Nell'ultima stanza era possibile scorgere, tra due ante socchiuse, un’aiuola nella quale un riccio raccontava dei suoi pensieri mentre, meticolosamente, ne curava ogni piccolissimo ramo, foglia e fiore. Infine abbiamo allestito un grande cinema all’aperto con un sonoro che ha fatto tremare l’intonaco aggrappato a fatica dei muri di San Salvario. La facciata del palazzo di fronte è stata la tela su cui abbiamo proiettato in anteprima il video di Cani per chi era venuto e per tutti quelli che passavano di lì.

Dal video di Cani
Dal video di Cani

Perché rivendicate di continuo il diritto, anzi la necessità di "sbagliare" e di "scrivere fuori dai bordi"?

Marcello Maida: In terza elementare una volta sono andato a scuola con addosso una scarpa diversa dall’altra, non erano nemmeno simili ma si vede che quella mattina ero particolarmente stanco, distratto o sovrappensiero. Ricordo di essermene accorto solo davanti al cancello. Oramai era tardi, mia madre non mi avrebbe mai aiutato, ho capito che dovevo cavarmela. Entrando in classe, al posto di camminare rasente alla parete e cercare di non farmi vedere dalla classe per evitare prese in giro, ho annunciato il mio arrivo a gran voce: "Udite udite". Con un balzo sono salito in piedi sulla cattedra, mi sono messo a ballare come un serpente impazzito alzando e abbassando prima la scarpa blu e poi la scarpa rossa all’altezza del naso dei miei compagni per essere sicuro che tutti notassero l’ultima incredibile trovata modaiola lanciata dal sottoscritto, le scarpe sbagliate. Ecco, quel giorno ho capito che non voglio perdere quella parte di me che mi fa mettere le scarpe sbagliate, voglio rivendicarla, tutelarla, proteggerla e sfoggiarla come se non avessi niente di più caro, come se avessi fatto tutto apposta. Il nostro obiettivo è rimanere uomini senza tecnica, non perché non la si possa imparare, ma per imparare a disimparare le regole imposte dello stato delle cose.

Still del video di Cani
Still del video di Cani

Quello che fate voi oggi si può fare solo da indipendenti?

Manfredi Maida: Non credo sia unicamente una questione di indipendenza, quanto più di attitudine. Da sempre abbiamo cercato di costruire un progetto che avesse la forza di autosostenersi, l’anima di Tamango è sempre stata collettiva e trova nella collettività artistica la sua forza. Questo non è casuale, ma è frutto di scelte e pensieri che guidano il progetto dall’atto zero. In momenti in cui la direzione del mercato, musicale e non, è sempre più orientata al seguire ciò che funziona* (uso una parola bandita dal nostro vocabolario) senza avere grande interesse nel dare il tempo giusto alle cose (al massimo il tempo di un reel, ecco: già se il secondo non funziona...), sarà sempre più difficile evolvere e distinguersi, ancora di più se lo si cerca di fare seguendo gli schemi dello stesso mercato che punta a uniformare tutto ciò che tocca. Uniformare è economicamente molto vantaggioso, permette di risparmiare sui costi di realizzazione, di efficientare il tempo necessario a pensare a nuove idee, di ridurre i rischi che le cose su cui si è investito poi non funzionino; di certo però non è un approccio che favorisce l’innovazione e lo sviluppo che fanno dell’errore un elemento necessario. Essere riusciti a costruire un sistema che permette a noi di essere il metronomo del nostro tempo, senza dover seguire le logiche che realtà di settore levigate ci imporrebbero più o meno tacitamente, ci permette di vedere le cose da una prospettiva diversa; a più ampio respiro, che non ricerca scelte a breve termine per seguire il momento, ma che lavora su un arco temporale dilatato proprio della cultura e dell’arte.

Still del video di Cani
Still del video di Cani

Entriamo nel dettaglio del video: quali sono le location e come le avete scelte?

Luca Giraudo: Un progetto indipendente come il nostro deve quasi per definizione fare delle proprie necessità le proprie virtù. Non si può permettere il frigido termine “location” o l’invio di email senz’anima. Chi ha bisogno di qualcosa deve sporcarsi le mani nel fango del carnevale umano e se i soldi non sono motore del progetto, allora giù a capofitto in un vortice di caffè bevuti insieme a persone contattate con motivazioni al limite del credibile. Detto questo la scelta non è stata casuale, ogni luogo racconta di un pezzo di Tamango e di un pezzo di Cani, soprattutto perché di fondo c’è la scelta di voler collaborare con realtà del territorio torinese che sentivamo potessero capire quello che volevamo fare e verso le quali provavamo un’affinità di intenti. E in un attimo, finiamo per passare dei mercoledì qualsiasi nel teatro più piccolo del mondo in Santa Giulia, riempito di fiori raccolti con cura materna, oppure sulla schiena torbida del Po a cantare per la città e ancora nella pancia dello stadio di provincia perché è lì che crescono i teppisti e perché quella è casa nostra.

C'è una lista di credits infiniti. Come siete riusciti a coinvolgere tutte queste persone?

Manfredi Maida: La dinamica collettiva del progetto è da sempre stata parte fondante dell’idea stessa di Tamango. Che collettività sarebbe se non fossimo tanti? Le persone che collaborano a Tamango sono varie: chi si è proposto, chi è stato cercato, chi ne è diventato parte senza neanche accorgersene. Nonostante le grandi diversità di ognuno, in tutti è connaturato il desiderio di voler lasciare artisticamente un segno e Tamango diventa il “mezzo” attraverso cui poterci riuscire.

