"Mi hanno sempre detto: 'Carolina, non sei collocabile. Sei un po’ questo, ma sei anche un po’ quello; fai il pezzo reggae, poi fai quello rock, poi quello pop, poi funk, poi jazz’'. È vero, questa è una mia caratteristica, e in questo disco ho voluto enfatizzarla: per questo motivo ho intitolato il mio terzo lavoro Il dono dell’ubiquità", spiega Carolina Bubbico, eclettica musicista leccese dalla ricca e interessante bio: cantante, pianista, arrangiatrice e direttrice d’orchestra.
Nota per aver diretto l'orchestra al Festival di Sanremo per Il Volo e per Serena Brancale, nel 2015, attualmente docente di canto pop presso il Conservatorio Tito Schipa di Lecce, Carolina ha girato l’Italia e il mondo con la sua musica e con la sua voce magnifica, collaborando con artisti da ogni dove. Che sono stati coinvolti nelle registrazioni delle quindici tracce presenti nel nuovo album – prodotto dal fratello Filippo Bubbico, pubblicato da Sun Village Records, con il sostegno di Puglia Sounds Records e la distribuzione di I.R.D.
A distanza di cinque anni, Il dono dell’ubiquità è un disco cantato, interpretato ed eseguito perfettamente. Un album eterogeneo e molto variegato in termini di stile: "Ubiquità sta per 'essere fisicamente presenti nello stesso momento in ogni luogo o più luoghi' – Carolina nella vita vorrebbe stare a casa, ma anche a quella festa, ed è l’ultima a scegliere sul menu –, ma soprattutto significa sperimentare contemporaneamente diversi linguaggi", spiega la cantante, e continua: "Il titolo vuole evocare la mia naturale ricerca stilistica nel tentativo di destreggiarmi tra le terre di mezzo di vari linguaggi (che siano pop, che siano funk oppure soul), con lo scopo di mettere in contatto codici diversi. Sarà un disco molto fitto e molto ricco di sound differenti rispetto al passato, quando tendevo più all’acustico ed ero molto affezionata all'universo del jazz".
Un disco movimentato tra l’acustico e l’elettronico, tra ballabili groove, canzoni intime e sonorità world, caratterizzato da "arrangiamenti complessi, spesso con armonizzazioni vocali e intro a cappella, ma senza quella tendenza a strafare continuamente", in equilibrio tra la semplicità e il virtuosismo.
"Ho investito il massimo delle energie, il massimo delle economie, del tempo; ho coinvolto tantissime persone e musicisti incredibili da tutte le parti del mondo: ho investito il massimo di tutto in questo disco", afferma Carolina. Ma in un momento storico del genere, ha abbandonato le aspettative, dice, perché non ha senso averle: "Credo molto in questo lavoro e nel suo potenziale, semplicemnte perché quando lo ascolto mi piace e mi fa stare bene. Certo, spero piaccia agli altri, ma non è assolutamente detto. Il mio timore è che sia un flop. Che questo lavoro tanto amato non vada così lontano come mi immagino, e che non sia ripagata dello sforzo che ho fatto per far venire fuori questo lavoro come volevo. Tuttavia, sono pronta anche a sentirmi dire che fa schifo".
Un disco completamente diverso dai precedenti Una donna (2015) e Controvento (2013) innanzitutto perché di tempo ne è passato, volutamente, eccome: "Gli anni passati senza pubblicare nulla, sono stati misurati dal mio bisogno di ritrovarmi e liberarmi da una serie di obbligazioni che mi ero costruita senza volerlo", racconta Carolina, e prosegue: "Spesso la vita diventa una rincorsa per assecondare i modelli che ci circondano. Questi anni mi sono serviti per rallentare. Ora, più lo ascolto, più capisco che Il dono dell’ubiquità finalmente è un disco libero, meno vincolato dal bisogno di piacere a tutti i costi".
Nonostante possa sembrare il contrario, con l’uscita del singolo, Bimba, che anticipava il disco a settembre. Un pezzo molto pop e in linea con i gusti di più persone, con ritornello very catchy: "Non era assolutamente voluto, voglio sottolinearlo", dice Carolina.
