Le canzoni trasparenti di Cloè

Giovanissimo (classe 2000), il polistrumentista romagnolo scrive da sempre per vomitare ciò che ha in testa. "Casa" è il suo ultimo singolo, in attesa dell'ep di debutto. Qui il racconto di chi è: tra sfoghi personali e connessioni con le altre persone

Giovanni Magnanelli in arte Cloè
Giovanni Magnanelli in arte Cloè

Giovanni Magnanelli in arte Cloè nasce il 18 settembre del 2000 a Rimini, ma da sempre (a parte una piccola parentesi a Milano) vive a San Giovanni in Marignano. Quando non lavora (in un ristorante della sua zona) si dedica alla musica, che scrive e arrangia da sè: "È tutto il mio tempo libero. Cerco di portare avanti il mio progetto in maniera più costante che posso", dice all'inizio di quest'intervista. Tre singoli all'attivo (Canini, Moda e Casa, ndr) e un EP di debutto in arrivo. Lo incontriamo per conoscere meglio chi c'è dietro il progetto e come suonano le sue canzoni.

Quando ti sei avvicinato alla musica?

Da minuscolo, grazie a mio babbo, insegnante di musica. Mi insegnò a suonare vari strumenti (ovviamente non in maniera troppo approfondita) come il pianoforte, il basso, la chitarra, xilofoni, eccetera. Frequentavo spesso i suoi laboratori di musica d'insieme che faceva con i suoi alunni: c'era chi suonava la batteria, chi il basso, chi la chitarra elettrica, e così via. Verso i tredici anni iniziai a suonare la tromba da autodidatta, poi frequentai per un po' la banda del paese e a quattordici anni mi iscrissi al Liceo musicale Marconi di Pesaro, con tromba come primo strumento e pianoforte come secondo. Lì iniziai a studiare davvero, anche se andando avanti capii che quel posto non faceva minimamente per me.

Cloè
Cloè

Quando hai scritto le prime canzoni?

Verso i quindici/sedici anni. Registravo sul telefono i miei pensieri, i miei sfoghi. Anziché scriverli da qualche parte, su un diario o cose così, li canticchiavo. Era un modo per liberare e svuotare la mente, senza pensare troppo alle conseguenze di ciò che stessi dicendo. Con il tempo iniziai a trovarci un non so che di poetico e cominciai a lavorare su quelle registrazioni a cappella sia a livello di testo (che di fatto rimaneva molto spontaneo) sia a livello strumentale, aggiungendo delle basi che prima non c'erano. Partii da semplici accordi suonati col piano o con la chitarra. E verso i diciassette/diciotto anni arricchii il mio repertorio di canzoni. Anche se fino a quel momento non le avevo fatte ascoltare, solo ad alcuni amici stretti. La maggior parte, però, le tenevo per me.

Quando sei uscito allo scoperto? Quando comincia il progetto Cloè?

Una volta finito il liceo decisi di comprare il mio primo computer, delle casse, un microfono e tutto ciò che serviva per poter registrare in camera e iniziare a lavorare in maniera più professionale sui miei brani. Per fare nuova musica, di qualsiasi tipo. Così parte il percorso di Cloè. Incentrato 100% su di me, sul mio linguaggio, il mio modo di comunicare attraverso la musica e ciò che voglio comunicare. Penso, però, che tutte le mie esperienze precedenti, musicali e non, mi abbiano influenzato e mi abbiano aiutato a prendere una certa direzione quando iniziai a lavorare ai miei progetti.

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Perché Cloè?

Il nome Cloè nasce una sera di luglio o agosto del 2019. Ero parecchio ubriaco e tornai a casa presto, verso le due di notte. Mi misi davanti lo specchio per circa due ore e mezza a guardarmi fisso negli occhi e iniziai a parlare con il mio riflesso. In maniera così intensa che, a un certo punto, ero arrivato a pensare che fosse lui a guardare me. Tipo uno sdoppiamento di me stesso: lui aveva vita propria, non seguiva quello che facevo e potevamo parlare. Quest'esperienza mi ha portato a credere che quando una persona è ubriaca (o comunque alterata) tramite uno specchio può collegarsi ad altre persone che in quel momento, a loro volta, si stanno guardando allo specchio di un bagno chissà da quale parte del mondo. In quel momento mi ero messo in collegamento con più persone nella mia testa. Non solo: a ogni tipo di faccia associo un nome e a ogni nome o persona associo qualcosa. Pensando alla mia faccia, quella volta lì, mi venne a galla il nome Cloè e pensai fosse perfetto. Ci sta proprio bene: se penso proprio al nome Cloè, a come suona la parola, mi viene in mente proprio uno con una faccia come la mia, un po' da culo. Poi, andai a dormire. La mattina dopo mi svegliai con questo viaggio ancora in testa e decisi di tenere questo nome.

Come definiresti la tua musica?

Trasparente. Sembra un po' superficiale detta così, però tutto ciò che esprimo attraverso deriva da ciò che mi succede; sono tutte situazioni e sensazioni vere, senza filtri, senza troppi passaggi e senza ispirarmi a nessuno. Sento che ho bisogno di far uscire le parole dalla bocca come fossi pieno di quella situazione o stato d'animo e la/o dovessi vomitare. Mi sono sempre venute prima le parole, poi tutto il resto.

Cloè
Cloè

Casa è il tuo ultimo singolo. Significato?

È un brano nato nel 2017. Il testo non è complesso, ma è molto diretto – com'è la mia musica – e già dal primo ascolto si può arrivare a delle immagini chiare, vivide, comuni. Poi, più la si ascolta più si arriva in profondità. 

Progetti futuri?

Due uscite: una quest'estate (non so ancora bene quando) e una verso ottobre. Poi, mi piacerebbe far uscire un'EP.

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L'articolo Le canzoni trasparenti di Cloè di Redazione è apparso su Rockit.it il 2022-07-25 11:00:00

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