Frame dal videoclip
Frame dal videoclip

Come avete immaginato e poi lavorato sui personaggi" al centro della storia?

Filippo Scimone: I personaggi sono stati immaginati cercando di riflettere la realtà umana, bellissima e sempre più eterogenea in cui viviamo. Noi, nati negli ultimi istanti dell’Italia conservatrice e diventati adulti nell’Italia delle minoranze in rivolta, che non accettano più di essere considerate fuori luogo dai vecchi austeri padroni del buon costume, abbiamo avvertito l’importanza di farci portavoce di questo drastico cambiamento al profumo di libertà. Questo non vuol dire però cadere nel classico cliché del circo dei freaks, bensì significa scavare a fondo nei costumi in costante cambiamento della nostra società. Ed eccoli allora prendere forma, i nostri personaggi. Un Drag King, figura ai più sconosciuta, che canta il suo canto di rivalsa verso un mondo che decide di scegliere arbitrariamente quali riflettori tenere accesi. Le canottrici, ragazzine impavide e determinate, guidate da una allenatrice dura come il ferro, che hanno davvero poco a che vedere con il classico stereotipo di adolescenti ingenue e infantili. La curva, ragazze e ragazzi giovani, nessuna divisa nera, nessun volto incappucciato, nessuno sguardo di odio. Semplici giovani che adorano urlare battere i piedi e fare casino. Perché ogni tanto può essere davvero bello fare solo un po’ di sano e collettivo baccano. E infine il rivoltoso, il reazionario, che ammette d’esser finito in prima fila al corteo non tanto per motivi politici, ma perché guidato dalla mano di Carlotta, cosi morbida e dolce da stringere, che lo guida verso il suo primo faccia a faccia con lo stato e le sue armate di repressione. Il nostro eroe si è svegliato dall’anestetico del quieto vivere e ha assaggiato il gusto frizzante e speziato del dissenso, così buono ed esotico, che quasi sembra arrivare da un'epoca lontana.

Si vedono immagini dei cortei pro Palestina. Perché questa scelta?

Marcello Maida: Dalle riprese degli scontri abbiamo volutamente "nascosto’’ il contesto di lotta, non volevamo mettere i volti dei manifestanti per evitare che diventassero scene strumentalizzate e finissero per avere un utilizzo identificativo. Il soggetto da inquadrare era la sproporzionata violenza della polizia, tuttavia non volevamo una lotta asettica, dovevamo chiarire quale fosse la causa delle strade piene, delle botte prese, e dei nostri piedi e delle nostre teste nella piazza, così lo abbiamo scritto a fine video. Quella, senza molti filtri, è la verità a cui abbiamo scelto di partecipare, quella che ci ha dato un mal di pancia non trascurabile. Ma non basta essere lucidi e conoscere la verità. Non basta schierarsi a parole con i dolori di un popolo, con i colori di una bandiera. Stiamo parlando di radicalità, ognuno di noi scelga la lotta, si renda conto del privilegio dei mezzi che ha a disposizione e provi a placare quel mal di pancia. Perchè non si diserta il mal di pancia. La dimensione fisica, l’ubicazione del proprio corpo non casuale nella grande caciara dello spazio-tempo ti definisce come individuo. Dov’eri? Dove hai scelto di essere? A cosa hai scelto di partecipare? Ad aprile Torino ribolliva come il sugo di pomodoro in padella. Le occupazioni e le rivendicazioni dell’intifada studentesca hanno fatto breccia nel silenzio complice della quotidianità, quanto pesa il tempo libero quando sai dove dovresti essere? Per lo spazio dell’arte la teoria è la stessa.

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L'immagine simbolo del video è un cane di plastilina, che torna anche nei titoli di coda. Come nasce?

Massimo Dubbini e Alberto Tirelli: Il cane, i titoli di coda e anche la copertina sono tutti stati realizzati a mano con del vero pongo. Ci piaceva l’idea di calare nel contesto della realtà quello che stavamo facendo anche graficamente. In studio abbiamo incorniciato e appeso la copertina fisica di Cani. Uscire dalle regole imposte dello stato delle cose è complesso, in questo caso siamo dovuti tornare bambini per riuscirci. Non avevamo modo migliore per descrivere il processo se non raccontando di Massimo Dubbini, il nostro esperto di pongo. Massimo è un bimbo mai cresciuto dall’animo quieto ma dalla fantasia sfrenata. Non ha mai smesso di giocare col pongo. Se lo si guarda con attenzione, sotto le sue unghie è sempre possibile scovare qualche avanzo di colore dell’esperimento precedente. Quando gioca, i capelli finiscono per coprirgli quasi tutto il volto. Talvolta ci siamo addirittura chiesti se vede davvero quello che fa. Nonostante questo, non si può interrompere un bimbo che gioca. Per questo, lo abbiamo lasciato fare, per la bellezza del vederlo giocare. Ed ecco che all’improvviso dalle mani gli sfugge un cane tutto rosso con luccicanti scarpe nere coi tacchi che corre all’impazzata. Massimo poi tira fuori uno scatolone che teneva sotto la sua scrivania dal quale cominciano ad uscire delle lettere che volteggiando riempiono l’intera stanza. Sono serviti qualche croccantino per addomesticare il cane e un retino per raccogliere tutte le lettere e metterle in ordine. Massimo l’abbiamo mandato a lavarsi le mani ma come al solito gli è rimasto del blu, del rosso e del bianco sotto le unghie.

Un ultimo backstage
Un ultimo backstage

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L'articolo Nessun altro in Italia fa le cose che fanno i Tamango di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2024-07-30 14:07:00

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