Di cosa vuoi parlare con Bimba?
Bimba lascia agli altri l'interpretazione che cercano e ognuno decide come categorizzarlo. È un brano che mi piace e mi diverte. Nel pezzo ci sono dei significati intrinsechi che non saltano subito all’orecchio e anche la coreografia – che sto cercando di far imparare a chiunque – vuole lanciare un messaggio. Ma dal momento in cui ho pubblicato il singolo, l'ho donato agli altri. Bimba, ormai, è di chi l'ascolta – sto lavorando molto sul concetto di "togliermi il possesso di ciò che scrivo" – e chi la ascolta ne fai ciò che vuole, dentro la sua testa e dentro il cuore. Ti posso dire quale sarebbe il mio messaggio, certo, ma le persone interpretano: Bimba è uno slogan rivolto a tutti, in particolare alle donne, che al ritornello canta: "Non importa che vestito avrai". Si tratta di un messaggio legato anche al bisogno che sento di dire stop alle costrizioni sociali, di andare per strada e mostrare le nostre idee, senza badare al contenitore e al modo in potremmo apparire.
Il dono dell'ubiquità è un disco diverso, ma cosa rimane in linea con la Carolina che già conosciamo?
Le tematiche e il mio approccio alla scrittura testuale: ho ancora il bisogno e la tendenza a utilizzare la mia musica per lavorare su me stessa. Quando scrivo i brani, le tematiche che voglio affrontare passano per le problematiche e le conflittualità che incontro nella mia vita. In particolare in questo disco, i testi sono spesso legati a cosa significa lavorare con il proprio sé e a cosa singifica rapportarsi con la società. In questi anni sono cambiate tantissime cose dentro di me – che sono diventata una donna di trent'anni – e nel disco esorcizzo una serie di figure. Anche i miei genitori, che faccio parlare per esprimere molti miei pensieri sul mondo attuale e sulla società che viviamo. È il disco, forse, più politico-sociale della mia carriera, inteso nel mio modo di intendere il "fare politica", cioè: dire la propria.
La musica riesce ancora ad essere impegnata?
Non mi viene da dire con certezza di no. Ci sono tantissimi artisti nascosti che fanno un lavoro profondo di ricerca sui significati e sui testi, meravigliosamente scritti a puntino. È pieno di gente talentuosa e stupenda, ma non si capisce per quale assurdo e folle motivo debba popolare il sottobosco dell’Italia musicale. Io continuo a fare il mio, impegnandomi in una ricerca di stili, di parole, di significati che spero possano risultare interessanti anche per gli altri. Certo, mi domando come si faccia a diventare virali per davvero, se si segue la via verso il "sottobosco musicale": le visualizzazioni che faccio io sono quelle che riesco a fare da sola con il mio team.
Che rapporto hai con i social?
Non molto buono. Sono sempre stata abbastanza attiva – forse, meglio dire non completamente morta –. Non riesco ad inserire il social nella mia quotidianità, come tanti miei colleghi o colleghe fanno. Non è una cosa che sento, assolutamente. Non riesco a vivere considerando di far vedere il piatto di pasta che mangio, o dove passo le mie serate. E non penso mi verrà mai, anche se adesso sto ingranando un pochino di più: ho cominciato a lavorare con un social media manager, un ragazzo fantastico con cui abbiamo attuato una strategia per ampliare la mia immagine e aumentare le visualizzazioni, come si dice. Lui crede che le persone vogliano sapere chi sei dai profili social delle persone, non cosa fai, ma questo ha bisogno di un impegno e una certa attitudine.
Chi ascolta la tua musica?
Il mio target di riferimento è abbastanza ampio. I dischi precedenti incredibilmente piacevano anche ai bambini. Nel presente, credo che il mio target sia possibilmente dai 15 ai 35 anni. Ho una sorella di 14 anni, e quella fascia mi interessa parecchio, perché loro saranno i grandi e spero di diffondere messaggi positivi in primis ai più piccoli. Ma anche ai miei coetanei, che sento vicini a me intellettualmente.
La tua musica è sempre molto positiva. Qual è la canzone più felice del disco?
Voyage, l'unico pezzo in francese presente nel disco. Un brano fortemente legato all’idea di viaggio inteso come apertura al nuovo e alle culture diverse dalle nostre. Ma anche alle culture presenti dentro di me, dentro ognuno di noi, in linea con un lavoro introspettivo alla ricerca di sé stessi – che per me è una presa a bene assoluta, perché più ti conosci, più stai bene e più trovi una pace interiore –. Poi, la scoperta del mondo, del nuovo: un'apertura del cuore verso la bellezza che ci circonda.
La canzone più sad?
Sono troppo positiva, è difficile scegliere! Forse, sebbene non sia di una tristezza infinita, Amore Infinito. Un brano legato all’amore di un padre per una figlia, che promette attraverso una forma di preghiera laica un amore eterno al di là dello spazio e del tempo. "Anche se non ci sarò più ti proteggerò attraverso la natura", dice il padre alla figlia. Un mio amico padre, ogni volta che la aascoltiamo, si crepa di pianto.
Per conoscere Carolina quale canzone dovremmo ascoltare?
Il dono dell’ubiquità e Bimba. Sono i due pezzi stream of consciousness del disco: due diversi flussi di coscienza di me e della società, con pregi, difetti, vizi e virtù. Tra i due, però, scelgo Bimba: dentro c'è l’ira di Dio dei miei pensieri. Poi, al ritornello ripete: "Ho il naso assoluto, baby", con cui volevo divertirmi e parlare di un tratto che mi caratterizza, giocandoci un po’. Dico sempre che non ho l’orecchio assoluto, ma il 'naso assoluto', sì. Perchè gli odori influenzano tantissimo il mio umore.
Ti piace più cantare o dirigere un’orchestra?
Assolutamente più cantare. È godibilissimo quando scrivi della musica per 60 persone e sentire che loro ti seguono, certamente: è una gioia che non so descrivere a parole. Però, è troppo forte per me il bisogno di stare in quelle note e poterle interpretare con la mia voce, con il mio pianoforte. Il massimo per me è stato poter realizzare un progetto, Pangea, la realizzazione di un sogno: ho scritto un intero concerto per orchestra sinfonica, delegando il ruolo del direttore a un altro professionista. In questo modo ho avuto la possibilità di sentire da fuori ciò che avevo scritto e pensato per me, e ho cantato dentro la mia musica. È stata un'esperienza assurda, poter concepire la musica come un arrangiatore-compositore e contemporaneamente cantarci dentro, nuotarci dentro.
La cosa più difficile da fare quando dirigi un'orchestra?
Riuscire con dei gesti a trasmettere la giusta interpretazione dello spartito che hai davanti. Cioè il suono come si deve muovere nello spazio a livello di intensità: riuscire a trasmettere con i gesti quali sono le intenzioni e le espressioni di uno spartito.
La cosa più figa?
Sentirti parte di una danza enorme. Ti senti di essere insieme a tantissima gente, davanti a un organico ampio – ci sono ensamble di archi che possono andare da 16-18 fino a orchestre di 60 elementi, a volte anche 120, dove l’organizo è al massimo delle sue potenzialità –. Ti senti danzare al centro di un grandissimo corteo di persone che stanno emettendo dei suoni. Una sensazione davvero unica.
Il futuro, dopo questo disco e in tempi di coronavirus?
Con Il dono dell'ubiquità vorrei fare uno step successivo nella mia carriera, di cui non mi lamento e sono felicissima – perché è una carriera molto vissuta e molto sentita, passo dopo passo –. Ma sento il bisogno di fare un passo in avanti e spero che questo disco me lo permetterà. E soprattutto che quest’Italia me lo permetterà. Sto preparando uno spettacolo che va molto al di là del concerto: sarà una cosa molto pensata, dove è coinvolto tutto, non solo la voce, ma gli strumenti, il corpo. Normative permettendo, ci piacerebbe partire con un tour promozionale, certamente. Ma ci stiamo ancora lavorando.
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L'articolo Carolina Bubbico vive nelle terre di mezzo della musica di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2020-10-02 16:00:00
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